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Intento di ricerca & SEO: come comprendere, intercettare e soddisfare le ricerche degli utenti?

Stella Fumagalli

Tempo di lettura: 10′

Le ricerche che facciamo su Google (o qualsiasi altro motore di ricerca) non sono tutte uguali: non semplicemente perché in un lasso di tempo brevissimo possiamo cercare cose molto diverse fra loro (“come arrivare a Milano Malpensa”, “a cosa servono le proteine”, “comprare libri per bambini”, etc.) ma perché dietro ogni ricerca si cela un particolare bisogno da soddisfare.

Pensiamo di voler andare per la prima volta sul sito di un brand di cui conosciamo il nome ma non l’indirizzo del sito: in questo caso digiteremo su Google il nome del marchio, aspettandoci di vedere il sito ufficiale del brand in questione come primo risultato (o comunque nei primi risultati).

Oppure, mettiamo il caso che il nostro frigorifero cominci a dare segni di cedimento e ci sembra che si avvicini il momento di comprarne uno nuovo; magari cercheremo “migliori frigoriferi del 2020” per capire su quale modello orientarci.

Dopo aver fatto qualche ricerca, se siamo indecisi fra due modelli, probabilmente cercheremo “frigorifero modello A vs frigorifero modello B” e – una volta trovato il “vincitore” magari cercheremo “frigorifero modello A prezzo”, “comprare frigorifero modello A” oppure “frigorifero modello A offerte”.

Dietro a tutte queste ricerche c’è appunto un un intento di ricerca (in inglese “search intent”): questa espressione indica il perché che sta dietro a una stringa di ricerca, il bisogno che quella ricerca mira a soddisfare.

Il primo a concettualizzare il search intent è stato Andrei Broder nel 2002 (all’epoca Broder lavorava per Altavista e viene ricordato anche per essere “il papà” dei Captcha).

Andrei Broder. Fonte: Wikipedia

La classificazione originale di Broder comprendeva tre diversi tipi di search intent:

  1. intento di ricerca informativo
  2. intento di ricerca di navigazione
  3. intento di ricerca transazionale

Google, in seguito, passa a differenziarli in questo modo:

  1. Intento “know” (corrisponde a quello informativo): l’intenzione dell’utente è saperne di più riguardo a qualcosa
  2. Intento “go” (corrisponde a quello di navigazione): l’intenzione dell’utente è quella di essere reindirizzato a un sito specifico che già conosce
  3. Intento “do” (corrisponde a quello transazionale): voglio comprare quel prodotto / servizio

A queste prime tre categorie di search intent se ne sono, col tempo, aggiunte altre tre:

    1. intento commerciale (come vedremo è una versione più “specifica” dell’intento transazionale)
    2. intento locale (anche qui, siamo davanti alla versione “geografica” dell’intento transazionale
    3. intento di gratuità

Queste sei classificazioni sono però indicative: una ricerca non dev’essere per forza incasellata in una di queste sei categorie, ci possono sempre essere delle vie di mezzo e a volte i confini per distinguere dove posizionare una ricerca non sono così netti.

Le parole chiave dei search intent

Gli intenti di ricerca sono sei: una manciata di categorie nelle quali incasellare le ricerche degli utenti che, secondo i dati di Google ad oggi, sono oltre 40.000 al secondo, quindi oltre 3,5 miliardi al giorno.

La maggior parte delle ricerche che appartengono allo stessa categoria di search intent sono caratterizzate da alcune parole chiave che si ripetono spesso all’interno della medesima categoria; nella seguente tabella – presa dal blog di ahrefs – ne riportiamo solo alcuni esempi:

Clicca sulla tabella per ingrandirla

Andiamo ora a vedere uno per uno quali sono i vari tipi di intento di ricerca con i relativi esempi.

1. Intento di ricerca informativo

Ci troviamo all’inizio del percorso: l’utente ha identificato un bisogno e sta cercando informazioni sul modo migliore di soddisfarlo.

Parole chiave:

  • Cosa
  • Come
  • Chi
  • Dove
  • Perché
  • Guida
  • Tutorial
  • Risorsa
  • Idee
  • Consigli
  • Imparare

Esempi:

Ho bisogno di sapere come arrivare in un certo posto

 

Ho bisogno di consigli per…

 

Ho bisogno di sapere perché…

2. Intento di ricerca di navigazione

In questo caso l’utente vuole arrivare a un sito web specifico; sa già dove vuole andare ma è più facile digitare il nome del sito su Google invece di digitare l’intera URL nella barra degli indirizzi, oppure non è sicuro di quale sia la URL esatta del sito che ha in mente.

Parole chiave:

  • nome di un’azienda
  • nome di un marchio
  • nome di un servizio
  • nome di una risorsa

Esempi

Voglio loggarmi su…

Voglio andare su Wikipedia

 

Voglio andare sul sito del Corriere della Sera

3. Intento di ricerca transazionale

L’utente ha intenzione di comprare un prodotto specifico o è comunque molto vicino all’acquisto: vuole essere rassicurato o trovare qualcosa che gli dia la “spintarella” (e.g. uno sconto) per passare all’acquisto.

Parole chiave

  • Comprare
  • Codice sconto
  • Ordinare
  • Offerta
  • Prezzo
  • Tariffa

Esempi

Voglio trovare uno sconto per…

 

Mi interessa sapere il prezzo di…

 

Voglio conoscere la tariffa di…

4. Intento di ricerca commerciale

Abbiamo detto che questo intento di ricerca è il sottoinsieme più specifico di quello transazionale: l’utente si informa in maniera più dettagliata riguardo al prodotto che ha scelto e cerca paragoni con altri prodotti, recensioni, descrizioni di funzionalità specifiche.

Parole chiave

  • migliore
  • top
  • attributo di un prodotto (colore, dimensione, etc)
  • recensione
  • prodotto 1 VS prodotto 2

Esempi

Sto cercando il miglior notebook (con determinate caratteristiche)

 

Voglio leggere una recensione che metta a confronto l’iPhone 11 con un altro modello di smartphone

 

5. Intento di ricerca locale

Tecnicamente anche l’intento locale è una sottosezione del transazionale; l’obiettivo di questo intento è quello di trovare risultati vicino a un luogo specifico.

L’utente sta infatti cercando informazioni in base alla sua posizione.

L’intento locale a sua volta può essere:

  • di navigazione (l’utente cerca come visitare un negozio)
  • informativo (l’utente cerca orari d’apertura, informazioni sui metodi di pagamento accettati, etc.); questa sottocategoria equivale a quella che Google chiama – nelle sue linee guida del 2019  – l’intento di “visit in person”
  • transazionale (l’utente vuole contattare il brand via email, prenotare dal sito, etc.)

Parole chiave

  • vicino a me
  • vicino a (città)
  • attività vicino a
  • qui vicino
  • nei dintorni
  • zona

Esempi

Voglio trovare i migliori hotel in una determinata città

 

Sto cercando un ufficio postale nei paraggi

 

Voglio sapere dove si trova il supermercato più vicino al luogo in cui mi trovo

6. Intento di ricerca di gratuità

L’utente non vuole pagare per ottenere ciò che desidera, quindi sta cercando un prodotto o un servizio gratis, anche fosse solo un campioncino o una prova gratuita, oppure un software gratuito.

Parole chiave

  • gratis
  • campioncino
  • campione gratuito
  • omaggio
  • prova gratuita
  • open Source

Esempi

Voglio ricevere un campione omaggio di…

 

Voglio trovare un codice omaggio per…

 

Voglio avere accesso alla prova gratuita di… (o magari voglio solo avere informazioni a riguardo per poi decidere in un secondo momento se attivarla o meno).

Parole chiave con più di un significato

Può accadere che una parola in una lingua abbia più di un significato e che quindi la risposta alla nostra ricerca dipenda dal contesto.

Prendiamo, per esempio, la parola “mercury” in inglese; può avere 4 accezioni:

  1. il pianeta mercurio
  2. l’elemento mercurio
  3. il cantante Freddy Mercury
  4. il programma spaziale Mercury

In italiano, invece, pensiamo alla parola ciclo: a cosa può riferirsi?

  1. al mondo delle due ruote (bici e moto)
  2. al ciclo mestruale
  3. al ciclo vitale

Cosa fa Google in questo caso? Come sa quali risultati mostrare a un utente se non gli fornisce il contesto per sapere a quale accezione fa riferimento?

In questi casi di ambiguità Google propone il significato dominante.

 

Una condizione che può influenzare i risultati restituiti da Google in caso di ambiguità è la freschezza delle notizie: ad esempio in questo periodo di emergenza sanitaria le dichiarazioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte sono quasi sempre sulle prime pagine dei giornali.

Se quindi in queste settimane scrivessimo “conte” nel motore di ricerca perché abbiamo bisogno di saperne di più riguardo al titolo nobiliare, troveremmo per primi una serie di risultati che fanno riferimento invece al presidente del Consiglio.

Le 3 C dell’intento di ricerca di Joshua Hardwick (Ahrefs)

Nel suo post sul blog di Ahrefs sull’intento di ricerca, Joshua Hardwick parla delle 3 C del search intent:

  1. Content Type (la tipologia di contenuto): post del blog, pagine prodotto, etc.
  2. Content Format (il formato del contenuto): guide, recensioni, opinioni, etc.
  3. Content Angle: questa espressione indica la prospettiva specifica secondo la quale presentiamo un argomento e che rende un contenuto diverso dall’altro

Andiamo a vedere queste 3 c una per una:

1. Content Type

Facendo una ricerca, possiamo accorgerci se c’è un tipo di contenuto predominante: prendendo la ricerca “Presentare un’azienda online” – per esempio – Google ci restituisce prevalentemente post di blog.

 

Quando ci troviamo di fronte ad un tipo di contenuto predominante su di una SERP che ci interessa, possiamo sia seguire la massa proponendo un contenuto della stessa tipologia sia provare a “forzare il sistema” proponendo contenuti in altri formati che potrebbero finire nelle prime posizioni.

Riprendendo l’esempio appena riportato, se riuscissimo a creare contenuti video utili per questa ricerca Google potrebbe valutare di introdurre il richiamo ai video, elemento che viene tipicamente prima degli altri risultati.

2. Content Format

Facendo una ricerca, possiamo accorgerci se per quel tipo di ricerca c’è un formato predominante: ad esempio se cerchiamo i migliori hotel di una città vediamo come i principali risultati sono tutti listicle (lista numerica di risultati).

In questo caso, se volessimo pubblicare un contenuto, è saggio seguire il formato che hanno usato gli altri.

Un esempio sono appunto le listicle se vogliamo parlare dei migliori alberghi o ristoranti di una città; oppure, se per una certa ricerca ci sono 10 landing page nelle prime 10 posizioni e gli altri formati vengono solo dopo, forse le landing funzionano bene (secondo Google) per quella ricerca e probabilmente anche a noi converrà farne una.

3. Content Angle

Il content angle è la prospettiva unica riguardo a un argomento: si tratta di un quid che incuriosisce e che deve essere in linea con il potenziale desiderio di chi sta cercando.

Prendiamo per esempio una ricerca generica: occhiali da sole.

Vediamo alcuni content angle possibili per differenziare questa ricerca:

Content angle: prezzo competitivo

 

Content angle: riferimento temporale

Content angle: pubblico specifico

Content angle: VIP endorsement

Quando si tratta di content angle dobbiamo “scegliere le nostre battaglie”, quindi decidere su che argomento concentrarci; qui abbiamo spazio per differenziarci dal resto, rimanendo però attenti a offrire ciò che gli utenti realmente cercano.

Attenzione alla SERP nel suo insieme

Per rispondere alle ricerche degli utenti sempre più spesso Google riesce a mantenerci “a casa sua”, permettendoci di ottenere una risposta senza cliccare su nessun sito in particolare ma mostrando l’informazione (in formato testuale, immagini, video o tabelle) prima dei risultati tradizionali (organici o a pagamento che siano).

Stiamo parlando dei featured snippet che vengono chiamati anche “posizione zero” proprio perché appaiono ancora prima del risultado numero 1 per quella ricerca specifica.

Grazie alle informazioni contenute in uno snippet la nostra ricerca può prendere una piega diversa e portarci a fare ulteriori domande al motore senza aver effettivamente cliccato su nessun risultato in particolare, continuando quindi a navigare su Google.

Ad esempio, se cerco “Come fare backup iPhone”, a parte lo snippet in posizione zero, vediamo anche una serie di suggerimenti (“Le persone hanno chiesto anche”) che riportano le ricerche più frequenti che gli utenti realizzano sullo stesso argomento.

Mettiamo di cliccare sulla prima domanda “Come fare backup iPhone su Windows?”: anche in questo caso non veniamo reindirizzati sul sito che contiene la risposta, ma si aprirà una tendina con un altro snippet.

Oppure pensiamo di realizzare la ricerca “Migliori notebook 2020”: ci appare subito uno snippet a tabella con i 5 modelli principali; quindi la nostra ricerca può passare in pochi secondi dall’essere molto generica (migliori notebook 2020) a molto specifica (cerchiamo su Google uno di quei 5 modelli in particolare).

Mettiamo di essere interessati al numero 3 della lista, HP 255 G6 1WY13EA; lo cerchiamo su Google e ci appare questo:

Sebbene il secondo risultato sia Amazon da cui, volendo, potremmo comprare il prodotto, a destra tre immagini attirano la nostra attenzione: sono link di Google Shopping, pubblicità che Google è molto interessato a farci cliccare.

Nel caso di “cliccare uno degli annunci a destra”, Google ci avrebbe portato ad interagire con un suo elemento pubblicitario senza mai farci uscire da Google, utilizzando gli snippet e i suggerimenti “Le persone hanno chiesto anche”.

Le ricerche che non producono click verso dei risultati negli anni sono aumentate considerevolmente ed oggi corrispondono a più del 50% del totale: si tratta di un dato di fatto molto importante da prendere in considerazione nel valutare gli sforzi di posizionamento che si stanno compiendo ed il loro potenziale ritorno sull’investimento.

Non solo Google

Parliamo quasi esclusivamente dei risultati Google ma dobbiamo essere consapevoli che il box di ricerca del motore non è l’unico punto di partenza per le ricerche degli utenti.

Molto spesso una ricerca inizia da YouTube

Oppure direttamente da Google Immagini

C’è Amazon che per gli acquisti di prodotti è un punto di partenza sempre più frequente (quante volte se dobbiamo comprare qualcosa lo cerchiamo direttamente su Amazon senza passare da Google?).

Anche Instagram è un’importante piattaforma di content discovery: ci si passa il tempo, si scoprono nuovi prodotti e nuovi brand, ci si lascia influenzare dagli amici o – appunto – dagli influencer e quindi sulla piattaforma si creano nuovi stimoli d’acquisto.

È importante riflettere per capire da dove i nostri interlocutori partono per le loro ricerche in modo tale da essere nel posto giusto al momento giusto.

Consigli generali per SEO e search intent

Per sapere cosa cercano gli utenti riguardo a un argomento specifico è molto utile l’autocompletamento di Google: cominciando a digitare una ricerca nel box Google ci propone in automatico le ricerche più frequenti (realizzate da altre utenti) riguardo a quell’argomento:

In alternativa possiamo anche usare strumenti come ad esempio Answer The Public che restituisce le ricerche più comuni legate a una parola (si tratta però di un servizio a pagamento che concede solo un consulto gratis al giorno).

Oltre a questi, ci sono moltissimi altri strumenti, gratuiti e a pagamento: Google Trends, Keyword Sheeter, Moz Explorer, Ahrefs Keywords Explorer, etc.

Per comprendere l’intento di ricerca e trasformarlo in un’informazione utile questi strumenti vanno però usati con cognizione di causa ed è richiesta una certa confidenza per arrivare a risultati utili.

In conclusione

Soddisfare l’utente fa bene: un utente soddisfatto impara a conoscerci e fidarsi, passa più tempo sulle nostre proprietà online (il nostro sito, il nostro canale video, il nostro profilo Instagram, etc.), diventiamo più autorevoli e fidati ai suoi occhi (ma anche a quelli di Google), potrebbe parlare bene di noi con altri, aiutandoci a crescere e diventando un nostro ambassador.

Dobbiamo quindi sforzarci di offrire sempre la miglior esperienza possibile, siano servizi o contenuti, soprattutto nel caso di contenuti E.A.T. e Y.M.Y.L..

Certo, nulla ci impedirebbe di fare “Bait & switch”, ovvero attirare l’utente in maniera ingannevole per portarlo a compiere un’azione che rappresenta un vantaggio per noi ma non soddisfa la richiesta dell’utente (ad esempio portandolo a cliccare su di un banner che lo lascerà insoddisfatto ma che ci farà guadagnare).

Un esempio tipico sono i siti di “driver” per periferiche, che in pagine molto confuse presentano dei pulsanti “download” che in realtà sono pubblicità che in alcuni casi arrivano a far installare al malcapitato dei veri e propri malware.

Queste pratiche scorrette però non funzionano nel lungo termine e pongono a chi le mette in pratica davanti a una scelta etica la cui decisione spetta al singolo: costruire un brand con l’obiettivo di stabilire una conversazione di qualità con il mercato oppure puntare ad una relazione “mordi e fuggi”? Ogni scelta ci posiziona rispetto a questi due estremi.

Questi ragionamenti ci avvicinano agli aspetti chiave del “marketing gentile”, una tipologia di marketing che riteniamo porti numerosi vantaggi a chi lo sceglie e di cui avremo presto modo di parlare in un altro approfondimento!