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Cos’è lo Shadowban su Instagram?

Stella Fumagalli 22 Luglio 2019

Lo Shadowban è un metodo che utilizza Instagram per penalizzare gli account che utilizzano tecniche sleali (ad esempio il Like4Like, il Follow / Unfollow o la Mother / Slave) per aumentare artificialmente il numero di follower o per incrementare le chance di farsi trovare sulla piattaforma.

Con lo Shadowban Instagram fa in modo che sia più difficile trovare un account dal motore di ricerca della piattaforma per tutti coloro che non seguono il profilo: cercando un particolare hashtag, infatti, l’account penalizzato non sarà presente fra i risultati restituiti nonostante abbia usato quell’hashtag.

In questo modo la visibilità del profilo è molto limitata poiché l’account viene reso invisibile agli occhi di potenziali follower: è importante ricordare infatti che l’account sparisce dall’elenco degli hashtag solo per chi non segue il profilo (e quindi le possibilità di crescita di follower diminuiscono) mentre chi già segue l’account continua a vederlo.

Chi subisce uno Shadowban non nota differenze immediate nel proprio profilo, quindi non si rende conto subito di essere stato penalizzato; nel medio/lungo termine può però notare una diminuzione della crescita dei follower.

Per verificare se abbiamo subito uno Shadowban possiamo pubblicare una foto con un hashtag poco utilizzato e poi cercare quell’hashtag da un profilo Instagram che non ci segue: se non appaiamo fra i risultati, siamo stati penalizzati.

Se smettiamo di utilizzare le tecniche sleali che ci hanno portato alla penalizzazione lo Shadowban viene ritirato nel giro di qualche settimana (ma possiamo essere di nuovo penalizzati se ricominciamo a utilizzare tecniche vietate).

Per essere sicuri di non incorrere in questa “sanzione” assicuriamoci di:

  • non utilizzare tecniche sleali (Like4Like, Follow / Unfollow, Mother / Slave, etc.)
  • non utilizzare hashtag che possono essere considerati spam o hashtag bannati (in questa pagina è disponibile un elenco costantemente aggiornato degli hashtag bannati)
  • eliminare dai post già pubblicati eventuali hashtag bannati


Cos’è la tecnica Mother / Slave su Instagram?

Stella Fumagalli 22 Luglio 2019

La tecnica Mother / Slave (a volte conosciuta anche come tecnica Mother / Child) è una tecnica sleale che viene utilizzata su Instagram per aumentare in modo artificiale i follower di un account.

L’account che deve aumentare il numero dei follower è l’account madre (Mother); a fare il “lavoro sporco” sono tutta una serie di account (account Slave o Child) che vengono creati o coinvolti con il solo obiettivo di promuovere e diffondere i contenuti pubblicati dall’account madre.

Gli account Slave possono essere profili come “fan page” che ri-postano i contenuti dell’account madre oppure profili legati al settore dell’account madre: se il Mother account è, per esempio, un brand di make up, i profili Slave possono rimandare ad influencer del settore beauty.

Per rimandare traffico all’account Madre i profili Slave utilizzano tutta una serie di tecniche, ad esempio menzionare l’account madre direttamente in bio o sotto ogni post oppure mandando messaggi diretti ad altri account con l’invito a seguire il profilo Madre.

La tecnica Mother / Slave è piuttosto complessa da mettere in piedi perché include diversi account che devono essere gestiti in modo simultaneo e idealmente da indirizzi IP diversi; per questo ci sono strumenti online che offrono questo servizio.

Anche questa tecnica, al pari di altre come ad esempio il “Follow / Unfollow” è ostacolata da Instagram e può portare a conseguenze anche gravi per gli account coinvolti (blocco dell’account o Shadowban).


Cos’è la tecnica Follow / Unfollow su Instagram?

Stella Fumagalli 22 Luglio 2019

La tecnica Follow / Unfollow è una delle tecniche utilizzate prevalentemente su Instagram con l’obiettivo di aumentare artificialmente il numero dei follower di un account.

Il suo funzionamento può essere facilmente intuito dal nome (in italiano Follow / Unfollow significa “seguire / non seguire più”): con questa tecnica si cominciano a seguire vari account su Instagram e – qualche giorno dopo – si passa a togliere il follow indipendentemente dal fatto che gli account in questione abbiano cominciato a seguirci a loro volta o meno.

In questo modo è più facile aumentare il numero di follower al proprio account: quando cominciamo a seguire qualcuno – soprattutto se si tratta di un account legato al nostro per interessi, argomenti, stile, etc – molto spesso anche l’account a cui abbiamo messo il follow comincia a seguirci a sua volta. Se dopo qualche giorno togliamo il follow ci sono buone probabilità quell’account non se ne accorgerà (a meno di andare a controllare) mentre lui continuerà ad apparire tra i nostri follower.

Di certo qualcuno che si rende conto di essere stato defollowato c’è e toglierà a sua volta il follow, ma molti altri non andranno mai a controllare e continueranno ad apparire tra i follower di quel profilo, il cui numero quindi continuerà a crescere senza che ci sia però vero interesse.

Sebbene questa pratica possa essere portata avanti manualmente (andando a followare / defolloware i profili di persona), esistono vari bot che lo fanno in automatico su grandi volumi, followando e defollowando centinaia di nuovi profili ogni giorno.

La tecnica Follow / Unfollow – come la Mother /Slave – è una tecnica sleale che non solo non porta alcun valore all’azienda (il numero di follower se non corrisponde a un reale interesse è solo un “vanity metric” che non ha benefici sulla visibilità di un brand) ma è anche penalizzata da Instagram che può decidere di bloccare gli account sleali o di applicare uno “Shadowban”, una penalizzazione che riduce la visibilità dei profili che vi incorrono.


Che cos’è una echo chamber (camera dell’eco) in ambito social media?

Stella Fumagalli 2 Gennaio 2019

Una camera dell’eco (“echo chamber” in inglese) è un fenomeno che fa riferimento a una situazione nella quale una persona riceve una serie di informazioni o idee che rafforzano il suo punto di vista, senza avere accesso ad altre risorse che potrebbero fargli avere una visione più critica / obiettiva della situazione.

È un fenomeno particolarmente diffuso in relazione ai social media e si sovrappone in gran parte al fenomeno della bolla di filtraggio, di cui avevamo parlato qui.

Eco chamber e bolla di filtraggio sono due fenomeni in grado di scatenare determinati bias cognitivi quando dobbiamo prendere una decisione.


Che cos’è una filter bubble (bolla di filtraggio) in ambito social media?

Stella Fumagalli 2 Gennaio 2019

Il termine “bolla di filtraggio” (“filter bubble” in inglese) è stato ideato dall’attivista Eli Pariser e utilizzato nel libro “The Filter Bubble: What the Internet Is Hiding from You”.

Questa espressione fa riferimento alla conseguenza dei sistemi di personalizzazione dei risultati delle ricerche; quando gli utenti fanno una ricerca su alcuni siti, questi utilizzano le loro ricerche precedenti per offrirgli i risultati che gli utenti desiderano leggere (quelli in linea con il loro pensiero, in base alle risposte che hanno scelto in precedenza).

Sebbene la bolla di filtraggio sia l’espressione di un fenomeno ampio, la si può ritrovare in particolar modo sulle piattaforme social: per fare in modo che gli utenti visualizzino sul loro feed notizie rilevanti ed interessanti, gli algoritmi scelgono i contenuti simili a quelli con cui gli utenti di solito interagiscono.

In questo modo le persone si ritrovano in una sorta di bolla nella quale hanno accesso solo a informazioni che non fanno altro che confermare ciò che già pensano, mentre vengono scartate tutta una serie di risorse che potrebbero mettere in discussione il loro punto di vista ed essere utili per fare un’analisi più critica di una certa situazione (un meccanismo simile a quello che entra in azione quando si manifesta un bias cognitivo).

Il termine bolla di filtraggio è spesso utilizzato insieme a quello di echo chamber (camera dell’eco); sono infatti due concetti che si sovrappongono in diversi punti.


A cosa servono i dati di Facebook Open Graph per le pagine web?

Stella Fumagalli 2 Gennaio 2019

Open Graph è un protocollo che Facebook ha implementato nel 2010 e serve ad avere maggior controllo del modo in cui appaiono i nostri contenuti quando vengono condivisi su Facebook o su altre piattaforme social che riconoscono Open Graph (Twitter e LinkedIn, per esempio).

Senza questo protocollo può capitare che quando postiamo, ad esempio, un articolo del nostro blog l’immagine in anteprima non sia quella desiderata, il titolo e la descrizione non siano ottimali, etc.

Se questo accade a chi ha prodotto il contenuto di certo si prenderà la briga di personalizzare la visualizzazione prima di pubblicare, cercando di arrivare a un risultato soddisfacente, ma probabilmente non lo farà un utente che vuole condividere il nostro post e che lo pubblicherà nel modo che gli viene proposto in automatico.

Grazie a Open Graph possiamo personalizzare una serie di tag che definiscono il modo in cui una pagina web sarà visualizzata se condivisa su Facebook: è possibile definire il titolo, l’immagine in evidenza, la descrizione ma anche la URL della pagina web a cui deve rimandare e il nome del sito; questo è importante perché l’anteprima di un contenuto può fare la differenza sulla quantità di interazioni che riceve e sull’interesse in grado di suscitare.

I principali CMS (come WordPress, ad esempio) danno la possibilità di modificare i tag di Open Graph anche attraverso specifici plugin utili a questo scopo.


Cos’è e a cosa serve una social media policy (SMP)?

Stella Fumagalli 23 Marzo 2018

Uns social media policy (SMP) è una serie di regole di comportamento rivolte a diverse figure che si trovano a dover interagire con i canali social di un’azienda, un servizio o un brand.

Si tratta quindi di una sorta di manuale d’uso aziendale per sapersi muovere nel mondo social nella maniera che l’azienda ritiene più giusta e più in linea con i suoi valori, per avere dei riferimenti che siano comuni a tutti (dipendenti, collaboratori, fornitori, etc.) e per chiarire quali sono le opportunità che i social media offrono in ambito aziendale.

Gli argomenti da trattare in una SMP possono differire a seconda della realtà per la quale viene redatta e dai destinatari a cui si rivolge; in linea generale, comunque, ci sono tre tipi di social media policy:

1) per le figure che all’interno dell’azienda si occupano della gestione dei social media, ovvero i dipendenti o il team di social media specialist che parla a nome dell’azienda attraverso i suoi canali social;

2) rivolta a dipendenti, fornitori, collaboratori esterni che si interfacciano con i canali social dell’azienda e che – anche dai loro profili personali – sono tenuti a rimanere in linea con i valori dell’azienda con cui collaborano;

3) rivolta ai clienti e al pubblico: qui troviamo una serie di norme atte a regolare il rapporto tra azienda e utenti/clienti, questi ultimi infatti sono invitati a rispettare alcune regole.

Per quanto complete e ben redatte siano le social media policy, se poi vengono lasciate a se stesse servono a poco: è indispensabile che venga portata avanti un’azione di monitoraggio sulla pubblicazione dei contenuti e che i dipendenti e i collaboratori vengano formati proattivamente.

Una social media policy efficace non può limitarsi ad essere un elenco di divieti: dev’essere un invito a riflettere su quello che facciamo online, a usare il buonsenso, a fare in modo che le pagine social di un’azienda siano un contesto in cui gli utenti desiderano essere attivi e condividere informazioni, esperienze, feedback.

Un altro requisito essenziale per una SMP è il poter essere comprensibile a tutti (evitare l’uso di un linguaggio troppo tecnico) e i destinatari per i quali viene redatta devono essere invogliati a leggerla (evitare quindi di farla troppo lunga, o comunque crearne anche una versione ridotta).

In questo post del nostro blog abbiamo raccolto una serie di esempi di social policy reali!


Cosa significa FoMO – Fear of Missing Out?

Alessandro Fumagalli 11 Gennaio 2018

FoMO è l’acronimo di Fear of Missing Out, che tradotto letteralmente in italiano significa “Paura di restare tagliati fuori”.

Si tratta a tutti gli effetti di un disordine psicologico, uno stato d’ansia per cui una persona pensa che in sua assenza gli altri stiano vivendo delle esperienze particolarmente appaganti.

Il termine FoMO è stato coniato nel 2004 da Patrick J. McGinnis, che ne scrisse sulla rivista della Harvard Business School, The Harbus.

Già nel 2000, però, l’esperto di marketing Dan Herman aveva parlato della paura di restare tagliati fuori da qualcosa, che del resto è sempre esistita perché fa parte dell’indole umana; secondo una convinzione diffusa, però, la FoMO è stata acuita dall’esplosione del fenomeno dei social network.

Grazie a servizi come Facebook, Instagram, Twitter etc. abbiamo infatti la possibilità di controllare cosa fanno gli altri, guardando ciò che postano in maniera quasi ossessiva: uno studio di Kleiner Perkins Caufield & Byers’s ha calcolato che un utente medio controlla il proprio smartphone una volta ogni 6 minuti, ossia circa 150 volte al giorno, in parte anche per placare la propria FoMO.

La FoMO può avere non solo ripercussioni psicologiche ed emotive ma anche fisiche, come un aumento della sudorazione associato all’impossibilità di reprimere questo genere di ansia.

Altre possibili conseguenze della FoMO sono un aumento delle distrazioni in situazioni in cui invece è necessario rimanere concentrati (a scuola, alla guida…), la diminuzione nella capacità dell’individuo di instaurare interazioni sociali, la sensazione di essere “bombardati” e oppressi da stimoli esterni e informazioni e quella di ritenere che le esperienze che si stanno vivendo non siano sufficientemente appaganti (come invece quelle sperimentate dagli altri).

La Fear of Missing Out (FoMO) è anche alla base di alcune campagne di marketing che puntano proprio sul concetto di mancanza di qualcosa o di esclusione per stimolare le persone alla scelta d’acquisto; un altro metodo molto utilizzato nel marketing per sfruttare la FoMO a vantaggio delle vendite è quello di introdurre un conto alla rovescia prima dell’inizio di una particolare iniziativa.


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