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Gamification: cos’è e perché funziona? Appunti e spunti, dalla teoria alla pratica!

Stella Fumagalli

Tempo di lettura: 10′

Negli anni ‘90 c’è stato un periodo in cui all’interno delle confezioni delle barrette Kinder cioccolato i bambini trovavano tutta una serie di indizi per poter risolvere un mistero: dopo averne raccolto un numero sufficiente (quindi dopo aver comprato un certo numero di confezioni) era possibile trovare la soluzione all’enigma.

A quel punto non si doveva far altro che inviare la risposta (via lettera cartacea) all’azienda: nel caso la soluzione fosse stata quella corretta il bambino vinceva una sorta di casetta di legno brandizzata Kinder.

Fonte immagine: https://bit.ly/2y4zxvF

Chi nell’ufficio marketing Ferrero ideò questa iniziativa ha coinvolto tanti bambini, tra cui la sottoscritta, in un’esperienza memorabile e divertente e che probabilmente ha sortito l’effetto desiderato (aumentare le vendite delle barrette Kinder); a tutti gli effetti, ha fatto vivere a me e tanti altri bimbi un’esperienza di gioco in relazione con il brand, in quella che può essere definita un’iniziativa di marketing basata sulla gamification.

Cos’è la gamification?

Per capire cosa intendiamo parlando di gamification andiamo a dare un’occhiata alla sua definizione: si tratta dell’applicazione di elementi tipici dei giochi e principi di gioco in contesti in cui tipicamente non vengono applicati.

A coniare questo termine per la prima volta è stato Nick Pelling, un programmatore inglese che nel 2002 ha utilizzato il concetto di gamification per presentare l’attività dell’azienda per la quale lavorava.

Fonte immagine: https://bit.ly/2JTWdmK

Gamification: a cosa “serve”?

La gamification obbedisce alla Teoria dei nudge secondo la quale i processi decisionali dei singoli (o dei gruppi) possono essere influenzati da rinforzi positivi, suggerimenti, aiuti indiretti o incentivi; esiste anche un TED Talk molto interessante al riguardo!

In sostanza la gamification si utilizza per incentivare certi comportamenti, che possono essere nell’interesse di:

  • chi mette in atto la dinamica (ad esempio un’azienda, come nel caso delle barrette Kinder)
  • del singolo, aiutando le persone a realizzare azioni che o non si fanno o che i più fanno controvoglia
  • della collettività, aiutando le persone a tenere comportamenti a vantaggio della società in generale e del pianeta

L’ideale è riuscire a combinare questi tre interessi seguendo il principio della “Triple bottom line” (People, Planet, Profit – persone, pianeta, profitto) grazie alla quale gli individui adottano comportamenti vantaggiosi per sé stessi ma anche per la collettività, riuscendo in ultimo a trarne un profitto.

Facciamo un esempio di una situazione che spesso è accompagnata da una scarsa motivazione: buona parte delle persone fanno scelte di vita che le portano a fare pochissimo esercizio fisico. Come motivare i singoli a muoversi di più nel loro interesse?

Per esempio rendendo le scale tradizionali più divertenti delle scale mobili trasformandole in un piano da suonare con i propri passi; oppure permettendo alle persone che devono prendere la metro di pagare il biglietto facendo una serie di squat invece di utilizzare il denaro.

Questi due esempi rappresentano un genere di iniziativa che non è pensata per il lungo termine, si tratta più che altro di stunt molto utili per attirare l’attenzione delle persone e far riflettere su un determinato argomento (in questo caso il bisogno di fare esercizio fisico quotidianamente).

Ma c’è anche chi per motivare a fare esercizio fisico ha creato un’app che simula un’apocalisse zombie nella quale bisogna correre per procurarsi il cibo, per salvare altri superstiti e, ovviamente, per rimanere vivo.

Altre app come CharityMiles donano 25 centesimi per ogni miglio percorso da chi scarica l’app: il totale viene poi devoluto a varie associazioni di beneficenza.

L’esercizio fisico non è l’unica situazione che mette in crisi i buoni propositi di tanti: spesso è difficile trovare la giusta motivazione anche per mettersi (o rimettersi) a studiare.

Per questo le nuove piattaforme di apprendimento fanno largamente uso dei meccanismi di gamification: prendiamo per esempio una delle più famose, Duolingo, un servizio online per la formazione linguistica completamente gratuito (di cui avevamo anche parlato in un post qualche anno fa) caratterizzato da un’interfaccio facile e “giocosa”.

Il suo metodo di apprendimento prevede l’assegnazione di medaglioni che indicano il livello di quel determinato utente per una determinata lingua: per salire di livello è necessario guadagnare punti grazie alle lezioni di Duolingo (o tradurre testi che vengono forniti dalla piattaforma).

Ogni lezione completata dà diritto a 10 punti esperienza e, per ogni sbaglio, si perde un cuoricino (come perdere una vita in un gioco); gli utenti possono anche guadagnare e accumulare “streak”, ovvero il numero di giorni consecutivi durante i quali ci si è esercitati con le lingue che stiamo imparando.

Ogni utente di Duolingo inoltre mentre usa l’app visualizza una “barra di forza” che indica il tempo durante il quale alcuni concetti, frasi o parole tendono a rimanere “fresche” nella memoria dello studente; quando la barra sbiadisce è arrivato il momento di fare un ripasso.

Facciamo un ultimo esempio di un comportamento che ha conseguenze su tutta la collettività: richiedere lo scontrino al negoziante quando si fa un acquisto per combattere l’evasione fiscale.

In alcuni Paesi (europei e non) gli scontrini fiscali sono dei veri e propri biglietti della lotteria, richiedendoli dopo ogni acquisto quindi i cittadini hanno la possibilità di vincere determinati premi.

Si tratta di un trend che sta prendendo sempre più piede attraverso il l quale molti Stati hanno recuperato letteralmente miliardi di evasione fiscale grazie a un meccanismo di gioco, scardinando un’abitudine più che radicata in tante persone (ovvero lasciar correre se non ci danno lo scontrino dopo un acquisto).

Perché la gamification funziona?

Abbiamo già detto che la gamification si basa sulla Teoria dei nudges: questa stabilisce che il modo in cui andiamo a influenzare il comportamento delle persone non deve escludere categoricamente la scelta di altre opzioni; dobbiamo quindi realizzare azioni che puntano a migliorare il benessere delle persone orientando le loro decisioni, ma lasciandogli la piena libertà di scelta (non ti dico di non prendere la scala mobile, ma rendo la scala tradizionale – migliore per la tua salute perché ti fa fare esercizio fisico – più divertente in modo tale che tu sia più invogliato ad usarla).

La gamification si basa comunque su altre dinamiche psicologiche come – per fare un esempio – quella della gratificazione ritardata vs gratificazione immediata in cui vediamo come per alcuni soggetti un incentivo immediato sia molto più potente che un incentivo a lungo termine benché quest’ultimo sia più sostanzioso.

Un esempio è il classico esperimento marshmallow di Stanford: a un bambino viene dato un marshmallow e gli viene detto che può mangiarlo subito ma – se aspetta 15 minuti – potrà riceverne un altro (e quindi mangiare due marshmallow in totale); in seguito il bambino viene lasciato solo e… Beh, guardate voi stessi 😀

Quali sono gli elementi tipici dei giochi che ritroviamo nella gamification di altre esperienze?

Abbiamo visto nella definizione di gamification che comporta l’applicazione di elementi tipici dei giochi e dei principi di gioco in contesti in cui tipicamente non vengono applicati: quali sono questi elementi e principi? Riprendiamone alcuni!

Livelli:

li troviamo, ad esempio, su Google Maps; un utente che condivide recensioni, foto e altre informazioni su Maps guadagna dei punti che gli permettono di raggiungere vari livelli nel programma Local Guides. Al livello 4 si ottiene il primo badge di Local Guide, mentre i livelli più alti danno accesso a vantaggi speciali.

Anche TripAdvisor funziona a livelli; più recensioni lasciamo, più saliamo di livello:

Cosa ottengono Google e TripaAdvisor grazie ai livelli? Spingono gli utenti a lasciare più recensioni (sostanzialmente gratis) contribuendo ad arricchire le rispettive piattaforme, facendo partecipare le persone ad un’esperienza collettiva e facendole sentire “premiate” per il proprio sforzo.

Le guide locali di Google di livello più alto vengono coinvolte anche in iniziative di marketing con viaggi spesati ed altri vantaggi ma non è tanto il valore economico degli stessi a motivare chi scrive, quanto il sentirsi fortemente coinvolto in un gruppo di persone ed aver raggiunto – appunto – un livello più alto della media dei partecipanti.

Badge:

si tratta di una sorta di gagliardetto, uno scudetto distintivo. Li abbiamo appena visti nei Local Guide di Google Maps, ma si possono trovare in moltissimi altri contesti, anche su Duolingo: praticamente qualsiasi cosa può essere un pretesto per ottenere un badge!

L’utente è tra i primi ad essersi iscritto ad una piattaforma online? Badge nuovo membro.

L’utente ha speso 100 ore in una determinata attività? Badge membro senior.

I badge sono motivo di orgoglio per chi li riceve poiché creano senso di appartenenza, esattamente come le medaglie per i militari: chi vive una certa comunità le riconosce al primo sguardo e attribuisce valore a chi le ha conseguite.

Fonte immagine: https://bit.ly/2y9ctM4

I badge sono tra gli elementi della gamification più caratteristici e segnano le abilità, i progressi e lo status che una persona ha acquisito: poter collezionare i badge stimola le persone a continuare ad accumularli.

Classifiche:

qui si fa leva sullo spirito di competizione e sono meccanismi che di frequente si trovano nelle app, appunto, di fitness o comunque di sport che hanno una forte componente social e che puntano a mettere in contatto persone con interessi comuni per raggiungere risultati migliori.

Prendiamo, ad esempio, Strava: si tratta di un’app per sportivi che permette di registrare le proprie performance, monitorare il proprio andamento nel corso del tempo, condividere foto, integrare strumenti come il cardiofrequenzimetro nel misuratore dell’app e confrontarsi con altri utenti attraverso le classifiche (leaderboards).

Sfide (challenges):

valgono sia per i singoli che per gruppi organizzati, puntando a risultati a medio / lungo termine; esistono molti esempi di gamification nel contesto delle attività della forza vendite, pensiamo agli “agenti”, spesso misurati e “premiati” sul fatturato ottenuto di mese in mese sulla vendita di determinati prodotti o accessori, etc.

Questi strumenti, se ben impostati, funzionano nel motivare singoli e gruppi per puntare verso determinati risultati.

Storytelling:

nei giochi è indispensabile far entrare le persone in un racconto, in una dimensione più giocosa, più leggera, che dia una chiave di lettura diversa all’esperienza che stanno vivendo (basti pensare, per esempio a “Dungeons & Dragons” o, più recentemente, il gioco di carte “Magic: l’Adunanza”).

Lo storytelling si può applicare anche a strategie di gamification in azienda, come ha fatto SAP con il suo “Roadwarrior”, un simulatore che gli agenti di vendita di SAP utilizzano per saperne di più sulla tecnologia mobile.

Perché uno strumento come questo funziona? Grazie alla memorabilità di un’esperienza fuori dal comune, in cui si rompono gli schemi del quotidiano: si vive un’esperienza non ordinaria che il nostro cervello tende a ricordare con più facilità e, di riflesso, le nozioni che si apprendono durante questa esperienza restano più impresse.

Utilizzo di un linguaggio più “leggero”:

la creazione di un contesto più ludico, leggero, meno stressante si può ottenere anche cambiando il linguaggio, come fa MailChimp; nel dare riscontro a un’azione che abbiamo realizzato ci viene detto “High fives!” (Batti 5!)

Fino a pochi anni fa un’uscita di questo genere poteva sembrare fuori luogo in ambito lavorativo ma oggi è più che normale e, anzi, è una modalità molto apprezzata se portata avanti nel modo giusto, all’interno dei contesti adeguati.

Gratificazione immediata e “microgratificazione”:

uno dei meccanismi che stanno prendendo sempre più piede nei giochi è la gratificazione immediata dei giocatori con micro premi legati ad attività semplici (talvolta si tratta solo dello scorrere del tempo).

Facciamo un esempio: un utente aspetta qualche ora, torna nel gioco che aveva precedentemente aperto e solo per questo fatto può aprire un baule che contiene qualche premio utile per il gioco stesso; quindi usa il gioco e ottiene dei punti solo per il fatto di aver giocato.

In ottica di gamification si può fare la stessa cosa con altri applicativi: abbiamo guardato un tutorial? Otteniamo dei punti. Abbiamo completato i punti di una checklist durante un onboarding? Otteniamo dei punti, oppure un premio; per esempio per il nostro cliente ProntoPannolino creiamo periodicamente dei quiz da quattro domande e chi partecipa riceve immediatamente un codice sconto solo per aver partecipato, indipendentemente dal numero di risposte esatte.

Abbiamo visto – per esempio nell’esperimento Marshmallow – come una gratificazione immediata può essere “irresistibile” per alcune persone e, in generale, spesso è sufficiente offrire un micro premio, anche solo l’accumulo di punti il cui controvalore è molto basso o addirittura inesistente: nonostante sia poco, abbiamo la sensazione di “ricevere qualcosa” e, di conseguenza, il nostro cervello reagisce positivamente a questo stimolo.

Punti:

i punti sono il cuore di moltissimi meccanismi di gamification, ma non sono certo una novità! I primi esempi di fidelizzazione legata all’accumulo di “punti” risalgono già al settecento quando alcuni commercianti americani regalavano ai propri clienti dei gettoni di rame; quando ne avevano accumulati abbastanza potevano essere scambiati per prodotti reali.

I punti possono essere accumulati con tantissime tipologie di azioni, per esempio:

  • grazie a uno acquisto
  • con il semplice passare del tempo
  • per aver utilizzato un’applicazione
  • per aver realizzato una determinata azione (ad esempio segnalare un servizio a un amico)

La modalità di accumulo dei punti può essere:

  • fissa o nota: per esempio se mi iscrivo a una newsletter e so che, così facendo, guadagno 100 punti
  • casuale o a sorpresa: l’utente non si aspetta i punti ma li riceve comunque in seguito ad un’azione

Una volta che abbiamo accumulato un numero sufficiente di punti ci sono vari modi in cui possiamo convertirli:

  • avere accesso a determinati vantaggi o sconti, come nel caso delle carte fedeltà dei supermercati
  • ottenere regali o premi (a volte si tratta a tutti gli effetti di liquidità: pensiamo ai buoni Amazon o ancora ai buoni benzina)

Il vantaggio nel coinvolgere le persone nei meccanismi a punti è quello di far percepire loro un valore che tipicamente è più alto di quello realmente offerto.

Immaginiamo questa situazione: un’azienda sa che generalmente al 90% dei suoi clienti vende il prodotto X, ma che poi i clienti non comprano altro; attraverso un sistema di punti l’azienda fa in modo che tutti i clienti che comprano il prodotto X si avvicinino alla soglia per poter riscuotere un premio, ma che per poterla effettivamente superare (e quindi ottenere il premio) debbano necessariamente comprare un altro prodotto.

La percezione del valore dei punti accumulati è alta e, se accompagnata da uno sforzo accettabile per accumulare quelli mancanti, potrebbe contribuire in maniera determinante ad aumentare le vendite.

In conclusione

Qualunque sia il meccanismo di gioco che si introduce, è importante calibrarlo con attenzione: i game designer di oggi impiegano le risorse più avanzate, tra cui machine learning ed intelligenza artificiale, per far sì che i giochi che offrono al mercato siano avvincenti, coinvolgenti e – soprattutto – redditizi.

Grazie a queste risorse produttori come Epic Games sono arrivati a guadagnare in un solo mese fino a 300 milioni di dollari grazie a un gioco completamente gratuito come Fortnite!

 

La capacità di “agganciare” una persona con dinamiche che rischiano di avvicinare alla ludopatia (come l’utilizzo nei giochi delle “loot box”, scatole con premi variabili) preoccupano i governi e ci fanno capire quanto possano essere potenti le dinamiche di gioco.

Potenti anche in senso positivo e, per rendersene conto, basta guardare ciò che ha fatto l’Islanda con gli adolescenti: studiando i meccanismi delle dipendenze comportamentali nei ragazzi sono riusciti a ridurre drasticamente l’abuso di alcool e stupefacenti in favore di attività sportive e ludiche.

Se sfruttate nel modo corretto, e tenendo conto della triple bottom line di cui abbiamo parlato all’inizio di questo approfondimento, le dinamiche di gioco possono davvero aiutarci a migliorare la qualità della vita delle persone (sia come singoli sia come collettività) sotto tantissimi punti di vista.

La gamification è quindi tutt’altro che un gioco: si tratta anzi un’importante risorsa da conoscere meglio e applicare con attenzione.