I motori per la stagione di vendite natalizie sono già più che caldi: se si considera che nel 2013 una ricerca Netcomm appena presentata indica in 11,3 miliardi il controvalore della vendita di prodotti e servizi online in Italia e che questo dato corrisponde ad un aumento del 18% rispetto al 2012, è chiaro che siamo di fronte a una conferma più che solida del trend in atto.
Quando si parla di acquisti online, i temi di cui si scrive di più sono quelli legati alla sicurezza dell’acquisto, l’impiego della carta di credito o sistemi equivalenti (giunti anche da noi attorno al 90% delle transazioni: un dato incoraggiante) e altre situazioni simili.
Un dato che invece viene messo poco in evidenza è come prima dell’acquisto, in media, il neo acquirente abbia cercato riscontri in più di 10 risorse informative online (10,4 secondo una ricerca di Google).
Il percorso dell’acquirente è tutt’altro che lineare e un dato che fa riflettere è che il 57% degli utenti che abbandonano il carrello degli acquisti non erano seriamente intenzionati all’acquisto ma semplicemente alla ricerca di informazioni.
Il dato è decisamente controintuitivo: immaginate di entrare in un negozio di abbigliamento, guardare con attenzione la merce, magari far appartare quella che vi interessa da un assistente alle vendite, per poi uscire allegramente senza guardarvi alle spalle. Non è così comune.
Online invece funziona così: per molti inserire a carrello un prodotto non è espressione di reale propensione all’acquisto ma di “esplorazione e ricerca”, che solo in alcuni casi si concluderà con l’acquisto.
Anche se sembra paradossale, i primi a “spingere fuori” i visitatori, sono gli stessi commercianti, spesso senza rendersene conto. Un esempio?
Basta pensare al campo di inserimento dei codici promozionali, quello in cui gli utenti possono digitare uno o più codici per ottenere sconti e vantaggi: quanti utenti, per cercare di risparmiare ulteriomente sul proprio acquisto e sprovvisti di un codice, si rivolgono ai motori di ricerca per trovare un codice che dia dei vantaggi?
A supportare questo tipo di ricerca, sono nati dei veri e propri colossi del web, come l’americano “RetailMeNot’, un’azienda che dopo il recente sbarco in borsa vale più di un miliardo di dollari: raccoglie un buon numero di codici promozionali. Piccolo spazio pubblicità: in piccolo, lo facciamo anche noi su ultimoprezzo.com 😉
Una volta uscito dall’ecommerce, però, l’utente è facilmente esposto alla concorrenza: cercando il codice sconto, potrebbe trovare lo stesso prodotto in vendita da un concorrente, o ancora scoprire nuovi prodotti ed allontanarsi così dall’acquisto.
Se per molti commercianti l’idea che il visitatore non permanga sul proprio sito è un problema da risolvere, altri hanno trasformato questo comportamento naturale in un’occasione.
Prendiamo l’esempio di Ryanair, la nota compagnia aerea low cost. Durante il processo di acquisto, vengono presentate informazioni pubblicitarie complementari ed attinenti alla destinazione, tra cui in alcuni casi anche le informazioni di altre compagnie aeree: per paragone, l’esperienza è simile all’entrare in uno showroom BMW e vedere anche brochure di altre marche automobilistiche.
La scelta di Ryainair è in realtà deliberata: ben conoscendo la propensione del visitatore ad uscire dal sito e non completare subito il proprio acquisto, offre l’occasione di cercare direttamente a partire dal suo sito nuove informazioni, ed ottiene grazie alla pubblicità un ritorno economico, che in alcuni casi può essere anche di qualche decina di centesimi di euro a visita.
Dei visitatori che escono dal sito di Ryanair dopo aver cliccato delle pubblicità (ed aver così fatto pagare ai rispettivi inserzionisti i corrispettivi importi), molti poi ritornano per completare l’acquisto (spesso dopo aver scoperto che altre compagnie aeree costano molto di più).
Ecco come Ryanair ha trovato modo di guadagnare ulteriormente, e per di più sulle spalle della concorrenza, grazie al proprio ecommerce.
Un caso isolato?
Prendiamo Amazon, il sito di ecommerce più importante al mondo: la pubblicità è una parte integrante dell’esperienza di acquisto su questo sito, anzi è uno dei suoi punti di forza.
Dice Lisa Utzschneider, Global VP, Advertising Sales:
Pensiamo ad Amazon in due mondi: uno di questi è un Amazon con la pubblicità e prezzi più bassi; un altro mondo è un Amazon senza pubblicità e con prezzi più alti. Quale sceglieremmo?
Ecco quindi un dato di fatto: i prezzi bassi con cui Amazon ha conquistato più di un mercato sono possibili anche grazie alla pubblicità.
Se ci pensiamo, i siti di ecommerce più importanti arrivano a milioni di visite al mese da parte di un bacino demografico davvero eterogeneo. Non sempre questi visitatori sono in quel momento propensi all’acquisto oppure in linea con l’offerta commerciale e, di fatto, spenderanno del tempo sul sito del commerciante senza comprare nulla.
“Come faccio a lasciare del valore a questo utente, anche se non sta acquistando nulla?” è la domanda che ogni gestore di ecommerce dovrebbe porsi.
Agevolare il suo percorso di navigazione, offrendogli spunti di approfondimento e acquisto interni o esterni al sito, è una delle risposte.
Se una persona sta cercando dei voli per Madrid sul sito di una compagnia aerea e tre delle migliori guide online vogliono proporsi per “guidarla” nella città con suggerimenti utili e idee interessanti, perchè lasciare che la persona torni sul motore di ricerca per trovare questo tipo di contenuti?
Negli Stati Uniti, tutti i principali ecommerce offrono questo tipo di spunti ai visitatori dei propri siti, ottenendo in cambio risorse utili da reinvestire ad esempio abbassando i prezzi di vendita.
In Europa questa abitudine non è ancora così diffusa, ma a partire dal Regno Unito si sta diffondendo sempre di più.
Per supportare questo processo Google offre ai commercianti – gratuitamente – una piattaforma d’eccezione: Google Doubleclick for Publishers.
Si tratta di uno dei sistemi più completi e flessibili sul mercato che possono essere impiegati per la gestione di spazi pubblicitari ed è in uso da parte dei principali editori online.
Cosa permette di fare? Ad esempio, consente al commerciante di gestire con flessibilità i propri spazi istituzionali ed autopromozionali sul sito, tipicamente “fuori dal suo controllo” in quanto sviluppati da chi ha realizzato l’ecommerce e dipendenti da degli sviluppatori per eventuali modifiche.
I vari elementi di pagina possono condizionare il percorso di visita e l’esperienza di acquisto di chi arriva nell’ecommerce e lo naviga, esattamente al pari della elementi di un negozio fisico (struttura, scaffali, disposizione della merce, condizioni di luce, musica ambientale, etc.).
Un determinato spazio potrebbe essere utile per proporre una promozione, ma alla terza pagina visitata lo stesso spazio potrebbe rivelarsi meglio speso nell’invitare ad iscriversi alla newsletter dell’ecommerce.
Poter cambiare in libertà il contenuto mostrato agli utenti in base a giorni, orari, provenienza, profondità della visita e numerosissimi altri parametri mette a disposizione di chi gestisce l’ecommerce nuove e importanti risorse per ottimizzare l’esperienza di visita.
Inoltre, esattamente con gli stessi strumenti, Google consente di gestire la vendita autonoma di spazi pubblicitari a soggetti terzi (e.g. marchi che desiderano aumentare la propria visibilità presso i visitatori di quell’ecommerce) o ancora, avvalersi della piattaforma pubblicitaria di Google.
Abbiamo avuto l’occasione di valutare questa opportunità in qualità di Partner Certificato Google AdSense e le prime risposte degli addetti ai lavori sono più che incoraggianti. Se infatti è vero che l’ecommerce sta in generale crescendo, i diversi operatori si muovono a marce diverse ma soprattutto in uno scenario sempre più competitivo.
La ricerca dei giusti strumenti per migliorare l’esperienza di visita ed acquisto è doverosa: lo chiede il mercato, che ad esempio sta facendo capire a gran voce che “desidera poter effettuare i propri acquisti anche tramite smartphone”, un trend cresciuto in Italia più del 200% nel solo ultimo anno.
Anche questo, di fatto, è saper vendere 😉