“Apri un negozio online e potrai vendere in tutto il mondo!”
A cavallo del millennio il leitmotiv di chi presentava soluzioni per la vendita online era più o meno questo: la promessa di accedere ad un bacino di clienti grande quanto l’intera popolazione mondiale (che, per inciso, ha superato il traguardo dei 7 miliardi già da qualche mese) a cui vendere i propri prodotti e servizi con estrema facilità e senza i costi associati al tipico negozio (affitto, personale, etc.).
Da allora, il crescendo è stato incessante e non accenna ad arrestarsi: sul fronte del fatturato, l’ecommerce ha raggiunto in Italia nel solo 2011 i 19 miliardi (spinto in sù più degli altri anni dal gioco d’azzardo online, letteralmente esploso lo scorso anno) ed il valore di questo canale di vendita è oggi ben compreso dai commercianti che spesso lo scelgono per primo nei propri progetti di apertura di nuove attività o cercano di integrarlo nel caso di attività già avviate.
I costi per “aprire un ecommerce” sono arrivati ad essere trascurabili: di piattaforme e servizi che permettono di iniziare a vendere online ce ne sono ormai letteralmente migliaia ed alcune propongono il proprio servizio a meno di 50 euro all’anno, l’equivalente di una cena per due al ristorante.
Il modello di molte di queste piattaforme è collaudato: si pubblicano dei prodotti in un catalogo, navigabile tramite degli elenchi che danno accesso a delle schede prodotto in cui il visitatore li può scegliere inserendoli in un carrello virtuale, per poi pagarli ad una cassa virtuale tramite carta di credito o altro mezzo di pagamento.
Facile, vero? Vendere online sembra davvero un gioco da ragazzi (locuzione idiomatica su cui riflettere in un mondo in cui i giovani sembrano più ferrati delle generazioni precedenti sulle nuove tecnologie e in particolare tutto ciò che ha a che fare con internet), salvo che… La vendita online è in primis una vendita e, come tale, non si sottrae alle regole del commercio.
Pensiamo alle classiche 4P del marketing mix di Neil Borden: prodotto, prezzo, punto vendita, promozione (negli anni sono stati poi proposti modelli più complessi, in grado di meglio descrivere la realtà della vendita, ma ai fini del nostro discorso, le 4P sono più che adeguate).
Prendiamo il prodotto: lo vendiamo noi in esclusiva o ci sono altri che lo vendono? Se siamo nel secondo caso, abbiamo una competizione da vincere con gli altri negozianti, siamo in grado di reggere il confronto?
Le armi – restando nel campo del lecito – che abbiamo per competere sono diverse: ad esempio, potremmo puntare ad una politica di prezzo particolarmente aggressiva, tale da sbaragliare su questo fronte la concorrenza. Per poterci permettere di farlo però, mantenendo dei margini di guadagno e non lavorando quindi in perdita, dovremmo ridurre i costi associati alla vendita.
Se, ad esempio, paghiamo il 3% di commissioni su ogni transazione e il nostro concorrente paga l’1%, abbiamo uno svantaggio di 2 punti percentuali.
Se poi il concorrente ha volumi di acquisto molto più alti perché riesce a vendere molti più prodotti (ad esempio grazie ad un’ottima visibilità sui motori di ricerca), magari riuscirà a spuntare su quel prodotto condizioni di acquisto dal fornitore migliori delle nostre, aggravando il nostro svantaggio.
Ancora, se il concorrente ha ottimizzato il processo logistico farà passare meno tempo dal momento dell’ordine al momento della spedizione e l’attività ha quindi per lui un costo incidentale inferiore. Le voci di costo che influenzano la competitività su questo fronte sono tante: tempo di ricerca del prodotto a magazzino, tempo della procedura di imballo (se prevista), costo dell’imballo, costo delle comunicazioni con il cliente, etc.
Se poi il concorrente è riuscito a legittimarsi sul mercato, grazie ad iniziative promozionali che ne hanno reso il marchio più popolare del nostro (brand awareness) e lo hanno associato ad un’esperienza d’acquisto positiva, assisteremo all’apparente paradosso che i potenziali acquirenti lo preferiranno anche a fronte di un’offerta di prezzo superiore alla nostra, se non saremo altrettanto “popolari”.
Stesso discorso vale se il concorrente consente di accedere alla vendita dei suoi prodotti su più canali di vendita (ad esempio i marketplace di eBay, Amazon o Pixmania) mentre noi ci limitiamo al nostro sito di ecommerce: occasione e semplificazione del processo di acquisto favoriranno il concorrente, con un consumatore che potrebbe essere totalmente ignaro della nostra offerta. Sono infatti molti i consumatori che una volta scelto un marketplace (e.g. Amazon) raramente acquistano in altri “punti vendita”.
Il classico percorso di acquisto (entro in un negozio, scelgo tra la merce esposta qualcosa che mi va bene, pago ed esco) è profondamente cambiato nell’era in cui le persone sono “sempre connesse”: Google ci accompagna alla scoperta di questi cambiamenti promuovendo il modello mentale del “momento zero della verità”, in inglese zero moment of truth, un modo per meglio descrivere come i consumatori arrivano all’acquisto partendo da uno stimolo.
Fino a qualche anno fa, tra stimolo all’acquisto ed acquisto effettivo c’erano molti passaggi e poteva passare molto tempo. Vedo in televisione la pubblicità di un prodotto in vendita al supermercato, mi sembra interessante, il giorno che vado a fare la spesa al supermercato lo trovo tra quelli in vendita ben posizionato sugli scaffali, lo riconosco e lo scelgo. Stimolo ed acquisto in questo caso sono molto distanti e nel mentre può succedere di tutto (mi dimentico, trovo un prodotto che mi piace di più, cambio idea, etc.)
Nel mondo in cui si è “always on”, con le persone che sempre più, se e quando guardano la televisione, hanno tra le mani un tablet ( il 45% dei possessori di tablet negli USA l’ha presa come abitudine quotidiana nel 2012 ) o quando sono per strada hanno sempre a disposizione uno smartphone ed una connessione internet, la distanza tra stimolo e possibilità di acquisto si è enormemente accorciata e le informazioni a supporto della scelta disponibili a distanza di pochi tocchi sono davvero tantissime.
- Il prodotto che ho appena “scoperto” (grazie ad una pubblicità o guardandolo in una vetrina o su di uno scaffale) è valido?
- Fa per me?
- Il prezzo che mi viene proposto conviene?
- Ci sono alternative che potrebbero soddisfarmi ugualmente a meno?
Le risposte a queste domande sono ogni giorno più facili grazie ad una pletora di servizi che aiutano i consumatori (ci siamo anche noi con il nostro ultimoprezzo.com) e richiedono loro sempre meno sforzi.
Nel pianificare il nostro ecommerce dobbiamo tenere conto di questi scenari per poter massimizzare la resa della nostra vendita online.
Un hotel che non si cura delle sue recensioni su TripAdvisor? Cadrà vittima della concorrenza (spesso sleale) che ne abbasserà artificialmente la valutazione, rendendolo meno interessante di quello che effettivamente è agli occhi di potenziali acquirenti.
Un negozio online che trascura la visibilità sui motori di comparazione prezzo? Rinuncia ad un canale di vendita che può garantire volumi di vendita importanti, utili per negoziare prezzi di acquisto migliori con i fornitori.
Ancora, se un negozio non fornisce sufficienti informazioni (sia istituzionali che sociali) sul prodotto in vendita, le sue caratteristiche ed i suoi impieghi, è molto probabile che gli utenti vadano a cercarle altrove, uscendo dal negozio e allontanandosi dal possibile acquisto.
Ecco come quello che in apparenza è un “gioco da ragazzi” si rivela per quello che effettivamente è: un mestiere interdisciplinare, che richiede il coinvolgimento di figure competenti e reattive, in grado di applicare metodologie provate ma anche di interpretarle rispondendo (e nel migliore dei casi, anticipando) ai rapidissimi cambiamenti del mercato ed evitando allo stesso tempo trappole più o meno dispendiose.
Il semplice “catalogo e carrello” rappresenta ormai un tassello dell’esperienza di vendita online che addirittura in alcuni casi si può anche omettere, anche grazie a progetti come l’italianissimo Blomming, che consentono di procedere con l’acquisto di prodotto a partire da qualsiasi risorsa online.
Sono inoltre sempre più diffusi progetti di “shopping discovery”, l’equivalente digitale del “gironzolare per negozi”, con la differenza che il focus dell’attenzione è sui singoli prodotti: siti come thefind.com (di cui resta solo una sorta di “necrologio” su Wikipedia, ora che il servizio non esiste più), Chicisimo.com, TheFancy, Pinterest.com e app come Kaleidoscope o Pose e molte altre aiutano i potenziali acquirenti ad entrare in contatto con i prodotti disponibili per la vendita. La visualizzazione di determinati prodotti invece di altri nasce da parametri di scelta sempre più evoluti e personalizzati, grazie alla disponibilità di algoritmi capaci di scovare i prodotti giusti tra quelli che soddisfano i gusti del potenziale acquirente.
Compito del negoziante rimane quello di offrire un servizio di altissima qualità, per evitare di rimanere tagliato fuori dall’elenco di quelli che hanno accesso all’audience del sito, del marketplace o dell’applicazione. Recente ad esempio il giro di vite sui commercianti che hanno accesso alla piattaforma eBay dove quelli con feedback “meno che eccellenti” sono stati allontanati: questo è un esempio lampante di come la “reputazione” stia divenendo una vera e propria moneta la cui importanza crescerà molto nei prossimi anni. Passi falsi e soprattutto comportamenti inadeguati al contesto sociale diventano sempre più pericolosi per il sentimento che i consumatori nutrono nei confronti di un’impresa. Ad esempio, recentemente Ryanair ha rimosso un post di un utente che conteneva una lamentela (giusta o sbagliata, non è motivo di discussione): peccato che la lamentela avesse nel frattempo accumulato il favore di 350.000 persone e che la rimozione sia stata vissuta come un fatto talmente antipatico da meritare visibilità su moltissime testate, online e non, con un danno di immagine significativo per la nota compagnia aerea.
Al solito, non esiste una singola formula magica in grado di assicurare il successo di un ecommerce: ci sono casi in cui un singolo elemento consente di mettere in competizione un Davide contro il Golia di turno, come è successo a DollarShaveClub.com, il cui video di introduzione è stato considerato il miglior virale commerciale di inizio anno ed ha contribuito in maniera determinante al successo di questa piccola azienda.
Ci sono piccole imprese che hanno ottenuto pre-vendite per 10 milioni di dollari grazie al corretto impiego di piattaforme di discovery e crowdsourcing come Kickstarter.
Se questa impresa avesse chiesto a dei finanziatori tradizionali questo importo, difficilmente l’avrebbe potuto ottenere, anche rinunciando ad ingenti quote di capitale sociale.
Inoltre, hanno raccolto preziosi suggerimenti sul prodotto dai potenziali reali acquirenti, che hanno consentito di correggere il tiro strada facendo per portare sul mercato un prodotto ancora più appetibile.
Ci sono imprese che puntano a ridurre gli ingenti costi di reso del vestiario venduto online attraverso una scansione digitale delle misure dei potenziali acquirenti in modo da poter abbassare i prezzi a beneficio di tutti i clienti.
Se pensiamo che ecommerce di grande successo come Zappos.com gestiscono tassi di restituzione dei prodotti pari al 35% (con punte del 50% per certe tipologie di acquirenti) ben possiamo renderci conto di quanto margine c’è per ridurre ulteriormente i costi di vendita.
In tutte le numerosi fasi del processo di compravendita sono davvero molte le ottimizzazioni e innovazioni oggi possibili, con grandi opportunità per chi saprà impiegarle e adattarle nel giusto mix: no, non è un gioco da ragazzi, ma può lo stesso essere molto divertente e, soprattutto, dare grandi soddisfazioni!
(Immagine iniziale presa da weburbanist.com)