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Influencer marketing: opportunità da cogliere per le aziende, ma servono molte attenzioni. Ecco le principali!

Stella Fumagalli

Tempo di lettura: 10′

E’ notizia di questi giorni che Instagram ha fatto partire anche in Italia il suo test che nasconde il numero di like dalle foto e dai video pubblicati sulla piattaforma: sarà comunque possibile mettere il like a un contenuto che ci piace (e il proprietario del profilo potrà continuare a vedere chi ha messo il like) ma i follower del profilo non potranno più visualizzare il numero totale dei cuori ricevuti da una pubblicazione.

Fonte immagine: https://later.com/blog/hidden-likes-instagram/

Questo test, che coinvolge l’Italia ma che è iniziato in Canada e riguarda diversi altri Paesi, ha l’obiettivo di spostare l’attenzione degli utenti di Instagram non sul numero di like ricevuti da un contenuto ma – come dovrebbe essere – sulle foto e i video che vengono condivisi sulla piattaforma, stando a quanto dichiarato da Tara Hopkins, Head of Public Policy EMEA di Instagram.

La scomparsa del numero di like avrà anche conseguenze dirette sul rapporto che gli influencer hanno con le aziende con le quali collaborano: sebbene il reale impatto di una campagna di influencer marketing sia difficile da misurare anche con gli strumenti più adatti, spesso le aziende si basano su metriche decisamente superficiali (come, appunto, il numero dei like o dei commenti sotto un post) per avere un’idea del successo o meno di un’azione di influencer marketing.

Tuttavia per riuscire a capire davvero se ciò che abbiamo investito nella collaborazione con un influencer ha dato i suoi frutti sono tanti i fattori che dobbiamo prendere in considerazione, così come sono tante le variabili da valutare per scegliere l’influencer giusto.

In questo post parliamo di influencer marketing, delle metriche per comprenderne l’efficacia e di tanti altri fattori da tenere in considerazione se decidiamo di collaborare con un influencer!

Chi sono gli influencer?

Di pari passo con l’affermarsi dei social media ha cominciato a diffondersi la figura dell’“influencer”, ovvero una persona conosciuta per essere una “opinion leader” in un determinato campo (web, moda, musica, etc.), la cui opinione e le cui azioni sono quindi in grado di condizionare quella delle persone che li seguono.

La parola “influencer” è ormai totalmente relazionata al mondo dei social media e al modo in cui queste persone sono presenti sulle piattaforme social; infatti la principale distinzione tra le diverse tipologie di influencer si basa sul loro numero di follower:

  • novice: fino a 3.000 follower
  • micro influencer: da 3.000 a 30.000 follower
  • top influencer: oltre i 30.000 follower

Su quali piattaforme social si muovono gli influencer?

Ad oggi quando diciamo influencer pensiamo subito ad Instagram che – però – non è di certo l’unico social network sul quale si realizzano campagne di influencer marketing (anche se è quello che va per la maggiore: l’83% degli influencer lo usa da spesso a molto spesso).

Facebook invece segna solo un 37% di utilizzo mentre YouTube è in forte crescita anche se – in proporzione – richiede un impegno economico maggiore da parte delle aziende (la produzione di video medio/lunghi richiede spese maggiori).

Non bisogna poi dimenticarsi di altri social network come TikTok e Twitch, utilizzati da un pubblico decisamente giovane.

La scelta del social network da presidiare non dev’essere frutto di speculazioni o della tentazione di seguire le mode del momento: per decidere in maniera ragionata bisogna prima avere chiara un’idea del nostro pubblico di riferimento.

Vogliamo raggiungere i Millenial? Probabilmente Instagram sarà la scelta migliore. Vogliamo parlare ai giovanissimi? Meglio puntare su Youtube, TikTok o Twitch. L’obiettivo sono gli over 40? Verosimilmente Facebook sarà l’alternativa migliore.

Quanto investono le aziende nell’influencer marketing?

Grazie a ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing, è disponibile un report che raccoglie dati interessanti sull’influencer marketing in Italia nel 2018 (la versione completa è disponibile solo per gli iscritti ONIM ma una versione ridotta è scaricabile gratuitamente da questa pagina).

Secondo i dati del report, nel 2018 il 66,1% delle aziende intervistate ha dichiarato di avere realizzato da 1 a 3 progetti di influencer marketing, mentre il 13% ne ha realizzati oltre 10 e considera l’influencer marketing come il cuore pulsante della sua strategia comunicativa.

Nel 2018 il budget destinato all’influencer marketing non superava il 30% delle risorse messe a disposizione dalle azienda nell’84% dei casi, ma il 67% delle realtà intervistate aveva in previsione di aumentare il budget nel 2019 come conseguenza di un alto tasso di soddisfazione delle campagne realizzate.

Perché le aziende investono nell’influencer marketing?

Alcune tra le motivazioni che spingono le aziende ad investire in campagne di comunicazione collaborando con uno o più influencer sono spiegate nel report di Onim:

  • il 19,5% vuole aumentare la brand awareness (la capacità di essere subito riconoscibile dagli utenti)
  • il 18,3% vuole incrementare la brand reputation
  • il 16,8% vuole maggiore engagement nei canali social
  • il 13,3% vuole incentivare gli acquisti
  • il 10,7% vuole rafforzare il rapporto fra clienti e community
  • l’8% vuole aumentare la lead generation
  • il 7,3% vuole aumentare le visite al proprio sito web
  • il 6,1% vuole umanizzare il brand

L’influencer marketing funziona?

Onim riporta che il 67,22% delle aziende intervistate si dichiara soddisfatto dei risultati ottenuti dalle campagne di influencer marketing realizzate.

Tuttavia, molte azienda hanno difficoltà nel misurare in maniera efficiente i risultati ottenuti o nell’identificare i giusti influencer: si tratta di attività che richiedono competenze precise e strumenti ad hoc che non tutti posseggono o conoscono (oltre il 19% delle aziende non ha un team di professionisti dedicato).

Per questi motivo a volte la tentazione da parte degli influencer di “imbrogliare” le aziende con cui collaborano o vorrebbero collaborare è tanta, soprattutto se da parte dell’azienda non vi è un reale controllo sulla campagna di comunicazione.

Pratiche sleali dell’influencer marketing

Ci sono diversi trucchetti che possono “dare una mano agli influencer” (o comunque agli utenti di Instagram) per avere più follower o aumentare artificialmente il tasso di engagement; vediamo i più diffusi.

1) Follower falsi

Gli influencer con un elevato numero di follower hanno spesso una base di seguaci che non corrisponde a persone reali.

Secondo i dati di Vincos:

  • gli influencer del settore moda hanno mediamente il 34% dei follower sospetti
  • gli influencer del settore turismo e tecnologia hanno mediamente il 30% dei follower sospetti
  • gli influencer del settore beauty hanno mediamente il 26% dei follower sospetti
  • gli influencer del settore motori hanno mediamente il 24% dei follower sospetti

Non sempre, quindi, un alto numero di follower è garanzia di successo: anzi, stando a un report di Buzzoole (scaricabile gratuitamente da qui) i novice (i profili con meno di 3.000 follower) ottengono risultati superiori in termini di engagement rate (interazioni rispetto ai follower) e di reach rate (persone raggiunte rispetto ai follower) rispetto ai profili con un numero di follower elevato.

2) Crescita artificiale dei follower

Aumentare il numero dei follower in maniera sleale è possibile in diversi modi:

3) Crescita artificiale del tasso di engagement

Il tasso di engagement è quello che misura il numero di interazioni rispetto al numero di follower e può essere aumentato in modo artificiale attraverso tecniche di Like4Like.

Esistono infatti circuiti di persone che si mettono like fra loro o commentano le pubblicazioni di determinati profili con commenti superficiali (“bello!” “utile!” “grazie!”) il cui scopo è solo quello di aumentare l’engagement in maniera artificiale.

Queste tecniche sleali sono alla portata di tutti: il risultato è che le aziende più “sprovvedute” cascano nel tranello investendo budget per una campagna di influencer marketing che non porterà i risultati sperati.

Come controllare la veridicità di un profilo Instagram e quali metriche contano davvero?

Abbiamo visto che analizzare un profilo Instagram di un influencer per comprendere se davvero vale la pena iniziare una collaborazione è un’attività che richiede certe competenze e la destrezza nell’utilizzo di determinati strumenti.

Se la nostra azienda non ha un team dedicato possiamo aiutarci attraverso alcuni tool, di cui uno tutto italiano: Ninjalitics.

Ninjalitics è una startup italiana che permette di controllare gratuitamente qualsiasi profilo Instagram restituendo una serie di parametri utili per capire l’affidabilità di un influencer.

Oltre al numero di follower del profilo, Ninjalitics ci fa sapere anche:

  • la media dei like ricevuti dai post
  • la media dei commenti
  • il ritmo di crescita del profilo con vari intervalli temporali (giorno, settimana, mese, trimestre)
  • le statistiche settimanali e mensili sul numero di follower
  • i post che hanno avuto maggiore successo in termini di like e commenti
  • gli hashtag più utilizzati dal profilo
  • le eventuali attività sleali di Follow / Unfollow negli ultimi 30 giorni
  • l’engagement rate (indicando se è maggiore, minore o uguale rispetto alla media del settore)

L’engagement rate è sempre stato uno dei fattori a cui dare più peso nell’analisi di un profilo Instagram, ma ultimamente sta scendendo per tutte le categorie di influencer (è passato dal 4% del 2016 al 2,4% all’inizio del 2019).

Rappresenta sempre di più, insieme al numero di follower, un vanity metric spesso sopravvalutato e a volte fuorviante se si usa per valutare le performance complessive di un profilo, come ben spiegato in questo articolo di Vincos.

Poi, con la nuova funzionalità che toglie il numero di like da un post, viene meno la riprova sociale e questo, senza dubbio, si rifletterà sul tasso di engagement; quanto? Lo vedremo nei prossimi mesi.

Influencer, aziende e trasparenza

Quello della trasparenza tra aziende, influencer e utenti è un tema complesso che ha fatto (e fa) molto discutere.

Quando un influencer mostra o parla positivamente di un prodotto sul suo profilo non è sempre chiaro se lo fa in maniera disinteressata (ha scoperto il prodotto, l’ha provato, gli/le è piaciuto e vuole condividerlo con i follower) oppure se la buona recensione è frutto di una transazione commerciale (e quindi la persona è stata pagata per parlarne bene o il prodotto le è stato regalato per poterne parlare).

Negli Stati Uniti la Federal Trade Commission obbliga gli influencer che pubblicano post sponsorizzati su Instagram a taggare nel post il brand sponsorizzato e ad inserire come primi hashtag #sponsored o #ad in modo tale che gli utenti possano percepire immediatamente la natura commerciale della pubblicazione.

Fonte immagine: https://skedsocial.com/blog/instagram-sponsored-post/

E in Italia? A parte qualche campagna di persuasione da parte dell’Antitrust che sembra dare buoni frutti (anche se la strada da fare è ancora lunga) al momento non c’è una legge ad hoc, ma l’articolo 23 del Codice del consumo stabilisce che è vietato “dichiarare o lasciare intendere, contrariamente al vero, che il professionista non agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, o presentarsi, contrariamente al vero, come consumatore”.

In sostanza, chi parla di un prodotto spacciando una recensione pagata come opinione sincera di un consumatore quando – invece – si tratta a tutti gli effetti di un messaggio promozionale dietro compenso rischia quindi di incorrere in sanzioni per pubblicità occulta.

Non dichiarare una collaborazione (e quindi la natura commerciale di un post) può essere conveniente nel breve termine sia per le aziende che per gli influencer, ma si perde di credibilità quando si viene scoperti, e accade spesso: il messaggio che passa è quello di una marca a cui non interessa mentire al pubblico pur di guadagnare e che per riuscire a far parlare bene di sé deve pagare.

In conclusione

L’influencer marketing può sembrare a molte aziende la “strada facile” per ottenere visibilità e guadagni: purtroppo non è sempre così e ci sono vari casi che lo dimostrano, uno dei più recenti è quello della influencer da 2 milioni di follower che non è riuscita a vendere neanche 36 magliette.

Ma questi esempi non devono neppure far pensare che l’influencer marketing sia uno specchietto per le allodole: alcune collaborazioni hanno avuto enorme successo contribuendo in modo significativo alla crescita del brand.

Possiamo quindi dire che i brand possono ottenere molto dall’influencer marketing, ad alcune condizioni:

  • scegliendo con cura l’influencer con cui collaborare, tenendo in considerazione vari fattori (età del pubblico di riferimento, piattaforme presidiate, valori incarnati dall’influencer, etc.)
  • creando relazioni di qualità, che non diano eccessiva libertà all’influencer (è sempre bene tenere sotto controllo la comunicazione) ma nemmeno obbligarlo a seguire un copione da cui non può allontanarsi (gli influencer sono apprezzati anche per modi di comunicare che li contraddistinguono e con cui gli utenti si identificano)
  • diventando complici nel coinvolgere il pubblico, restando trasparenti e dichiarando sempre quando un post è frutto di una collaborazione a fini commerciali
  • non focalizzandosi su metriche vanity (numero di follower, numero di commenti, tasso di engagement) nel valutare i risultati.

Detto questo, se decidiamo di iniziare una collaborazione con un influencer è sempre bene affidarsi a professionisti competenti che possano darci una mano ad orientarci e comprendere un universo che può nascondere diverse insidie ma che – con le giuste attenzioni – può portare anche a grandi risultati.

*Aggiornamento del 26 luglio 2019:  l’influencer marketing dal punto di vista degli influencer

La maggior parte dei dati che abbiamo trattato in questo post fanno riferimento all’influencer marketing dal punto di vista dell’azienda; è però appena stato pubblicato il nuovo report di Onim (scaricabile da qui) che si occupa di questo fenomeno dal punto di vista degli influencer italiani, quindi dei creatori di contenuto.

Anche in questo caso, emergono dati interessanti:

  • il 38,3% degli influencer ha meno di 20 anni, il 21,7% ha tra i 20 e i 30 anni, il 23,3% tra i 30 e i 40 anni e solo il 16,7% è over 40
  • i 5 settori più diffusi sono health (27%), musica (27%), fashion (20,43%), lifestyle (19%) e travel (15,2%)
  • le piattaforme su cui gli influencer sono più attivi sono Instagram (53,2%), Facebook (18,5%), blog (9,2%), Twitter (7,9%) Youtube (5,1%), LinkedIn (4,2%) e Snapchat (1,9%)
  • in media in Italia il 72,7% degli influencer realizza da 1 a 3 collaborazioni mensili,il 10,8%ne realizza da 3 a 5, il 9,9% da 5a 7, il 4,1% da 7 a 10 e il 2,5% oltre 10
  • Tra i criteri di valutazione per accettare una collaborazione, gli influencer danno molto peso al compenso economico (40%), alla reputazione del brand (47%), alla qualità del progetto (54%), alla possibilità di ricevere prodotti omaggio(22%), alla visibilità (25%), alla possibilità di ricevere esperienze gratuite come viaggi etc. (39%)
  • il 16,5% degli influencer richiede sempre di essere retribuito per una collaborazione, il 15,7% lo richiede spesso, il 43,8% solo a volte e il 24% non lo richiede mai
  • gli influencer vengono retribuiti principalmente a contenuto (58,8%) ma il 20,2% viene pagato a performance eil 21% viene pagato per unmix tra performance e contenuto
  • solo il 17% degli influencer intervistati riesce a mantenersi con le collaborazioni che, in media, vengono pagate meno di 300 € su Instagram e Facebook mentre sono molto più care su YouTube o sul blog.

Vale la pena soffermarsi con più attenzione sul tema della trasparenza; abbiamo detto che in Italia non c’è una legge ad hoc che regola la collaborazione fra aziende e influencer ma che l’articolo 23 del Codice del consumo sancisce l’obbligo di dichiarare se esercitiamo una attività commerciale che non va confusa con quella del semplice consumatore.

Abbiamo visto anche che quando un brand e un influencer vengono “pizzicati” in una collaborazione non dichiarata, entrambi perdono credibilità agli occhi del pubblico.

Tuttavia, solo il 17,4% delle aziende richiedono all’influencer di dichiarare la collaborazione, il 19,8% lo fa spesso, il 38,4% lo fa a volte ma ben il 24,4% delle aziende non richiede mai di dichiarare la sponsorship.