
Vi ricordate qualche anno fa le campagne pubblicitarie delle auto incentrate su questo o quel dettaglio, come ad esempio il vivavoce Bluetooth di serie?
Mi hanno sempre affascinato: si tratta di un “accessorio” che in produzione costava pochi euro, che quando non era di serie veniva venduto caro (ed ancora oggi è così) e che “aftermarket” si poteva tranquillamente acquistare per cifre considerevolmente inferiori. Al pari, è meglio non parlare dei navigatori satellitari, stesso concetto ma con cifre in gioco ben più importanti.
Erano altri anni: le persone non si erano ancora trasferite in massa sui social network, internet non era ancora un punto di passaggio “quasi obbligato” nel processo d’acquisto ed i pubblicitari erano più vicini alla figura dei “Mad Men” che quella degli scienziati analisti di Big Data.
Quello che però più conta sottolineare è come – allora come spesso ancora oggi – addetti al marketing e pubblicitari venivano coinvolti sostanzialmente a “giochi fatti”, chiamati a far di necessità virtù, valorizzando con questo o quell’escamotage quanto prodotto da altri e già bello che definito.
Questa “separazione delle funzioni” trovava il culmine della sua distonia nelle confezioni dei prodotti alimentari, come ad esempio le merendine, rapportate al contenuto: avete presente?