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Come si scrive una social media policy efficace? Contenuti ed esempi per le linee guida di comportamento sui social

Stella Fumagalli

Tempo di lettura: 10′

Di recente abbiamo pubblicato un approfondimento sul social customer service, ovvero l’assistenza clienti che un’azienda o un brand presta attraverso i suoi canali social.

Abbiamo detto che chi si occupa di social customer care non solo deve conoscere perfettamente le funzionalità delle piattaforme sulle quali l’azienda è presente, ma deve anche avere le capacità e le conoscenze adeguate per interfacciarsi con utenti e clienti che si rapportano con i profili aziendali.

Chi posta sui profili aziendali, infatti, parla a nome dell’azienda; ma lo fa anche quando posta sui suoi profili privati?

Probabilmente su due piedi ci verrebbe da rispondere di no: quando usciamo dall’ufficio non stiamo più rappresentando l’azienda e, di conseguenza, sui nostri profili social possiamo pubblicare ciò che desideriamo.

Fonte immagine: http://bit.ly/2ER056b

Questo è vero fino a un certo punto: pensiamo di lavorare per una nota azienda di prodotti vegani; potremmo pubblicare una nostra foto mentre mangiamo una costina di maiale alla grigliata di Pasquetta senza conseguenze o la reputazione aziendale ne risentirebbe?

Oppure: ci siamo fatti un selfie insieme ai colleghi alla festa natalizia in azienda e lo pubblichiamo sul nostro account Instagram; siamo sicuri che l’azienda ci permetta di mostrare pubblicamente gli interni degli uffici?

Queste e tantissime altre situazioni legate all’uso dei social network (in azienda e fuori) non possono essere lasciate al caso: per questo – sia per le imprese che per le figure che si interfacciano con loro – è utile redigere una social media policy (SMP).

Alle SMP avevamo già dedicato un approfondimento tempo fa; oggi vedremo quali sono le informazioni che dovrebbe contenere una social media policy, quali sono gli eventuali risvolti legali legati a un uso improprio dei social network e, infine, vedremo alcuni esempi di SMP reali redatte da aziende o enti famosi.

Ma prima, un breve ripasso!

Cos’è una social media policy e quante tipologie ne esistono?

Quando parliamo di SMP facciamo riferimento a una serie di regole di comportamento rivolte a diverse figure che si trovano a dover interagire con i canali social di un’azienda, un servizio o un brand (ma anche in generale); è quindi una sorta di manuale d’uso aziendale per sapersi muovere nel mondo social nella maniera che l’azienda ritiene più giusta e più in linea con i suoi valori, per avere dei riferimenti che siano comuni a tutti (dipendenti, collaboratori, fornitori, etc.) e per chiarire quali sono le opportunità che i social media offrono in ambito aziendale.

Gli argomenti da trattare in una SMP possono differire a seconda della realtà per la quale viene redatta e ai destinatari a cui si rivolge; in linea generale, comunque, ci sono tre tipi di social media policy:

1) per le figure che all’interno dell’azienda si occupano della gestione dei social media, ovvero i dipendenti o il team di social media specialist che parla a nome dell’azienda attraverso i suoi canali social;

2) per i dipendenti, fornitori, collaboratori esterni che si interfacciano con i canali social dell’azienda e che – anche dai loro profili personali – sono tenuti a rimanere in linea con i valori dell’azienda con cui collaborano;

3) per i clienti e il pubblico: qui troviamo una serie di norme atte a regolare il rapporto tra azienda e utenti/clienti, questi ultimi infatti sono invitati a rispettare alcune regole.

Contenuti di una social media policy: cos’è importante definire?

Nonostante ci siano dei fattori che ritroviamo praticamente in tutte le situazioni, ciò che viene stabilito in una social media policy cambia a seconda dell’attività svolta dall’azienda (una casa farmaceutica dovrà prestare attenzione a fattori diversi rispetto a una gioielleria, per esempio) e dai destinatari a cui è rivolta.

Andiamo quindi a vedere quali sono, in linea di massima, le variabili che è importante definire per ogni tipologia di SMP.

Tipologia di SMP numero 1: per chi gestisce i social network all’interno dell’azienda

Cosa è importante definire in relazione ai profili aziendali:

  • chi può accedervi
  • chi e con che cadenza deve aggiornare i profili (dati dell’azienda, password, etc.)
  • valori dell’azienda
  • tone of voice da utilizzare
  • formule di cortesia (come rivolgersi ai clienti, come salutare, usare tu / lei, etc.)
  • argomenti da evitare
  • interazione con i concorrenti
  • tempi massimi di risposta quando arriva un commento o un messaggio
  • risposte standard
  • gestione di commenti o feedback positivi
  • gestione di commenti o feedback negativi
  • gestione di situazioni di crisi
    • definire cosa si intende per situazioni di crisi
    • quando è necessario fare un’escalation
    • fermare tutte le attività social (promo, post, etc.) e definire le pubblicazioni nell’ottica della crisi
  • gestione dei dati sensibili (o che comunque non devono essere diffusi)degli utenti e dei dipendenti
  • gestione delle informazioni confidenziali e non che riguardano l’azienda

Cosa è importante definire in relazione ai profili personali dei dipendenti:

  • dichiarare o meno di essere dipendenti dell’azienda quando ne parlano sui loro profili (specificando o meno il ruolo)
  • possibilità di pubblicare contenuti e/o opinioni in contrasto coi valori aziendali
  • gestione di informazioni confidenziali e non che riguardano l’azienda (foto degli interni dell’azienda, etc.)
  • gestione dei dati sensibili (o che comunque non devono essere diffusi) degli utenti e dei dipendenti

Tipologia di SMP numero 2: per dipendenti, fornitori, collaboratori esterni

Cosa è importante definire in relazione ai profili personali dei collaboratori che si interfacciano con l’azienda sia a livello interno che esterno:

  • se e quando dichiarare o meno di essere collaboratori dell’azienda quando ne parlano sui loro profili (specificando o meno il ruolo)
  • possibilità di pubblicare contenuti e/o opinioni in contrasto coi valori aziendali
  • gestione di informazioni confidenziali e non che riguardano l’azienda
  • gestione dei dati sensibili (o che comunque non devono essere diffusi) degli utenti e dei dipendenti

Tipologia di SMP numero 3: per clienti e pubblico

Cosa è importante definire per regolare il rapporto tra azienda e utenti:

  • gestione dei commenti provenienti da profili falsi (lasciarli o cancellarli)
  • regole di comportamento
    • gestione dei commenti volgari
    • gestione degli insulti/minacce
    • gestione dei commenti che contengono dati personali dell’utente o di terzi
    • gestione dei commenti con foto
  • argomenti ritenuti non adeguati
  • obbligo di attenersi o meno a un tema specifico nelle interazioni (nascondere o cancellare i commenti off topic)
  • possibilità di contattare l’azienda per ricevere assistenza clienti
  • possibilità di contattare l’azienda per inoltrare feedback positivi o negativi
  • possibilità da parte dell’azienda di rimuovere contenuti degli utenti che vadano contro le regole

SMP: non solo divieti ma strumenti di educazione

Una social media policy per essere davvero efficace non può limitarsi a essere un elenco di cose che si possono o non si possono fare: le linee guida della SMP devono essere un invito a riflettere riguardo al nostro comportamento online e – per quanto riguarda i profili aziendali – devono mettere le basi per creare un contesto in cui gli utenti desiderano essere attivi e condividere informazioni, esperienze, feedback.

Nel realizzare una social media policy è necessario tenere conto (se esistono) di altri documenti aziendali relativi a norme etiche, sociali, di comportamento e di scrittura come ad esempio:

  • codice etico aziendale
  • codice di condotta aziendale
  • guida di stile aziendale
  • accordo di riservatezza fra le parti

Nella SMP quindi devono riflettersi i valori e le norme stabilite e raccolte in precedenza in questi documenti, che potranno anche essere menzionati nell’introduzione della policy in modo tale che siano facilmente consultabili da tutti i destinatari.

Molto spesso quando si passa a parlare di norme viene naturale passare a un linguaggio tecnico e artificioso che viene percepito come più “ufficiale”: invece è importantissimo che le social media policy siano scritte in maniera chiara, non ambigua e facilmente comprensibile da tutti i destinatari che non devono trovarsi in difficoltà nel leggerla o interpretarla.

L’ideale, poi, è non dilungarsi troppo: se, però, la situazione lo richiede ed è necessario stilare una SMP particolarmente lunga è sempre bene crearne una versione ridotta con solo le informazioni più importanti.

Infine è importante ricordare che una SMP può essere redatta in modo eccezionale ma, se poi viene lasciata a sé stessa, perde tutta la sua utilità: è necessario un controllo costante sull’effettiva messa in pratica di ciò che si è stabilito nella SMP ed è importante che dipendenti e i collaboratori vengano formati proattivamente e messi in guardia sulle eventuali conseguenze del loro comportamento online – non solo nei confronti dell’azienda – ma anche di possibili implicazioni etiche e legali.

Conseguenze legali legate a un uso improprio dei social network

I nostri profili sui social network e ciò che facciamo con essi sono spesso uno specchio di ciò che facciamo nella vita reale; ma mentre moltissime persone nelle loro interazioni quotidiane non si sognerebbero mai di insultare, minacciare o umiliare una persona, non si fanno problemi a farlo sui social network complice l’impressione (sbagliata) che ciò che si pubblica sui social non abbia conseguenze sulla vita reale.

Sebbene non succedesse quando i social network erano ancora strumenti recenti, con l’affermarsi di queste piattaforme e il peso crescente che i contenuti pubblicati su di esse esercitano sulla vita altrui (privata e professionale) una serie di articoli del codice penale italiano ora vengono applicati anche nella risoluzione di conflitti che hanno luogo proprio sulle reti sociali; andiamo a vedere i principali.

Delitto di diffamazione (art. 595 del codice penale):

Fonte immagine: http://bit.ly/2QTwLST

Basta andare sotto qualsiasi pubblicazione social di qualsiasi figura politica per trovare centinaia o migliaia di commenti: tra chi è in disaccordo troveremo persone che esprimono la loro opinione in maniera civile e chi, invece, lo fa insultando, minacciando e usando toni assolutamente fuori luogo.

Questo succede ai politici ma anche a tutte le altre personalità di spicco e, in alcuni casi, può succedere anche ai privati cittadini che vengono presi di mira da altri utenti (che conoscono anche nella vita reale o meno) o insultati a seguito di un loro commento.

Sebbene sia quindi una pratica (purtroppo) molto diffusa e portata avanti “a cuor leggero” non è esente da conseguenze legali (lasciando a un lato quelle morali, non meno importanti); ricordiamo infatti quando la ex Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini decise di cominciare a denunciare chi la insultava sui social network.

Infatti l’articolo 595 del codice penale che regola il delitto di diffamazione afferma che:

chiunque […] comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1032 Euro”.

Ai commi 2 e 3 di questo articolo si sottolinea che se l’offesa consiste nell’attribuzione di un determinato fatto la pena aumenta, e se l’offesa è diffusa col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516 (e passa ad essere diffamazione aggravata).

La sentenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 50/2017) afferma infatti che “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “Facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 terzo comma del codice penale, poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone; l’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova, infatti, la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato a coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche del social network, destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica”.

Ipotesi illecita: sostituzione di persona (art. 494 del codice penale)

Fonte immagine: http://bit.ly/2Q5IhVX

Sui social network non solo abbondano i profili falsi (quindi con nomi e dati completamente inventati senza far riferimento a nessuno in particolare) ma può capitare anche che alcune persone si spaccino per altri individui creando profili ad hoc con nome, cognome e dati di una persona specifica.

L’articolo 494 del codice penale fa riferimento alla sostituzione di persona e afferma che:

Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di arrecare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino a un anno”.

Tuttavia non tutte le situazioni sono perseguibili penalmente, ma c’è reato quando:

  • un individuo è tratto in errore sulla identità personale dell’autore;
  • l’obiettivo dei comportamenti è procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare un danno.

Tale norma trova la sua applicazione nell’ambito delle nuove tecnologie, pur non rientrando nelle previsioni dei crimini informatici introdotte con la Legge 547 del 1993.

La sentenza n.46674 del 2007 della Corte di Cassazione dichiara che “Oggetto della tutela penale, in relazione al delitto preveduto nell’art.494 c.p. è l’interesse riguardante la pubblica fede, in quanto questa può essere sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua identità o ai suoi attributi sociali. E siccome si tratta di inganni che possono superare la ristretta cerchia di un determinato destinatario, così come il legislatore ha ravvisato in essi una costante insidia alla fede pubblica e non soltanto alla fede privata e alla tutela civilistica del diritto al nome”.

Postare immagini altrui (privacy, diritto d’autore e diritto all’immagine, art.4 della Legge 196/2003)

Sui social network non è difficile trovare gallerie fotografiche che ritraggono persone del tutto ignare di essere state fotografate: chi per via di un abbigliamento particolarmente insolito, chi per essersi addormentato in posizioni impossibile sui mezzi pubblici… Le motivazioni possono essere tantissime.

Sebbene possano sembrare foto del tutto innocue, l’art.4 della Legge 196/2003 sulla tutela della privacy afferma che l’immagine di un soggetto rappresenta un dato personale; inoltre ai sensi dell’art.13 dello stesso codice il titolare del trattamento dei dati ha l’obbligo di informare preventivamente l’interessato che il suo dato (immagine fotografica) potrà formare oggetto di trattamento, dando la possibilità all’interessato di esercitare in qualsiasi momento i diritti previsti dall’art.7 della L.196/2003 per ottenere:

  • l’aggiornamento
  • la rettificazione
  • l’integrazione
  • la cancellazione del dato trattato

Sull’utilizzo delle foto che ritraggono terzi interviene anche la Legge 633/41 sulla protezione del diritto d’autore indicando nel consenso (art.96) la scriminante che esclude la responsabilità di colui che pubblica l’immagine fuori dai casi consentiti dalla legge e detta:

Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell’articolo seguente”.

Ci sono comunque dei casi in cui il consenso della persona di essere fotografata non serve: quali sono? Lo dice l’articolo 97:

  • quando il soggetto è fotografato in virtù di qualche ufficio pubblico che ricopre
  • se è fotografato per ragioni di giustizia o di polizia, oppure per scopi scientifici, didattici, culturali
  • se la riproduzione è legata a fatti, avvenimenti, cerimonie di pubblico interesse o che comunque si sono svolte in pubblico

Anche in queste eccezioni è necessario comunque il consenso dell’interessato se l’esposizione o la messa in commercio delle immagini che lo ritraggono può arrecare danno alla reputazione ed al decoro della persona ritratta (comma 2, articolo 97).

Il diritto all’immagine è anche tutelato dal codice civile; l’articolo 10 della legge 633/41 afferma che:

Qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta,o pubblicata fuori dai casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni.”

Per le violazioni più gravi sul trattamento dei dati personali si ricorre alle sanzioni penali puntualmente dettate dall’art.167 “trattamento illecito di dati” del codice in materia di protezione dei dati personali, che dichiara:

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18.19.23.124.126 e 130, ovvero in applicazione dell’articolo 129,è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi.”

Reato di diffamazione a mezzo internet (Legge 547/93)

La Legge 547/93 ha introdotto una serie di ipotesi illecite relativamente ai ”reati informatici”; i reati previsti dall’articolo 595 (diffamazione) del codice penale tengono conto anche tutti quei comportamenti lesivi dell’onore e del decoro di una persona che si realizzano attraverso le nuove forme di comunicazione nate grazie alle attuali tecnologie informatiche.

A riguardo, la Corte di Cassazione, con la sentenza 4741 del 2000 stabilisce che:

Il legislatore, pur mostrando di aver preso in considerazione la esistenza di nuovi strumenti di comunicazione, telematici ed informatici, non ha ritenuto di dover mutuare o integrare la lettera della legge con riferimento a reati (e, tra questi certamente quelli contro l’onore la cui condotta consiste nella (o presuppone la) comunicazione dell’agente con terne persone). E tuttavia, che i reati previsti dagli articoli 594* e 595 c.p. possono essere commessi anche per via telematica o informatica, è addirittura intuitivo; basterebbe pensare alla cosiddetta trasmissione via e-mail, per rendersi conto che è certamente possibile che un agente, inviando a più persone messaggi atti ad offendere un soggetto, realizzi la condotta tipica del delitto di ingiuria (se il destinatario è lo stesso soggetto offeso) o di diffamazione (se i destinatari sono persone diverse)

*abrogato

Ma cosa afferma l’articolo 595 del codice penale che regola e punisce la diffamazione?

Chiunque, fuori dai casi indicati nell’articolo precedente comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a Euro 1.032.  Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a Euro 2.065. Se l’offesa è recata con mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a Euro 516. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.

Affinché si verifichi il reato di diffamazione, è necessario che siano presenti tre elementi fondamentali:

  • l’assenza dell’offeso
  • l’offesa deve riguardare l’altrui reputazione;
  • la percezione dell’offesa da parte di più persone

In Italia una delle prime sentenze in tema di risarcimento danni per diffamazione compiuta su social network (Facebook in questo caso specifico) è la sentenza 770 del 2 marzo 2010 del Tribunale Civile di Monza.

5 esempi di social media policy

Ora che abbiamo chiara la teoria che sta alla base delle SMP è ora di passare alla pratica: andiamo quindi a vedere qualche esempio di social media policy di aziende o enti reali (ne abbiamo scelte due per l’inglese e tre per l’italiano) per capire come vengono messi in pratica i concetti di cui abbiamo parlato in questo approfondimento!

Social media policy di Coca-Cola (inglese)

Nell’introduzione del documento la compagnia dichiara qual è il senso di definire una serie di linee guida per l’uso dei social: “These online social media principles have been developed to help empower our associates to participate in this new frontier of marketing and communications, represent our Company, and share the optimistic and positive spirits of our brands”.

(“Abbiamo sviluppato queste linee guida sui social media online per aiutare i nostri collaboratori a essere in grado di prendere parte a questa nuova frontiera del marketing e della comunicazione, a rappresentare la nostra Azienda e a condividere lo spirito positivo e ottimista dei nostri brand.).

Subito dopo l’azienda ricorda i valori su cui si basa la sua visione e la sua crescita: leadership, collaboration, integrity, accountability, passion, diversity, quality (leadership, collaborazione, integrità, assumersi le proprie responsabilità, passione, diversità e qualità).

Prima di cominciare con le regole vere e proprie, Coca Cola ricorda ai suoi collaboratori che:

The Company encourages all of its associates to explore and engage in social media communities at a level at which they feel comfortable. Have fun, but be smart. The best advice is to approach online worlds in the same way we do the physical one – by using sound judgment and common sense, by adhering to the Company’s values, and by following the Code of Business Conduct and all other applicable policies.

(“L’azienda incoraggia i suoi collaboratori a partecipare nelle comunità dei social media nel modo in cui si sentono più a loro agio. Divertitevi, ma con giudizio. Il consiglio migliore è quello di approcciarsi al mondo online nello stesso modo in cui lo fareste nel mondo fisico, usando quindi giudizio e buon senso, aderendo ai valori dell’azienda e seguendo il codice di condotta aziendale e tutte le altre policy applicabili.”)

Prima abbiamo detto che chi posta sui profili aziendali parla a nome dell’azienda e che in alcune situazioni lo fa anche quando posta sui profili privati; a questo riguardo Coca-Cola dice quanto segue:

Be mindful that you are representing the Company. As a Company representative, it is important that your posts convey the same positive, optimistic spirit that the Company instills in all of its communications. Be respectful of all individuals, races, religions and cultures; how you conduct yourself in the online social media space not only reflects on you – it is a direct reflection on the Company.”

Ricordate che state rappresentando l’azienda. Come rappresentanti dell’azienda è importante che le vostre pubblicazioni trasmettano lo stesso spirito positivo e ottimista che l’Azienda instilla in tutte le sue comunicazioni. Siate rispettosi nei confronti di ogni individuo, razza, religione e cultura; il vostro comportamento sui social media online non si riflette solo su di voi, ma si riflette direttamente anche sull’Azienda.

2. Social media policy di Adidas (inglese)

Anche qui la compagnia ricorda i propri valori e comunica il perché ritiene importante stabilire delle linee guida di comportamento sui social

At the adidas Group we believe in open communication and you are encouraged to tell the world about your work and share your passion. […] However, these new ways of communication are changing the way we talk to each other and even to our consumers, target audiences and partners. In order to avoid any problems or misunderstandings, we have come up with a few guidelines to provide helpful and practical advice for you when operating on the internet as an identifiable employee of the adidas Group and its brands.

(“Nel gruppo Adidas crediamo nella comunicazione aperta e incoraggiamo tutti a parlare al mondo del vostro lavoro e condividere le vostre passioni. […] Tuttavia, questi nuovi metodi di comunicazione stanno cambiando il mondo in cui parliamo tra noi ma anche ai nostro clienti, al nostro pubblico di riferimento e ai collaboratori. Con l’obiettivo di evitare ogni sorta di problemi o fraintendimenti, abbiamo stabilito alcune linee guida per darvi consigli pratici e utili quando interagite in internet in qualità di dipendenti riconoscibili del Gruppo Adidas e dei suoi brand”.)

Anche Adidas chiede di fare attenzione quando si posta sui profili personali, consigliando di mettere un disclaimer: “Only very few people in this company are official spokesperson for the Group or its brands, so if you are not one of them you must make clear that you are speaking for  yourself and not for the Group. You can use a disclaimer like “The postings on this site are my own and do not necessarily represent the position, strategy or opinions of the adidas Group and its brands“.

(“In questa azienda solo poche persone operano come portavoci ufficiali del Gruppo o dei suoi brand: quindi, se non siete una di queste persone, dovete subito dichiarare che state parlando per voi stessi e non a nome del Gruppo. Potete usare un disclaimer come “le pubblicazioni su questo sito sono a mio nome e non rappresentano necessariamente la posizione, strategia o opinione del Gruppo Adidas e dei suoi brand”.)

E ricorda che bisogna sempre stare attenti alle conseguenze di ciò che si posta online:

Think about consequences. Imagine you are sitting in a sales meeting and your client brings out a printout of a colleague’s post that states that the product you were about to sell “completely sucks”.[…] Using your public voice to trash or embarrass your employer, your customers, your co-workers or even yourself is not okay – and not very smart.

(“Pensate alle conseguenze. Immaginatevi di essere ad una riunione di vendita e il vostro cliente tira fuori la stampa del post di un vostro collega in cui dichiara che il prodotto che state per vendere ’fa veramente schifo’. […] Usare pubblicamente la vostra voce per gettare fango o mettere in imbarazzo il vostro capo, i vostri clienti i vostri colleghi o addirittura voi stessi non va bene, e non è una mossa molto intelligente.”)

3. Social media policy di Unioncamere Emilia Romagna (italiano)

Anche qui, nell’introduzione, Unioncamere spiega gli obiettivi della social media policy:

La Social Media Policy Interna fornisce le principali norme di comportamento che tutto il personale di Unioncamere ER ed eventualmente i professionisti esterni incaricati sono tenuti ad osservare quando utilizzano i social media e pubblicano contenuti e commenti, sia che questo faccia parte del proprio lavoro e avvenga tramite un account aziendale sia quando attraverso un account personale si parla direttamente o indirettamente dell’attività di Unioncamere ER o del ruolo svolto all’interno dell’ente. L’utilizzo scorretto dei canali social, infatti, può danneggiare anche gravemente l’immagine e la reputazione dell’ente e, di conseguenza, delle figure professionali che vi lavorano”.

In questa policy sono presenti anche indicazioni sul modo di comunicare a seconda della piattaforma social utilizzata:

A titolo esemplificativo, si ricorda che su Twitter il linguaggio è telegrafico e professionale e l’obiettivo è informare sulla notizia, su Linkedln è più elaborato e istituzionale, mentre su Facebook lo stile è più vicino al pubblico, senza perdere l’autorevolezza dell’istituzione.

Mentre sull’uso dei profili privati dei dipendenti dice che:

Il personale di Unioncamere ER, nella configurazione, utilizzo e gestione dei propri account privati sui social media è tenuto a rispettare alcune norme di comportamento, tese a garantire la salvaguardia dell’ente e delle persone che vi lavorano.
Il dipendente che sceglie di rendere nota la sua attività lavorativa, è tenuto a specificare nelle informazioni biografiche personali che le opinioni espresse hanno carattere personale e non impegnano in alcun modo la responsabilità dell’ente”.

4. Social media policy del Ministero dello Sviluppo Economico (italiano)

In un primo momento vengono stabilite le norme d’uso della pagina:

Nei social network ognuno è responsabile dei contenuti che pubblica e delle opinioni che esprime. Non sono comunque tollerati insulti, volgarità, offese, minacce. I contenuti pubblicati devono rispettare la privacy delle persone.

Vanno evitati riferimenti a fatti o a dettagli privi di rilevanza pubblica, atteggiamenti violenti, offensivi o discriminatori rispetto al genere, orientamento sessuale, età, religione, convinzioni personali, origini etniche, disabilità. Messaggi contenenti dati personali (indirizzi email, numeri di telefono, numeri di conto corrente, indirizzi, etc) verranno rimossi a tutela delle persone interessate.

L’interesse pubblico degli argomenti è un requisito essenziale:non è possibile utilizzare questi spazi per affrontare casi personali. Non è tollerata alcuna forma di pubblicità, spam o promozione di interessi privati o di attività illegali.

In un secondo momento si passa a definire i casi in cui commenti e post verranno moderati/cancellati:

Nei casi più gravi – e in modo particolare in caso di mancato rispetto delle regole condivise in questo documento – il Ministero si riserva la possibilità di cancellare i contenuti, allontanare gli utenti dai propri spazi e segnalarli ai filtri di moderazione del social network ospitante ovvero, nello specifico, saranno rimossi commenti e post che violino le condizioni esposte in questo documento.

Vengono anche indicati gli orari in cui i profili social vengono moderati:

I canali del Ministero dello Sviluppo Economico vengono moderati dal Lunedì al Venerdì dalle 09.00 alle 18.00; ogni richiesta pervenuta nelle giornate non lavorative viene comunque monitorata e presa in carico.

5. Social media policy di La Stampa (italiano)

Questa social media policy è particolare: il giornalista – per lavoro – esprime opinioni che però devono essere in linea con quelle della testata editoriale per la quale lavora, e questo deve accadere sia nei canali social ufficiali sia in quelli privati; infatti il punto 2 dice:

I giornalisti de La Stampa sono tenuti a identificarsi come tali se utilizzano i loro profili per lavoro (e non solo per interesse personale).”

E poi (articolo 9):

I giornalisti de La Stampa sui social networks devono sapere che qualsiasi informazione personale che rivelano di sé o dei loro colleghi può essere associata al nome della Stampa”.

Ma anche (articolo 10):

I giornalisti de La Stampa devono tenere presente che qualsiasi opinione esprimano sui social networks può danneggiare la reputazione e la credibilità del loro giornale. Si raccomanda di applicare buon senso e professionalità.

E’ bene dichiarare sempre che le opinioni che si esprimono sono personali, ma è bene anche tenere conto che parlare male di chiunque ha sempre conseguenze negative sia per i giornalisti che per la testata. Sono altamente scoraggiati i battibecchi.

In conclusione

Sebbene i social network non siano più strumenti del tutto recenti ancora tante persone, e tante aziende, hanno difficoltà a utilizzarli nel modo corretto.

Se un uso improprio dei social network a livello privato ha conseguenze etiche e legali legate al singolo (come quelle che abbiamo visto prima), quando la persona in questione lavora per un’azienda che ha dichiarato tutta una serie di valori la situazione si complica ulteriormente, per non parlare delle potenziali crisi a cui può andare incontro un’azienda se non usa i propri canali di comunicazione ufficiali con buon senso e attenzione.

Spesso le grandi aziende sono in grado di fare la differenza: un esempio che facciamo spesso è Google che racconta delle sue iniziative per la difesa dell’ambiente: mettendo in pratica i valori che ha fatto suoi non solo fa una dichiarazione, ma usa la sua voce per “tracciare la strada” verso l’adozione da parte di un numero sempre crescente di aziende e persone di pratiche per salvaguardare l’ecosistema (per fare riferimento a questo caso specifico).

Allo stesso modo è importante che le aziende dichiarino nelle loro social media policy ciò che non può essere tollerato nell’interazione fra gli utenti e la marca o fra gli utenti stessi: ricordando che ormai le parole che pubblichiamo online non sono diverse fra ciò che pronunciamo nella vita reale non può esserci spazio per insulti, minacce, umiliazioni, bullismo, etc.

Abbiamo detto infatti che le social media policy sono anche uno strumento di educazione: per dichiarare ciò che non può più essere tollerato – non solo sui social, ma nella vita reale – si passa anche da lì.