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Digital Transformation per le PMI italiane: 7 consigli pratici per non restare indietro

Alberto Giacobone

Tempo di lettura: 15′

A febbraio 2019 Microsoft ha presentato al mondo la seconda versione dei suoi visori Hololens, una soluzione di “realtà mista” in grado di mostrare a chi li indossa una serie di contenuti che si sovrappongono alla realtà e che, grazie a telecamere ed altri sensori, si posizionano in maniera intelligente.

Fonte immagine https://www.microsoft.com/it-it/hololens

Gli ambiti applicativi sono davvero i più svariati e ce ne vengono suggeriti alcuni in un video dimostrativo che ci avvicina al potenziale della soluzione proposta.

L’esercito USA già a novembre 2018 ha messo in conto di spendere quasi mezzo miliardo di dollari per ordinare 100.000 di questi sistemi al fine di impiegarli nella formazione dei suoi soldati ed in numerosi altri ambiti.

In campo edilizio la medesima tecnologia viene proposta in partnership con Microsoft da Trimble, che ha sviluppato applicazioni specifiche.

Che impatto ha questo tipo di sviluppo tecnologico sulle nostre aziende?

Pensiamo a una delle tante PMI, ad esempio della zona in cui abbiamo la sede (siamo a Vimercate, in provincia di Monza e Brianza), che produce ed esporta macchinari di ogni genere: nel corso della vita del macchinario capita che in alcuni casi debbano essere effettuati degli interventi di manutenzione che richiedono tecnici specializzati che devono recarsi dove il macchinario è in opera per le attività del caso. Se il macchinario si trova dall’altra parte del mondo va prenotato il biglietto aereo (o i biglietti aerei), l’albergo, coordinata una trasferta, etc.

In prospettiva futura, usando tecnologie come quella proposta da Microsoft, molti di questi interventi potranno essere “teleguidati” da remoto, offrendo assistenza a un operatore locale con un’esperienza però molto simile all’essere “presenti in loco”: quanto possono risparmiare le aziende che si attrezzano per utilizzare soluzioni come queste e quanto possono far risparmiare ai loro clienti?

fonte immagine: https://mspoweruser.com/microsofts-new-mixed-reality-layout-and-remote-assist-app-leaks-in-the-store/

Questo è uno dei tanti cambiamenti in corso, resi possibili dal processo che prende il nome di Digital Transformation.

Che cos’è la Digital Transformation (DX)?

La multinazionale SalesForce la definisce “il processo di utilizzare le tecnologie digitali per creare nuove procedure di business, culture ed esperienze clienti o modificare quelle esistenti per andare incontro alle richieste di business e del mercato che stanno cambiando”.

Le fonti riprese da Wikipedia in lingua inglese la descrivono come “l’utilizzo innovativo delle tecnologie digitali per risolvere problemi tradizionali. Queste soluzioni digitali consentono intrinsecamente nuovi tipi di innovazione e creatività, invece di limitarsi a migliorare e supportare i metodi tradizionali.”

La pagina di Wikipedia in italiano riporta una definizione ancora diversa:

La locuzione digital transformation (in italiano trasformazione digitale) indica un insieme di cambiamenti prevalentemente tecnologici, culturali, organizzativi, sociali, creativi e manageriali, associati con le applicazioni di tecnologia digitale, in tutti gli aspetti della società umana.

Volendo provare a semplificare si può parlare, in ambito aziendale, del cambiamento reso possibile dall’innovazione tecnologica.

Questo cambiamento è in alcuni casi estremamente rapido e in molti ambiti sta letteralmente cambiando le regole del gioco. Pensiamo a un’azienda come Blockbuster, che nel 2004 gestiva più di 9.000 negozi in tutto il mondo (incluso uno anche Vimercate!) e più di 80mila dipendenti: oggi è di fatto scomparsa, tranne per un ultimo negozio a Bend, in Oregon, che è diventato una vera e propria attrazione!

Che impatto ha tutto questo sulle aziende italiane, ed in particolare sulle nostre PMI, che sono centinaia di migliaia, per la maggior parte sono “micro” (fatturano meno di 2 milioni di euro) e solitamente impiegano meno di 10 dipendenti? Come stanno reagendo queste imprese ai cambiamenti in corso?

Per saperne di più ci torna utile un sondaggio sulla “Digital Transformation e l’innovazione delle PMI italiane” svolto da Talent Garden prima nel 2017 e poi nuovamente nel 2018, che ha coinvolto ogni anno 500 responsabili d’impresa, tra titolari e dirigenti.

I risultati del sondaggio evidenziano un’audience che ha compreso che sta accadendo qualcosa di importante, ma non l’ha ancora ben inquadrato e – soprattutto – non sta reagendo con l’energia necessaria per rimanere rilevante e competitiva in un mercato in rapidissimo cambiamento.

Se la preoccupazione massima degli intervistati sembra essere quella di trovare un “digital marketing strategist” in Cina, con il piano “Made in China 2025” si stanno preparando ad impiegare 1,8 milioni di robot da qui a 6 anni, con il 70% degli stessi realizzati nel Paese (mentre al momento sono il 30% circa).

Il rischio di rimanere indietro, soprattutto per le aziende più piccole, è concreto: come reagire?

Non esiste una formula magica, ma in questo post proviamo a mettere il focus su 7 concetti che crediamo possano essere di stimolo per affrontare meglio questa sfida. Pronti? Via!

  1. Scegliere le proprie battaglie: impostare il proprio digital transformation journey
  2. Il mito della pallottola d’argento: questa non è la soluzione che stai cercandoy
  3. Dati al centro: l’importanza di metterli sotto controllo e – soprattutto – in sicurezza
  4. Interoperabilità dei sistemi informativi: le API dentro e fuori l’azienda
  5. Kaizen, miglioramento continuo: processi, sistemi e – più di tutto – persone
  6. Innovazione: open è meglio
  7. People, Planet, Profit: già che cambiamo, facciamo(lo) bene

1) Scegliere le proprie battaglie: impostare il proprio digital transformation journey

Prima di partire per un viaggio di solito ci si informa sulla destinazione e si sceglie un percorso da fare tra i tanti possibili: nell’affrontare la DX vale la pena ragionare allo stesso modo.

AI, ML, IoT, IoE, VR, AR, MR, 5G… dietro a ognuna di queste sigle (e l’elenco potrebbe continuare a lungo) c’è un mondo di opportunità ma anche di rischi: meno ne sappiamo e più possiamo essere “preda” di questo o quel fornitore e/o di quel reparto aziendale che, senza una reale visione di insieme, ci porta a imbarcarci in progetti dall’utilità relativa.

Dobbiamo mettere il chatbot sul sito, è fondamentale!”: riunioni, incontri, tempo ed energie… per poi scoprire a posteriori che il nostro sito, per come è stato realizzato e curato nel tempo, è poco attrattivo e non fa realmente parte del customer journey dei nostri clienti.

I rischi sono molteplici e aver implementato una tecnologia e un processo dall’impatto relativo (magari pagandola anche più del necessario) non è il male peggiore: il rischio più grande è di sottrarre tempo ad altre attività che potrebbero realmente impattare la nostra competitività. Mentre eravamo impegnati a ragionare sul chatbot magari un concorrente diretto è intervenuto sui processi produttivi e grazie a questo ha potuto abbassare il prezzo dei suoi prodotti del 5%, mettendoci in difficoltà in alcune gare.

Per poter scegliere le nostre battaglie è importante una quadruplice conoscenza:

  1. la nostra azienda, i suoi asset e i suoi processi
  2. la concorrenza e la sua proposta al mercato, presente e possibilmente futura
  3. il mercato e la sua direzione
  4. il potenziale delle nuove tecnologie

Quest’ultimo punto è particolarmente importante, anche per compiere un importante cambio mentale: certe cose che fino ad oggi hanno fatto parte degli “imprevisti”, grazie alla tecnologia, possono essere sempre più sotto il nostro controllo.

Quanta differenza può fare passare da:

L’anno scorso abbiamo avuto due incidenti a dei macchinari importanti e abbiamo dovuto fermare la produzione per 15 giorni: gli incidenti capitano, non ci possiamo fare molto

a:

Abbiamo implementato un sistema di manutenzione preventiva: grazie a dei sensori IoT e l’analisi dei loro dati con tecniche di machine learning siamo intervenuti su alcune componenti critiche prima che si rompessero ed il fermo di produzione complessivo di questo anno è stato di soli 2 giorni

?

2) Il mito della pallottola d’argento: questa non è la soluzione che stai cercando

Fonte immagine: https://www.flickr.com/photos/moneymetals/33680464692

 

Digital Transformation? Certo, siamo concentrati sull’implementazione di un CRM che cambierà radicalmente il nostro rapporto con i clienti!

La ricerca di “quel qualcosa che faccia la differenza” è una tentazione costante: se poi ci si aggiungono venditori particolarmente capaci e una conoscenza relativa dell’argomento di turno da parte di chi ha potere decisionale, il rischio di imbarcarsi in determinate attività caricandole di aspettative destinate a essere disattese è molto alto.

Non solo: investire le proprie energie – mentali e non – per un singolo progetto di rilievo rischia di paralizzare ulteriori sviluppi paralleli che invece potrebbero rivelarsi fondamentali in un mercato che cambia a ritmo sostenuto.

Investimenti tecnologici e strutturali importanti sono fondamentali, ma vanno affrontati con una consapevolezza importante sull’insieme della realtà aziendale: scegliere di portare in azienda una “macchina da corsa”, senza preoccuparsi di chi la piloterà e delle sue competenze, della disponibilità di una o più piste su cui impiegarla, della preparazione dei tecnici che devono intervenire al momento del pit-stop e di tutti gli altri dettagli che danno valore a quell’investimento, significa ridurne il potenziale, fino al punto di rischiare di renderlo anti-economico.

Il processo di DX di un’azienda è tipicamente composto da tanti interventi diversi su numerosi fronti: se non si ha più di tanto confidenza con le diverse novità in campo tecnologico, prima di imbarcarsi in progetti ambiziosi può essere utile affrontarne diversi di impegno e portata più limitata, per acquisire le competenze utili ad approcciare in modo corretto le situazioni più complesse.

3) Dati al centro: l’importanza di metterli sotto controllo e – soprattutto – in sicurezza

Dati: nel sondaggio di Talent Garden svolto nel 2018, alla domanda “In che modo utilizzi i dati per migliorare il tuo business?” il 23% degli intervistati ha risposto che sono alla base della loro strategia. Tralasciando il 3% che non ha risposto, il dato più preoccupante è quel 36% di intervistati che ha dichiarato, senza mezzi termini, che “non li raccogliamo”.

36%, più di un terzo delle PMI italiane che sostanzialmente naviga a vista, in base alle “sensazioni” di chi è alla guida, con tutti i limiti del caso.

Perché i dati sono sempre più fondamentali? Perché le moderne tecnologie ci permettono di farci sempre di più e anche dati che prima non aveva senso raccogliere oggi possono diventare utili e rilevanti.

Torniamo all’esempio della manutenzione predittiva: in assenza di un sistema capace di avvisare in maniera sufficientemente economica di una possibile rottura, raccogliere determinate informazioni era di dubbia utilità.

Si fa presto a dire “raccogliere i dati”: quali? Dove archiviarli? Chi può accedervi? Per quanto devono essere archiviati?

L’adozione in azienda di una “data-driven strategy”, una strategia basata sui dati, richiede una notevole preparazione.

In primo luogo le imprese devono saper identificare, mettere insieme e gestire sorgenti multiple di dati.

In secondo luogo devono saper costruire modelli analitici avanzati che mettono a frutto i dati per dargli valore predittivo e metterli in grado di migliorare i risultati.

Terzo ma non ultimo, chi guida l’azienda deve trasformare l’organizzazione affinché i dati vengano realmente impiegati per prendere decisioni più informate.

Le PMI italiane hanno dovuto affrontare un importante ragionamento sui dati in occasione dell’attuazione del regolamento generale per la protezione dei dati (GDPR) a partire dal maggio 2018.

Pensiamoci: come possono aver vissuto questo cambio normativo quel 36% di imprese che dichiarano di “non raccogliere dati”? Esatto: “l’ennesimo inutile adempimento burocratico!”.

I principi di “privacy by design” e “privacy by default” che guidano la normativa sono invece utilissimi, insieme alle tante altre considerazioni necessarie, per avvicinarsi con più consapevolezza alla gestione dei dati, una risorsa che spesso viene paragonata al petrolio (il mantra “data is the new oil” sembra nascere nel 2006, pronunciato dal matematico inglese Clive Humby).

4) Interoperabilità dei sistemi informativi: le API dentro e fuori l’azienda

Affrontare un processo di trasformazione per una piccola o media impresa spesso passa attraverso il cambio di questo o quel sistema informativo in azienda: il gestionale, l’ERP, lo strumento con cui si gestiscono le paghe, etc.

L’esperienza di moltissimi imprenditori e manager con i sistemi informativi è che ciascuno ha le sue regole e che i dati, se mai dovessero servire al di fuori del singolo sistema, vengono estratti (a mano o in automatico) nei classici fogli elettronici e fatti girare tipicamente per email, sia all’interno che all’esterno dell’azienda. “Ecco il report sintetico delle vendite di marzo 2018!”, “Ecco le referenze in promozione per la promo del mese!”: vi torna?

Si può fare meglio? Decisamente sì: oggi è possibile far circolare i dati dentro e fuori l’azienda in tempo reale, in base a delle regole prestabilite e con moltissime possibilità di controllo.

Per poterlo fare sono essenziali due elementi:

  1. la definizione di regole precise; che caratteristiche ha il dato? Dove risiede? Chi deve poterci accedere? Per quanto tempo o in che occasioni? Etc.
  2. lo sviluppo di API (Access Programming Interfaces), dei “connettori” che permettono ai dati di entrare ed uscire in tempo reale da un sistema informativo nel rispetto delle regole impostate.

Il gestionale permette l’accesso tramite API? Ottimo, sarà possibile interfacciarlo con l’e-commerce aziendale e generare in automatico delle fatture o altri documenti in corrispondenza degli acquisti degli utenti.

Il magazzino permette l’accesso tramite API? Ottimo, sarà possibile interfacciarlo con un fornitore di materiale consumabile e ordinare in automatico, al verificarsi di determinate condizioni, il materiale utile per continuare la produzione.

Le occasioni di automazione sono molteplici (in ambito marketing ne avevamo segnalate diverse in questo post) e novità come gli “smart contract” (i c.d. contratti intelligenti, oggi letti quasi sempre in correlazione con la Blockchain, anche se in realtà esistono almeno dagli anni ‘90) introducono ulteriori vantaggi.

Ragionare per processi ed implementare sistemi informativi in grado di dialogare tra loro e scambiarsi dati in base a regole certe e note comporta il vantaggio di poter migliorare l’intera azienda sistema per sistema, affrontando i costi un po’ per volta nel tempo e minimizzando eventuali fermi.

Questa scelta progettuale, alla portata anche delle realtà più piccole, è considerata uno dei pilastri del successo di un’azienda come Amazon. Per proteggerla, vista la sua importanza, Jeff Bezos è stato più che chiaro con i suoi dipendenti: “Chiunque non si adeguerà sarà licenziato. Grazie, buona giornata!”.

5) Kaizen, miglioramento continuo: processi, sistemi e – più di tutto – persone

Il paragrafo precedente dedicato alle API ci ha permesso di scoprire come questa scelta progettuale consente di migliorare un sistema complesso “un pezzettino alla volta”.

Il miglioramento continuo, concetto espresso in giapponese mettendo insieme appunto le due parole “KAI” (cambiamento, miglioramento) e “ZEN” (buono, migliore) e oggi vera e propria metodologia, deve sempre più diventare patrimonio dei singoli, chiamati ad un processo di apprendimento continuo (“lifelong learning” in inglese) che si traduce nell’acquisizione di competenze non solo “tecniche” ma anche c.d. “leggere” (in inglese “soft skill”).

La buona notizia? Oggi la formazione è accessibile più che mai: c’è così tanto materiale (spesso gratuito e di qualità) disponibile in rete che ha trovato un suo spazio sul mercato anche una startup il cui compito è di fare da Virgilio tra le lezioni gratuite, costruendo percorsi dedicati utili per figure e ruoli specifici.

6) Innovazione: open è meglio

L’open innovation è un paradigma che afferma che le imprese possono e debbono fare ricorso a idee esterne, così come a quelle interne, e accedere con percorsi interni ed esterni ai mercati se vogliono progredire nelle loro competenze tecnologiche.

Lo ha scritto Henry Chesbrough nel 2006 (anche se a dire il vero proprio lui già nel 2003 coniava questa espressione): in che cosa si traduce?

Nell’apertura al mercato del processo di innovazione, alimentando una conversazione costruttiva fatta di stimoli e contaminazioni.

Il dialogo con startup, università, centri di ricerca ha molti benefici: permette di allineare su di un obiettivo comune talenti che pur avendo competenze sulla stessa materia hanno percorsi formativi estremamente diversi, stimolando approcci fuori dagli schemi. Permette alle persone esposte a esperienze come hackathon, call for ideas e simili di apprendere buone pratiche e riportarle in azienda, in un percorso di crescita che fa bene a tutti.

Perché le PMI possano partecipare a questa conversazione è però importante un cambio di paradigma: il “non lo dico perché altrimenti poi mi copiano”, il “non mando questo dipendente a quell’evento perché poi altrimenti entra in contatto con i miei concorrenti” e altri ragionamenti simili non sono compatibili con il nuovo mondo lavorativo, dove la circolazione di persone e idee è più che mai all’ordine del giorno.

Non sono poi da trascurare i vantaggi associati alla volontà dei legislatori di tutto il mondo – inclusi quelli italiani – di incentivare gli investimenti in startup innovative: tra deduzioni e detrazioni, l’acquisto di startup innovative che magari hanno compiuto passi avanti significativi per lo sviluppo di tecnologie di nostro interesse si rivela molto più conveniente dell’investimento in ricerca e sviluppo “chiusa” in azienda.

7) People, Planet, Profit: già che cambiamo, facciamo(lo) bene

Della “Triple Bottom Lineavevamo già scritto lo scorso anno e abbiamo avuto il piacere di vederla messa alla base dell’Executive MBA Ticinensis da Stefano Denicolai, il direttore del corso.

Condurre le proprie attività con particolare attenzione al rispetto delle persone e del Pianeta, ancor prima del profitto (trasformandolo da valore assoluto a relativo), è una scelta sempre più condivisa.

Anche senza diventare a tutti gli effetti Benefit Corporation (per inciso: l’Italia è tra i primissimi Paesi al mondo ad avere una normativa dedicata e nel nostro Paese sono già più di 200), le PMI possono aumentare le attenzioni rivolte alle persone (dai dipendenti, ai clienti) e all’ambiente, traendone numerosi vantaggi.

Se pensiamo al digital skill shortage – quel fenomeno che vede la carenza nel mondo del lavoro di persone formate con adeguate competenze (digitali ma non solo) per ricoprire determinati ruoli – e correliamo questo dato al fatto che le tecnologie rendono sempre più possibile lavorare con risultato anche a distanza (è uno degli aspetti dello smart working, anche se la distanza non è un fattore discriminante), viene meno il “dover passare ogni giorno X ore in azienda”, un fattore che in passato ha legato profili particolarmente competenti ad aziende che avevano la fortuna di trovarsi geograficamente nei loro paraggi.

Oggi le PMI si trovano a competere per questi profili con aziende che si trovano anche a centinaia o migliaia di kilometri di distanza ma, se fanno proprio a loro volta lo smart working, possono beneficiare (nei limiti del digital skill shortage) di un maggior numero di candidati.

Le nuove generazioni di lavoratori prestano una crescente attenzione a due fattori:

da un parte troviamo il welfare aziendale, sempre più inteso come possibilità di trovare un buon equilibrio work-life balance; dall’altra ci sono le scelte etiche dell’azienda, con cui viene sempre più cercata una vera e propria sintonia.

Questo comportamento si riflette anche nelle scelte effettuate come consumatori: gli acquirenti più giovani prestano molta più attenzione alle scelte etiche delle aziende da cui comprano e – complice una maggior facilità di individuare queste informazioni – influenzano un processo in atto in cui le aziende si schierano sempre più apertamente per le diverse cause sociali.

Questi cambiamenti possono essere molto difficili per delle PMI nate decine di anni fa, in periodi in cui magari innovare significava acquistare un nuovo macchinario, che poteva assicurare un vantaggio competitivo (e relativi profitti) per anni e anni.

Oggi da un giorno all’altro la potenza di calcolo richiesta per determinate attività può diventare 200 volte inferiore grazie allo sviluppo di un algoritmo, rendendo magari superflui (a certi fini) determinati investimenti in potenza di calcolo fatti solo poche settimane prima.

Ancora: nel 2018 la startup che ci ha messo meno tempo ad arrivare ad una valutazione di 1 miliardo di dollari è stata Bird (società di noleggio scooter elettrici), un’azienda nata solo 1 anno prima, distruggendo il record precedente di Liquid Metal (società di stampa 3D), che ci aveva messo quasi 2 anni.

Cambiamenti sempre più rapidi e radicali quindi, a cui le PMI sono chiamate a reagire, investendo in primo luogo in competenze e forma mentis.

Anche se non lo stanno cercando attivamente, a molte PMI italiane oggi serve sempre più chi è in grado di supportarle con competenze da Digital Strategist, un soggetto (spesso identificato con il Chief Digital Officer, ma spesso, soprattutto per le realtà più piccole, un consulente esterno) in grado di avviare e condurre un percorso di digital transformation che può considerarsi realmente intrapreso solo quando la logica del cambiamento continuo, aziendale e personale, diventa parte del DNA dell’impresa.

Incidentalmente, è proprio quello che facciamo anche noi in Axura, visto che la nostra missione è proprio quella di aiutare i clienti a cogliere le opportunità di internet, la risorsa che – forse più di tutte – ha cambiato il nostro mondo negli ultimi decenni! 😉