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SPUNTI E CONVERSAZIONI

Cos’è il brand activism (attivismo di marca)?

Secondo il dizionario Treccani, si definisce attivismo “l’attività propagandistica svolta dagli attivisti di partiti politici e di organizzazioni sindacali”.

Si parla di attivismo di marca o brand activism, quindi, per descrivere le azioni che fanno parte della strategia (di un’azienda o un brand) il cui obiettivo è quello di fare la differenza in alcuni campi: sociale, ambientale, etico, etc.

Nel libro “Brand activism, form purpose to action”, Philip Kotler e Christian Sarkar hanno individuato tre tipologie di attivismo di marca:

  1. progressivo (azioni il cui obiettivo è perseguire il bene comune)
  2. regressivo (quando un’azienda prende consapevolmente decisioni che hanno un impatto negativo su terzi per ottenere un beneficio)
  3. neutro (quando un’azienda non pianifica nessun tipo di strategia né in positivo né in negativo)

Il posizionarsi delle aziende ha dirette conseguenze sulla reazione del pubblico:

  • l’attivismo regressivo porta al “brand shaming”, ovvero a un declino del valore e della reputazione del brand dovuto a uno scontro tra le azioni dell’azienda e i valori etici, morali o culturali del pubblico
  • l’attivismo progressivo porta al “brand evangelism”, un fenomeno per il quale un certo brand, attivamente coinvolto nel cercare di risolvere un problema, nel percepito viene associato positivamente al tentativo di risolvere quel problema

Il brand activism è una naturale evoluzione della Corporate Social Responsability e il suo obiettivo non sono i profitti ma il bene comune; nonostante i profitti non siano l’obiettivo delle strategie di brand activism, le ripercussioni positive sull’azienda di solito sono tali da riflettersi anche sulle vendite.


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