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Istruzione gratuita e di qualità: e se la risposta fosse… MOOC?

Stella Fumagalli

Tempo di lettura: 20′

Ci sono poche certezze nella vita, ma questa è una di quelle (fonte immagine: http://goo.gl/xHJdMJ)
Ci sono poche certezze nella vita, ma questa è una di quelle (fonte immagine: http://goo.gl/xHJdMJ)

“I prestiti per gli studenti sono come Justin Bieber: non spariscono mai, non importa quanto lo desideri”. Questa caustica affermazione ci strappa un sorriso, ma ci lascia anche l’amaro in bocca: infatti descrive alla perfezione la difficile realtà di migliaia di studenti americani che escono dalle università con una laurea in mano ma anche un debito da decine di migliaia di dollari sul groppone.

Quanti, per l’esattezza? Il debito medio di uno studente universitario americano nel 2012 era di circa 30.000 dollari, più o meno equivalente a quello degli anni precedenti. Ma allora cos’è cambiato? Beh, prima – una volta usciti dalle università ed entrati nel mondo del lavoro – gli studenti riuscivano ad estinguere il debito poco per volta, attraverso le trattenute sullo stipendio.

Il problema arriva quando non c’è uno stipendio da cui trattenere alcunché: le università americane ogni anno sfornano decine di migliaia di disoccupati, giovani neolaureati che, senza un reddito, sono destinati alla bancarotta.

(Fonte immagine: http://goo.gl/gpYNey)
(Fonte immagine: http://goo.gl/gpYNey)

Questo è senza dubbio uno dei motivi che hanno portato al declino economico delle università statunitensi: gli studenti fanno sempre più fatica a pagare le rette, i finanziamenti pubblici si fanno sempre più esigui e le università stesse spendono fior fior di quattrini per attirare gli studenti, purtroppo con scarsi risultati.

Questo preoccupante panorama sembra lontano anni luce dalla realtà europea dove ci si districa tra rette più basse o più alte ma in cui non esiste la spada di damocle degli “student loans” che pende sulle teste degli studenti; eppure, anche nel vecchio continente e soprattutto in tempo di crisi, l’accesso all’istruzione universitaria non appare così “scontato” per tutti: non parliamo solo di costi, ma anche di qualità dell’insegnamento.

Cerchiamo di vedere il problema da vicino prendendo in esame l’Italia: nella classifica delle prime 150 università nel mondo per qualità dell’istruzione non vi è nemmeno un ateneo italiano. Tra i primi 500 posti le università nostrane appaiono solo 21 volte!

Questi numeri ci fanno riflettere e non possono che portare a galla alcune domande: se la realtà è questa, cosa otteniamo in Italia quando paghiamo per avere un’istruzione universitaria? Gli studenti che si laureano negli atenei italiani sono messi nelle condizioni di essere competitivi su scala globale o sono destinati a essere “mediocri”?

Al di là dell’Atlantico le università costano troppo, in molte zone d’Europa invece la qualità dell’insegnamento non regge il confronto con l’estero: due problemi diversi che portano al medesimo risultato, ovvero il difficile accesso a un’istruzione universitaria di qualità.

E quindi? Siamo destinati ad un futuro di giovani che escono da università mediocri senza possibilità di muoversi agevolmente nel mondo del lavoro? Un futuro segnato dalla scarsa competitività e dall’ignoranza, un mondo in cui mancheranno perfine le nozioni di cultura più basica? (A questo proposito, vi ricordate il video “Why people think Americans are stupid”?):

Ok, la situazione non è delle più rosee, ma andiamoci piano con le previsioni apocalittiche, non tutto è perduto: mai sentito parlare di MOOC?

I MOOC cambiano il modo di "andare a lezione" così come lo conoscevamo (fonte immagine: http://goo.gl/p71NA1)
I MOOC cambiano il modo di “andare a lezione” così come lo conoscevamo (fonte immagine: http://goo.gl/p71NA1)

MOOC è l’acronimo di Massive Open Online Courses (Corsi Massivi Aperti a Tutti). Si tratta quindi di educazione gratis (o quasi), generalmente di grado universitario, a cui possono accedere un elevato numero di utenti da qualsiasi parte del mondo, grazie alla rete.

Il termine è stato coniato nel 2008 per indicare un corso di Connettivismo e Conoscenza Connettiva tenuto da un professore della Athabasca University e da un altro docente del National Research Country: a questo corso hanno potuto partecipare da remoto oltre 2.200 studenti da tutto il mondo! Qualcosa che prima non si era mai visto.

Nei tre anni successivi non vi sono stati sviluppi particolarmente significativi fino al 2011, anno in cui avviene la svolta: la Stanford University lancia tre MOOC, uno dei quali (tenuto da Sebastian Thrun) raggiunge quota 160.000 partecipanti; resosi conto della formula vincente e del crescente interesse per questa nuova tipologia di corsi, Thrun fonda Udacity mentre i suoi colleghi Daphne Koller e Andrew Ng danno vita a Coursera, due tra le piattaforme educative più conosciute (Coursera è infatti partner di diverse università tra cui Princeton e Stanford).

(Fonte immagine: http://goo.gl/TaJ99E)
(Fonte immagine: http://goo.gl/TaJ99E)

Il successo dei MOOC (o di queste nuove piattaforme, che agli occhi del grande pubblico sono diventate la manifestazione più evidente dei MOOC) è stato praticamente immediato, tanto che il New York Times ha definito il 2012 come “l’anno dei MOOC”: il favore del pubblico per questo nuovo modello educativo ha spinto anche le università più prestigiose, come Harvard, a rivedere i propri modelli di insegnamento.

Tuttavia, secondo Coursera data, il 75% degli studenti che frequentano i MOOC ha già una laurea, il 73% di loro ha un lavoro full-time e l’età media degli utenti è tra i 25 e i 35 anni: diciamocelo, non è precisamente l’identikit del tipico studente universitario.

Infatti, negli Stati Uniti, i MOOC si dimostrano particolarmente in linea con le esigenze di tutti quegli studenti che lavorano e che quindi hanno bisogno di orari più flessibili, oppure che vivono lontano dalle sedi universitarie o ancora (e – pare – soprattutto) delle persone che lavorano ma che vogliono tenersi aggiornate, specializzarsi o semplicemente continuare a imparare qualcosa.

Un’indagine Nielsen infatti dimostra come i MOOC siano pensati su misura per tutti coloro che vogliono dare una svolta alla propria carriera: questi corsi online forse non sostituiscono in tutto e per tutto una laurea tradizionale, ma sono un’opportunità da sfruttare al massimo per esplorare, adattarsi e accrescere le proprie conoscenze in un’ottica di formazione continua, altresì conosciuta come “lifelong learning“.

Che nella vita non si finisce mai di imparare lo sappiamo tutti: il lifelong learning però non fa riferimento tanto alle esperienze che compongono il bagaglio culturale di una persona, ma piuttosto definisce un requisito necessario imposto dall’attuale mondo del lavoro che ci chiede di continuare ad imparare nuove nozioni e concetti durante tutto l’arco della nostra vita lavorativa.

Il "lifelong learning" si riferisce all'apprendimento di nuove nozioni durante tutta la vita lavorativa (fonte immagine: http://goo.gl/xSGG0r)
Il “lifelong learning” si riferisce all’apprendimento di nuove nozioni durante tutta la vita lavorativa (fonte immagine: http://goo.gl/xSGG0r)

Prendiamo le scuole superiori, per esempio: prima erano quel ciclo di studi che ti “insegnava un mestiere”, si usciva da ragioneria o dall’istituto tecnico con tutte le conoscenze necessarie (ovviamente da perfezionare con l’esperienza sul campo) per fare un determinato lavoro, possibilmente per tutta la vita.

Questo sistema non faceva una piega al tempo dei nostri genitori, quando si usciva dalle superiori e in un lasso di tempo più o meno corto si veniva assunti da un’azienda: se non vi erano incidenti di percorso, poi, ci si lavorava fino alla pensione.

Ma la situazione è cambiata profondamente: per com’è strutturato il mondo del lavoro oggi, è quasi impensabile fare lo stesso lavoro per 40 anni; ci si aspetta che durante la vita lavorativa si possa essere in grado di reinventarsi più volte. Anche se si riuscisse a mantenere lo stesso impiego, comunque, i progressi tecnologici ed economici si producono a una velocità tale da spingerci in ogni caso ad un aggiornamento continuo.

Far uscire un ragazzo da scuola (anche dall’università) con tutte le conoscenze indispensabili per entrare nel mondo del lavoro non è più possibile, per questo oggi si tende sempre di più a concentrarsi sull’insegnamento delle conoscenze di base e nel dare gli strumenti per continuare ad apprendere, lasciando appunto alla formazione continua il compito di fornire tutti gli aspetti di specializzazone ed aggiornamento necessari.

Quindi, se prima erano solo i giovani ad andare sui banchi di scuola, adesso siamo costretti a tornarci più volte nel corso della vita lavorativa: il fatto che i principali utenti di MOOC siano persone già in possesso di un titolo di studio da una parte magari scoraggia tutti coloro che hanno visto nei MOOC la soluzione per avere accesso a un’educazione di livello universitario di qualità a basso costo (o addirittura gratis), ma dall’altra, è una testimonianza di quanto questi corsi online vengano presi seriamente da tutti coloro che vogliono continuare a coltivare la propria istruzione.

Scoraggia senz’altro di più di più il fatto che molte compagnie, quando devono valutare il profilo dei candidati per l’assunzione, non vedano di buon occhio le certificazioni ottenute tramite MOOC, anche quelle emesse dalle università più prestigiose.

Se da una parte quindi i MOOC vanno incontro alle diverse esigenze degli studenti, dall’altra sono realtà importantissime in tutti quei Paesi in cui l’istruzione non è ancora facilmente accessibile e diventano quindi strumenti con un potenziale enorme per la diffusione di un’istruzione più democratica.

(Fonte immagine: http://goo.gl/1XsEq)
(Fonte immagine: http://goo.gl/1XsEq)

Sembra tutto molto, troppo bello per essere vero. Istruzione gratis per tutti! Chi non sta pensando con gli occhi lucidi ai bambini dei villaggi africani (per fare uno degli esempi più popolari) che finalmente potranno imparare senza aver bisogno di percorrere 20 km al giorno a piedi per recarsi a scuola?

In verità, non è tutto così facile: la seconda “o” di MOOC sta per “online”, quindi si tratta di corsi fruibili via internet: se, in tutto il mondo, ci sono ancora 1,5 miliardi di persone che non hanno accesso garantito alla corrente elettrica (ed è per questo che abbiamo sostenuto la campagna di crowdfunding della lampada Gravity Light), la situazione di certo non migliora (anzi!) se parliamo di accesso alla rete.

Non si tratta solo di difficoltà di connessione, ma anche di accessibilità economica dei dispositivi: proprio per cercare di cambiare questa situazione, nel 2005 è stata fondata l’organizzazione One Laptop Per Child (OLPC) il cui obiettivo era (e continua ad essere) la creazione di un computer portatile dal costo di appena 100 dollari da destinarsi ai bambini dei Paesi in via di sviluppo che hanno ancora scarso accesso all’educazione scolastica.

Bambini a Gaza che imparano con il portatile di OLPC (fonte immagine: http://goo.gl/F1gd4p)
Bambini a Gaza che imparano con il portatile di OLPC (fonte immagine: http://goo.gl/F1gd4p)

Grazie all’impegno di questa ONG, dall’inizio del 2011, in tutto il mondo sono stati distribuiti oltre due milioni di laptop da 100 dollari modello XO, basati su un sistema operativo open source e con un processore low-cost e una batteria interna ricaricabile tramite una manovella (un principio simile a quello che fa funzionare la lampada Gravity Light, cui abbiamo accennato prima).

Per quanto riguarda la connettività, invece, stanno arrivando sul mercarto dispositivi mobile dal costo sempre più contenuto i cui mercati di destinazione sono più che altro i Paesi emergenti (come il tablet da 30 dollari per l’India). Ma guardiamo in faccia alla realtà: è un sentiero lungo ed irto di ostacoli.

Aakash, il tablet low cost per l'India (fonte immagine: http://goo.gl/F1gd4p)
Aakash, il tablet low cost per l’India (fonte immagine: http://goo.gl/F1gd4p)

Tuttavia qualcosa si sta già muovendo e rincuora pensare che con un minimo di infrastrutture ed investimenti tutto sommato contenuti, si può portare l’educazione scolastica anche nelle zone più difficili da raggiungere (non solo in Africa: pensiamo anche all’Australia e le sue sconfinate distese, o l’Alaska, etc.).

Africa, Australia, Alaska… Ma torniamo a casa nostra: che rapporto ha l’Italia con i MOOC? Qual è la situazione in un Paese i cui l’istruzione è pubblica, gratuita e garantita (almeno fino alla fine delle scuole superiori)?

Anche qui, gli ostacoli non mancano: primo fra tutti, quello della lingua. Sì, l’inglese è ancora il tallone d’Achille di molti nostri compatrioti: se un italiano che non sa l’inglese vuole frequentare un MOOC proposto da un’università statunitense, poco importa che abbia una connessione a fibra ottica ultra veloce o un MacBook di ultima generazione. No English, no party (che, tradotto per l’italiano che non sa l’inglese verrebbe a essere qualcosa come “se non sai l’inglese ti attacchi”).

La lingua inglese rimane un ostacolo per tanti italiani

Perché mentirci, noi italiani siamo famosi per tante cose, sia belle che brutte. Tra quelle belle, purtroppo, non c’è la nostra conoscenza dell’inglese: e pensare che ormai imparare una lingua online è facile e spesso gratis (ne avevamo già parlato tempo fa)!

Per fortuna in Italia i MOOC si cominciano a vedere in alcuni Atenei importanti come la Bocconi di Milano e La Sapienza di Roma, ateneo che ha aderito al circolo Coursera già nel 2012; purtroppo però, tanti corsi sono ancora solo in inglese. Qui di seguito abbiamo raccolto qualche esempio di MOOC in lingua italiana:

  • Università La Sapienza di Roma attraverso Coursera, in italiano c’è solo un corso;
  • Khan Academy: parleremo più avanti di questa piattaforma, la scelta di corsi in italiano è nettamente maggiore;
  • OilProject: start up 100% italiana, è la più grande scuola online gratuita presente nel nostro Paese con un milione di studenti che nel 2013 hanno seguito i suoi corsi;
  • L’Università Telematica Internazionale di Nettuno è partner di OpenUpEd, l’iniziativa MOOC sostenuta dalla Commissione Europea che propone alcuni corsi in lingua italiana.

Tra le risorse che abbiamo appena citato c’è anche Khan Academy: fondata nel 2006, è stata una delle prime organizzazioni ad offrire educazione online gratuita ed ha avuto un ruolo importante nello sviluppo ed affermazione dei MOOC anche se, più che veri e proprio corsi, i video di questa piattaforma sono quasi delle lezioni individuali.

Khan Academy
Khan Academy

Nel metodo di apprendimento di Khan Academy l’aspetto umano gioca un ruolo fondamentale; il fondatore della piattaforma – Salman Amin Khan – plurilaureato negli USA, è stato uno dei primi a pubblicare tutorial di apprendimento su YouTube: i suoi video ebbero così tanto successo che, pochi anni dopo, gli hanno permesso di lasciare il suo lavoro per dedicarvisi a tempo pieno.

La crescita di Khan Academy è stata notevolmente incentivata ed aiutata dai sostanziosi finanziamenti arrivati da Bill Gates e da Google: il canale YouTube della piattaforma conta oltre 33.000 video, ovvero la risorsa base impiegata dai professori per poter fornire agli studenti una formazione di base facilmente accessibile.

Ovviamente nell’apprendimento online (e quindi a distanza) non poteva non essere fondamentale il ruolo di YouTube: la piattaforma di video più famosa del mondo non solo ospita molti video ufficiali di MOOC, ma pullula anche di canali istruttivi come Discovery News (un canale che permette alle nuove scoperte scientifiche di arrivare al grande pubblico) o Test Tube, una rete di canali che risponde alle varie domande degli utenti, di qualsiasi tipo esse siano.

Mettendo da parte gli ostacoli di cui abbiamo parlato prima, i MOOC sembrano essere la panacea: ma la verità è che questi corsi, come tutte le realtà relativamente nuove, hanno ancora degli importanti margini per migliorare e più di un problema da risolvere, tra cui è doveroso segnalare l’alto tasso di abbandono, un “effetto collaterale” prevedibile se pensiamo che molti di questi corsi sono gratuiti.

In questi corsi la gamification è fondamentale

Per questo nei MOOC è così importante l’aspetto di gamification, sia individuale, che collettiva: da una parte abbiamo badges e premi mentre dall’altra peer pressure e classifiche, che mantengono l’aspetto di “competizione”.

La grande novità portata dai MOOC, poi, è stata il “ricalcare” gli aspetti sociali tipici dell’interazione scolastica come lo studiare insieme, il chiacchierare, il “trovarsi tra compagni”: le discussioni real time, i forum, le chat, e tutti quegli strumenti per facilitare l’interazione tra studenti messi a disposizione dalle piattaforme di MOOC non fanno altro che riprodurre queste situazioni che, notoriamente, rendono lo studio più produttivo e lo studente più stimolato a continuare.

Ma nonostante queste misure che dovrebbero “incentivare” la partecipazione costante ai corsi, al momento solo il 5% degli iscritti finisce un MOOC: c’è però chi è pronto ad affermare che questi dati non devono spaventare perché i MOOC sono utili anche se non vengono portati a termine, perché sono come “un buffet in cui ogni studente prende ciò che più gli piace e gli interessa in relazione ai risultati che vuole ottenere”.

Per tanti altri, invece, l’alto tasso di abbandono è un problema che va risolto, ma come?  Alcuni corsi sono stati alleggeriti e resi più semplici (e ci viene da dire “ti piace vincere facile?”). Sì, certo, in questo modo il numero di utenti che arrivano alla fine del MOOC aumenta, ma ha senso abbassare la qualità dell’insegnamento per fare in modo che il numero di utenti che portano a termine il corso sia più alto?

Una soluzione del genere non è altro che un palliativo o, come direbbero in Spagna (che è anche il Paese europeo che propone più MOOC, ben 253), “pan para hoy, hambre para mañana”: oggi si mangia ma, senza una soluzione che risolva la vera causa del problema, da domani si ricomincia a fare la fame.

Certo, è facile sparare sentenze, meno banale invece è trovare la formula giusta per coinvolgere gli studenti, utilizzando nell’insegnamento online tutte quelle tecniche che trovano un riscontro positivo nell’educazione tradizionale, quella in cui si va a lezione in università e ci si siede in aula ad ascoltare il professore che parla.

Appunto: scuola – aula – insegnante – lezione da imparare. Non sono un po’ i primi elementi che ci vengono in mente se parliamo di istruzione? Per tantissimo tempo, infatti, l’insegnamento è stato qualcosa di statico e solo da pochissimo ci siamo addentrati scientificamente nei meccanismi dell’apprendimento, di cui abbiamo solo grattato la superficie.

Facciamo un esempio: siete tra quelli che per preparare un esame riscrivono tutto il programma sotto forma di riassunto (che finisce comunque per avere circa 100 pagine) oppure tra quelli che usano così tanto l’evidenziatore giallo da finire la giornata con un distacco della retina?

Chi non l'ha mai fatto... (fonte immagine: http://goo.gl/XCpLd3)
Chi non l’ha mai fatto… (fonte immagine: http://goo.gl/XCpLd3)

Beh, vi servite di due tra le tecniche meno utili per memorizzare nuovi concetti: a dirlo non sono io, ma un articolo pubblicato sul Psychological Science in the Public Interest secondo il quale una delle tecniche più efficaci per memorizzare i concetti sono i test, sia quelli a risposta multipla ma soprattutto quelli a domande aperte (potete quindi pensare che la vostra professoressa di italiano delle superiori che vi bombardava di verifiche a sorpresa non era cattiva, ma era molto informata sulle ultime tecniche di apprendimento ed aveva molto a cuore la vostra istruzione).

Ancora, se la vostra specialità è ridurvi all’ultimo momento quindi nelle due settimane precedenti all’esame pensate di avere ancora tutto il tempo del mondo e solo due giorni prima cominciate a mettervi sotto studiando in ogni momento, anche mentre vi lavate i denti, vi tagliate le unghie e portate a spasso il cane… Fate bene!

Sì, perché uno studio tedesco ha dimostrato che il nostro cervello è perfettamente in grado di acquisire nuovi concetti anche in situazioni di stress, utilizzando processi intellettivi inconsci piuttosto che consci.

E’ evidente che man mano che la scienza svela come funziona il nostro cervello, elaboriamo metodi sempre più efficaci per aiutare le persone ad apprendere meglio e più in fretta rispetto al passato. E’ un principio che si è già visto con le discipline fisiche; oggi conosciamo il corpo umano in maniera tale da essere in grado di allenarci decisamente meglio rispetto solo a 30 anni fa.

Ma non è solo il metodo di insegnamento a fare la differenza, bensì l’insegnante stesso

Vi faccio un esempio personale: a scuola ero portata per tutte le materie umanistiche, le lingue straniere in particolare. In inglese e spagnolo avevo ottimi voti, in francese invece ero un disastro. Sarà che l’idioma francofono mi è ostile? Può darsi.

Qualcosa di ostile di sicuro c’era: il professore. Al di là della sua conoscenza e padronanza della lingua francese, su cui preferisco stendere un velo pietoso, era uno di quei professori stanchi, inaciditi, che probabilmente contano i giorni che li separano dalla pensione e vendono gli studenti come una tortura personale, sicuramente non come uno stimolo per fare al meglio il loro lavoro.

Comunque, se il mio forte erano le materie umanistiche, in quelle scientifiche ero una frana: però avevo un professore di economia talmente bravo che addirittura io riuscivo a starci dietro, a fare gli esercizi e capire i concetti! Certo, rispetto ad altre materie a me più congeniali dovevo darmi da fare di più, ma questo insegnante aveva un modo di spiegare tale da riuscire a districare anche il concetto più ingarbugliato.

E’ qui che la differenza si fa tangibile: quando il professore non è solo una macchinetta spara nozioni ma un vero e proprio divulgatore, una persona che riesce a trasmettere le sue conoscenze facendogli cambiare forma, modellandole per renderle comprensibili anche a un pubblico di “profani”, siano questi studenti delle superiori che si avvicinano ad una materia nuova o persone di terza età che vogliono colmare vecchie lacune.

A questo punto il collegamento con Alberto Manzi ed il suo celeberrimo programma “Non è mai troppo tardi” è quasi automatico: il “corso di istruzione popolare per il recupero dell’adulto analfabeta” (a cui è stata dedicata anche una fiction andata in onda su Rai1 a febbraio di quest’anno) fu trasmesso sull’attuale Rai 1 dal 1960 al 1968.

Alberto Manzi nel celebre programma "Non è mai troppo tardi" (fonte immagine: http://goo.gl/MH7wYS)
Alberto Manzi nel celebre programma “Non è mai troppo tardi” (fonte immagine: http://goo.gl/MH7wYS)

Questo programma era un vero e proprio corso scolastico a distanza: veniva trasmesso tutti i giorni dal lunedì al venerdì in orario preserale per dare la possibilità anche a chi lavorava di assistere alle lezioni.

Sì, perché durante le puntate del programma Alberto Manzi – pedagogista ma anche scrittore e conduttore radiofonico – insegnava a leggere e a scrivere a una classe composta da adulti analfabeti: ad imparare non erano solo le persone fisicamente presenti nello studio televisivo, ma anche tutti gli italiani che, da casa, seguivano le lezioni.

Una formula ai tempi innovativa, ma riuscì a portare ai risultati sperati (ovvero diminuire il livello di analfabetismo, particolarmente alto nell’Italia di quegli anni)? Giudicate voi: si stima che negli otto anni in cui la trasmissione andò in onda, oltre un milione di italiani riuscirono a conseguire la licenza elementare!

Alla luce di tutto ciò, possiamo dire che la trasmissione di Manzi è stata il primo MOOC della storia?

Non esattamente; se proprio vogliamo, potremmo dire che il programma ne è stato un precursore: se da una parte troviamo aspetti comuni come l’insegnamento a distanza e l’uso dello strumento video, ci sono comunque differenze abissali, soprattutto riguardo alla staticità dell’insegnamento che, nel programma di Manzi, era totalmente monodirezionale (senza contare che era possibile assistere alla lezioni sono quando andavano in onda).

In ogni caso “Non è mai troppo tardi” all’epoca fu un successo senza precedenti, tanto che il format fu “copiato” da altri 72 Paesi: la Rai, insomma, aveva marchiato a fuoco la nostra società aiutando gli italiani a imparare l’italiano.

Rai ScuolaSempre dalla Rai arriva un’altra bella iniziativa: quest’anno, in concomitanza con l’inizio dell’anno scolastico, è stata lanciata Rai Scuola, una piattaforma ancora in versione Beta che, tra le altre cose, permette di iscriversi e seguire anche diversi MOOC.

Peccato che il gruppo televisivo non si sia dimostrato così a favore della libera circolazione delle informazioni quando qualche mese fa ha deciso di rimuovere tutti i suoi video da YouTube, eliminando circa 40.000 filmati che fanno parte dell’archivio storico del nostro Paese!

Ma, questa, è un’altra storia 😉