Non è raro che arrivino in mail dei messaggi pubblicitari che promettono a chi li riceve di essere visibili nella “prima pagina dei motori di ricerca”: modico investimento, risultato garantito!
Le formule proposte sono semplici e del resto è il mercato stesso che chiede a gran voce semplicità: stare al passo con il ritmo vertiginoso dei cambiamenti imposti dall’accelerazione tecnologica è davvero difficile ed è quindi più che normale che, per evitare di andare in cortocircuito, si cerchi qualcosa che non richieda troppi sforzi per essere compreso.
Se poi c’è anche sostanza e valore in quello che viene proposto, in assenza di controlli e regolamentazione, è un fattore che principalmente sta all’onestà intellettuale di chi tenta la vendita.
Prendiamo l’ottimizzazione di un sito per i motori di ricerca (in inglese Search Engine Optimization o, ancora, SEO): comprendere che il posizionamento è relativo e non assoluto e che i fattori che lo determinano sono centinaia e in costante evoluzione per influenza, tipologia ed altri parametri non è immediato e, appena ci si addentra minimamente nell’argomento, i più si perdono.
Compreso però che avere una buona visibilità nei motori di ricerca può essere (molto) utile, non si rinuncia a cercarla, facendo leva chi sulle certezze proposte da alcuni come la “posizione in prima pagina garantita”, chi su alcune nozioni facilmente comprensibili, indipendentemente dal loro fondamento o dalla loro rilevanza.
Ad esempio, ancora pochi mesi fa ci è capitato di confrontarci con clienti desiderosi di modificare i tag “meta” dedicati alle keyword delle loro pagine web: spiegare che è dal 2009 che Google li ignora, riportando le indicazioni di Matt Cutts (personaggio di riferimento in Google sull’argomento) in tal senso non è stato sufficiente per convincerli del tutto dello spreco di energie associato a tale “attenzione”: da una parte, con poche attività plausibili e a loro comprensibili, si aspettavano di ottenere facili risultati, dall’altra noi prospettavamo impegno e fatica nel dedicare attenzione alla produzione di contenuti di qualità, maturando competenze mirate ed investendo risorse di tempo e denaro significative.
Ma serve davvero tutto questo impegno per ben posizionare una pagina web oggi? L’esperienza diretta (abbiamo realizzato e gestiamo un sito che conta circa un milione di visite al mese, Ultimoprezzo.com) e le ricerche condotte da esperti del settore (per chi vuole approfondire, eccone una davvero interessante ripresa e spiegata da Davide Pozzi), ci dicono di sì.
Il messaggio è chiaro: fattori sociali quali apprezzamenti e condivisioni sono correlati al posizionamento, in un rapporto che non si può dichiarare di causa ed effetto ma che va assolutamente preso in considerazione.
Addirittura, alcuni fattori “tipici” da ottimizzazione SEO “1.0” quali l’impiego di una certa parola chiave nel titolo e nell’elemento H1 presente in pagina, possono essere (marginalmente) di detrimento: quello che quindi fino a poco tempo fa veniva considerata una giusta attenzione per migliorare il posizionamento sui motori di ricerca di una pagina oggi ne diviene un (seppur piccolo) ostacolo.
E’ un cambiamento che deve far riflettere: si passa dall’impiego di indicatori “facili” da leggere ed interpretare ad indicatori sempre più complessi (come ad esempio, in prospettiva, il “sentimento” di una serie di messaggi nei confronti di una certa azienda) e di riflesso, sempre più difficili da manipolare.
L’industria dell’ottimizzazione per i motori di ricerca si sta quindi evolvendo (in alcuni casi più rapidamente, in altri meno) per gestire questo cambiamento e sempre di più coinvolge i clienti in quello che è un percorso di comunicazione attento alla sostanza che non può non coinvolgere da vicino chi l’azienda la vive ogni giorno.
Le attività di ottimizzazione sono cambiate a tal punto che molti si sono domandati se avesse ancora senso la sigla SEO per descrivere l’insieme di attività svolte: tra questi, uno dei più autorevoli a riflettere sull’argomento è stato Randy Fishkin, co-fondatore di MOZ (l’ex “SEOmoz”, una delle aziende di riferimento del settore.
Al di là di ragionamenti su questioni nominali ( la cui importanza non è trascurabile, vista la fatica con cui il mercato ha digerito la sigla SEO), Fishkin fa ben comprendere che non prendere in considerazione altre attività quali:
- creazione di contenuti
- social media marketing
- ottimizzazione dei tassi di conversione
- relazioni pubbliche
- analisi dei risultati
si traduce in un’attività di SEO del tutto monca, sempre meno capace di portare realmente in vetta alla pagina dei risultati.
Del resto, anche questa “chimera”, la prima pagina dei risultati, ha cambiato radicalmente aspetto: basta qualche ricerca per rendersi conto che i “rettangoli” di risultati naturali a cui eravamo abituati qualche anno fa sono sempre di meno: tra risultati a pagamento, contenuti preferenziali ed altri elementi, la prima pagina di risultati intesa come “visibilità guadagnata” (in contrapposizione a quella a pagamento) in molti casi può risultare completamente inaccessibile.
Per ottenere i risultati migliori, è oggi importante “giocare di sponda”, sfruttando al meglio tutte le tecniche di “inbound marketing” disponibili per portare la presenza internet aziendale ad avere valore di “brand” anche agli occhi dei motori di ricerca, uno sforzo impegnativo per le realtà aziendali più piccole ma che porta benefici diretti.
Trattare in ogni forma possibile i temi vicini all’attività aziendale è il cuore delle attività: scrivere per un blog, produrre dei video, condividere degli elenchi di risorse, disegnare infografiche, aiutare chi ne sa di meno, ragionare insieme agli altri e molto altro, il tutto “sotto il sole”, cioè nelle pubbliche piazze di Facebook, Linkedin, Twitter e Google+ (per indicare le realtà più importanti) oltre che sul proprio sito web.
Esporre la propria azienda ed esporsi in prima persona sono attività sempre più importanti, in qualsiasi settore: lo ha ben capito Filippo Berto, che ha “catapultato” l’azienda di famiglia, Berto Salotti nel web. Attraverso un impegno fatto di dialogo, condivisione, costruzione di occasioni di contatto e quant’altro fa parte delle tecniche di inbound marketing, ha creato un’esposizione “guadagnata” per la sua attività che ha consentito (insieme alla doverosa sostanza della qualità di prodotto e servizio) di competere alla pari con altre aziende i cui budget sono di gran lunga superiori ma soprattutto, di affrontare un periodo di crisi sistemica con risultati decisamente superiori alla media di comparto.
Le occasioni di visibilità sono molte e le competenze richieste per ottenere i migliori risultati sono oggi più che mai interdisciplinari e da applicare con mente aperta oltre che molta creatività: limitarsi a seguire degli elenchi di controllo senza interpretarli attraverso una sperimentazione costante riduce enormemente le chance di competere al meglio.
Semplice? Per niente, ma del resto, in un mondo sempre più interconnesso, competitivo e complesso, affrontare i mercati con semplicità è un lusso che davvero poche aziende possono permettersi.
(Immagine presa da eminiwizard.com)