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Cloud storage e cloud computing: vantaggi a non finire, ma occhio a non cadere giù 😉

Alessandro Fumagalli

Tempo di lettura: 15′

Dove finiscono le nostre mail, le foto, i documenti? Tutti qui! (fonte: http://goo.gl/byvI3n)
Dove finiscono le nostre mail, le foto, i documenti? Tutti qui! (fonte: http://goo.gl/byvI3n)

La questione è semplice: tra immagini, mail, documenti, appunti e appuntamenti, ogni giorno creiamo un mare di dati, e altrettanti ne immagazziniamo. Dove metterli tutti?

Nel ripostiglio? C’è già altra roba. Sopra all’armadio? Hai voglia poi di andare a recuperarli. Cacciarli sotto il tappeto, come si fa con la polvere? Scherzi a parte!

Immaginate di avere uno smartphone di quelli belli, con fotocamera da 13 megapixel: ormai non serve spendere un’esagerazione per comprarne uno, infatti facendo parte della redazione di Ultimprezzo.com ho notato che in questi giorni va forte il Samsung Galaxy S4 che abbiamo visto in diversi negozi a 289€/299€.

Immaginate anche di avere la mia stessa passione per la fotografia. In vacanza, in città, con gli amici: si scatta a tutto andare, ma ogni immagine salvata alla massima qualità porta via più o meno dai 4 ai 6 megabyte. Facciamo 5, dai. Con meno di 3000 foto i 16GB di memoria interna del telefonino sono belli che andati (visto che ci sono anche il sistema operativo, le app e così via). Ok: ci sono le MicroSD coi loro Giga di spazio extra, e costano solo una manciata di euro, ma a questo ritmo anche loro prima o poi evaporano… Quindi, che fare?

Computer: pro e contro

Risposta: archiviamo tutto sul computer, anche perché è la cosa che viene più automatico fare.

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Lo smartphone, il backup dello smartphone, il backup del backup, etc. (fonte: http://goo.gl/DEZ19o)

Già, ma questo metodo occupa spazio e ci espone al pericolo di perdere tutto da un momento all’altro, specie se non abbiamo l’abitudine di fare quantomeno un bel backup locale con un hard disk esterno. L’ideale, poi, sarebbe sommare a questo backup anche una copia “gemella” su un altro hard disk, da conservare da un’altra parte, così da aver pronta l’alternativa se, per qualche ragione, uno dei due si rovina o viene distrutto.

Un metodo “a prova di bomba” che però è un po’ macchinoso: ci vuole pazienza, ci vuole tempo, e bisogna ricordarsi di farlo periodicamente per non perdere nessun salvataggio. A questo metodo, sicuramente salvifico, può convenire associarne un altro, che funziona in tempo reale e non dà grossi problemi di spazio.

Il Cloud Storage

Già, ma che cos’è il Cloud Storage? Per farla facile, sono archivi digitali collegati a internet. Immensi archivi digitali: ammassi di hard disk, sconfinate distese, che di norma vengono costruiti – ad esempio da Google – dove fa freddo (sapete, i computer scaldano…) e l’energia costa poco, anche perché, come potete immaginare da questo video, per alimentarli tutti insieme ne serve parecchia.

Facile, no? Ancora di più se pensiamo che il Cloud lo usiamo – più o meno coscientemente – praticamente tutti, ogni giorno: con una connessione a internet (decente, si spera, visto che sull’argomento in Italia siamo ancora molto indietro) postiamo una foto su Facebook e questa finisce su uno dei triliardi di hard disk della società di Menlo Park. Dove? Probabilmente in più datacenter diversi.

Discorso analogo vale per le email, o per quei file pesanti che vogliamo archiviare da qualche parte perché ci potrebbero tornare utili strada facendo: si caricano in un servizio di Cloud Storage e si possono andare a ripescare e gestire grazie a dei servizi che funzionano online. Tutto qui? Nossignore!

Google Drive & Co.: dallo Storage al Cloud Computing

Il bello arriva infatti quando ai file “parcheggiati” nel Cloud Storage ci si può accedere in tanti, e così cominciare a usarli per collaborare (gasp, che parola difficile), per di più in tempo reale (!)

Documenti di testo, fogli di calcolo e tanto altro: con Google Drive si possono creare file di ogni tipo (fonte: http://goo.gl/bPkWvY)
Documenti di testo, fogli di calcolo e tanto altro: con Google Drive si possono creare file di ogni tipo (fonte: http://goo.gl/bPkWvY)

Prendiamo il caso di Google Apps for Work (che fino al recente I/O si chiamava “Google Apps For Business”), ma potremmo parlare anche di Office 365 o di iCloud Drive: del resto, i concetti base sono gli stessi.

Google, Microsoft e Apple (solo per citare i player principali) affiancano al Cloud Storage il Cloud Computing, e mettono così a disposizione un ecosistema di software che permette di creare documenti di testo, elaborare fogli di calcolo, preparare presentazioni e fare un sacco di altre cose. Praticamente tutte quelle che prima si facevano con un pacchetto Office (e relativa licenza, coi relativi costi).

Decisamente molto di più, insomma, rispetto al semplice sistema di storage che si ipotizzava pochi giorni prima del lancio di Google Drive, nel non lontano aprile 2012 , e che pure è una parte fondamentale del progetto.

L’evoluzione della specie

Il “passaggio” da Office e suite analoghe (open source spesso gratuite e in continua evoluzione, come OpenOffice e LibreOffice) ai documenti di Google Drive è tutt’altro che traumatico.

Prendiamo, ad esempio, i documenti di testo, che un po’ tutti chiamiamo “doc” per via dell’estensione di questo tipo di file in uso da tempo immemore da parte di Microsoft Word: quando sono nati, diciamocela tutta, non erano granché. Per non parlare dei fogli di calcolo: agli albori sembrava facessero un po’ quello che volevano…

I documenti di testo in Google Drive? Hanno tutte le funzioni che servono, sempre in evoluzione
I documenti di testo in Google Drive? Hanno tutte le funzioni che servono, sempre in evoluzione

Ma col passare del tempo sono diventati sempre più semplici da usare, perché hanno riproposto le stesse funzioni e gli stessi “bottoni” dei documenti Microsoft Word con cui più o meno tutti abbiamo dimestichezza. Il tutto, però, con quella marcia in più della semplicità che è il tratto distintivo di Google: design leggero, per nulla invadente, e pochi fronzoli, per dare spazio all’usabilità.

Questo senza rinunciare alle funzioni indispensabili per chi deve scrivere un documento: grassetto, corsivo, sottolineato; colori, evidenziazioni, formattazioni predefinite, allineamenti vari, elenchi puntati e link interni, etc. Ai Google Docs non manca davvero nulla, ma neppure c’è qualcosa di superfluo.

Visto così però non basta a spiegarne il successo: in fondo fanno le stesse cose di un qualunque Office ben settato sulla base delle nostre esigenze. Invece la grande rivoluzione è stata il portare questi documenti nel Cloud, almeno per un paio di ragioni. Forse tre. Oddio, anche qualcuna di più.

Salva, condividi, collabora

Lavorare in tanti, nello stesso momento, sullo stesso documento: non è magia...
Lavorare in tanti, nello stesso momento, sullo stesso documento: non è magia…

Tanto per cominciare, tanto tempo fa eravamo abituati a scrivere e salvare solo quando ci veniva in mente. La frequenza di salvataggio? Direttamente proporzionale al numero dei crash di Office e/o del nostro computer. Col tempo sono arrivati i salvataggi automatici, che hanno migliorato la situazione ma solo fino a un certo punto. E oggi?

Chi lavora coi documenti in Cloud ormai lo sa: il salvataggio avviene in tempo reale, ferma restando l’esistenza di una cronologia delle revisioni, che già c’era anche su Microsoft Word, e che ci permette di risalire a tutte le modifiche; non sia mai che dopo aver stravolto il testo ci accorgiamo che era meglio l’originale…

In più, anche se parliamo di Cloud Computing, connessioni e backup istantanei da remoto, con Google Drive c’è sempre la possibilità di lavorare anche offline: scaricando l’applicazione sul proprio PC (o tablet, o smartphone), si può continuare a modificare un documento mentre si viaggia in aereo, oppure quando va via la corrente, o non c’è rete. Alla prima riconnessione, tutto si sincronizzerà in automatico.

fonte: http://goo.gl/YKj3RO
fonte: http://goo.gl/YKj3RO

“Stràfico”, direbbe Ace Ventura, e come potremmo dargli torto? Ma lo diventa ancora di più quando si vuole avere il contributo di un collega, magari perché la sa più lunga di noi o solo perché quattro occhi vedono meglio di due (refusi compresi): con un click si condivide il documento ed ecco che questo ha accesso al nostro file, proprio come se ci stesse lavorando lui. Tanto è vero che può capitare di vedere il testo che si scrive da solo, come per magia; invece è solo il nostro collega che ci sta lavorando insieme a noi.

Il “giro mail” per cui si scriveva una cosa, la si impacchettava in un allegato, si aspettava che l’altro ci mettesse mano prima di poterla vedere di nuovo, e magari modificare ulteriormente in un ping pong potenzialmente infinito, è destinato a diventare molto in fretta un ricordo.

In tempo reale, ovunque

Vedersi, parlare e incontrarsi online con gli Hangout sta diventando sempre più comune (fonte: http://goo.gl/oRMv6a)
Vedersi, parlare e incontrarsi online con gli Hangout sta diventando sempre più comune (fonte: http://goo.gl/oRMv6a)

Serve mettersi d’accordo su un dettaglio? Ci si può confrontare via chat. Meglio chiarirsi personalmente? Perché non fare una bella videoconferenza al volo con gli Hangout? Si lavora sulla stessa base anche se ci si trova a migliaia di kilometri di distanza. Naturalmente quello che vale con i colleghi può valere anche con un cliente, nel caso ci sia bisogno di coinvolgerlo su qualche progetto.

Peraltro i Drive di Google aprono file di una quarantina tra i formati più diffusi (senza bisogno di acquistare tutti i diversi software), dialogano direttamente con Gmail offrendo l’opzione di salvare gli allegati senza doverli scaricare e mettono a disposizione una ricerca potenziata che non si basa solo sul titolo dei file, ma anche sul loro contenuto: trovare qualcosa che è stato archiviato dagli altri – visto che oltre a semplici documenti si possono condividere intere cartelle – o che non ci ricordiamo più con precisione è più facile di quel che si può pensare.

Si lavora meglio così?

I plus del cloud computing? Salvataggio in tempo reale, documenti condivisi e un enorme spazio di archiviazione

Hai voglia, e del resto i casi di successo si moltiplicano. Prendete quello di OVS, che ha scelto Google Apps for Work e – in stretta collaborazione con “Big G” viste le dimensioni del progetto – ha adottato un’architettura che nel giro di pochi mesi ha ridotto del 40% la circolazione delle mail interne (un’esigenza comune a tanti: ricordate il caso di Ferrari cui vi avevamo accennato?). Non solo: grazie a Google Apps for Work, OVS è riuscita anche a integrare al meglio il lavoro del team che realizza i prototipi in Cina e di quello che li verifica in Italia, riuscendo a farli collaborare come se fossero in due uffici uno accanto all’altro, se non proprio alla stessa scrivania.

Ma per migliorare l’efficienza del proprio lavoro con Google App for Work non serve essere dei giganti, anzi: anche realtà di medie dimensioni come il nostro cliente Columbus Logistics hanno ottimizzato la produzione e l’organizzazione interna con gli strumenti offerti da Google, e pure noi nel nostro piccolo non potremmo farne a meno. Senza vergogna posso confessare che questo post che state leggendo è stato confezionato almeno da sei mani, chi di più chi di meno.

Bello, ma quanto mi costa?

I prezzi di un account Google Apps for Work sono alla portata, e la concorrenza li spinge sempre più in basso (fonte: http://goo.gl/jicTR0)
I prezzi di un account Google Apps for Work sono alla portata, e la concorrenza li spinge sempre più in basso (fonte: http://goo.gl/jicTR0)

Qualcuno potrebbe averlo già pensato… Del resto ogni budget va gestito con oculatezza, specie quando “mala tempora currunt”. Bene: se Google Apps for Work e altri strumenti analoghi si stanno affermando tanto rapidamente sul mercato non è solo perché sono comodi e semplici da usare, ma anche perché hanno prezzi decisamente abbordabili, anche per i liberi professionisti e i privati.

La suite di Google, ad esempio, con 4€ per account al mese (o 40€ all’anno, tasse escluse) offre – tra le altre cose – indirizzi email aziendali, assistenza 24/7 e 30GB di spazio di archiviazione dove sistemare mail, documenti condivisi e documenti personali. Non bastano? Da qualche settimana è stato lanciato un nuovo tipo di account che con 8€ al mese mette a disposizione dell’utente uno spazio di archiviazione illimitato, dove si possono caricare in un colpo solo file che pesano fino a 5 tera!

La corsa al ribasso dei prezzi, peraltro, riguarda tutti: Dropbox, ad esempio, ha tagliato il suo servizio a 9,99€ al mese (fino a 1TB), ma stiamo parlando di uno storage puro e semplice; Microsoft invece propone OneDrive for Business, che offre alcune funzionalità per la condivisione dei documenti e del lavoro, a 3,80€ per account al mese; anche Apple, che di solito è una bottega piuttosto cara, ci ha dato un taglio: per 20GB di spazio sul Cloud bastano 0,99€ al mese, per 200GB solo 3,99€, e salendo 9,99 per 500GB e 19,99 per 1TB.

Costi in calo e servizi in crescita: stiamo andando verso la “Società a costo marginale zero”?

Work, Education, Nonprofit

Poi c’è anche chi, come Google, fa qualche “preferenza”. Per le scuole, per esempio, esiste “Apps for Education”, suite completamente gratuita e attenta alla pubblicità che genera dal momento che viene sì usata da dirigenti scolastici e insegnanti, ma anche dagli studenti (l’Università La Sapienza di Roma, ad esempio, ha preso la palla al balzo e l’ha adottata per azzerare i costi delle comunicazioni interne); oppure c’è Google for Nonprofits, che oltre ad aiutare i non profit a collaborare in maniera più efficiente mette a disposizione dei banner pubblicitari gratuiti, così che l’associazione possa far conoscere la propria causa.

Ma la privacy?

Che meraviglia: visto così, sembra un mondo tutto rose e fiori! Come ogni rosa, però, allo stato attuale dell’arte anche il Cloud Storage ha le sue spine, e la tutela della privacy è sicuramente la più pungente.

Il recente caso “naked celebrities” (noto anche come Fappening), che ha visto finire in rete le foto intime di tante attrici famose i cui account su Cloud sono stati violati, e l’ancor più recente furto di massa delle credenziali di accesso a Dropbox, che ha costretto l’azienda a correre ai ripari per proteggere 7 milioni di account che potrebbero essere stati violati, sono solo gli episodi più celebri, la punta di un iceberg che suggerisce di stare sempre in guardia.

Quando accediamo all'account, Google ci chiede il numero di telefono per poter mandare il codice di doppia autenticazione
e-mail, password e codice: con la doppia autenticazione Google & Co. cercano di rendere i nostri account più sicuri

Gli strumenti per farlo, anche qui, esistono. Sia Google, che Dropbox, che (più recentemente) Apple hanno introdotto un sistema di doppia autenticazione: non più solo nome utente e password per effettuare il login, ma anche l’invio di codice di verifica che solo chi ha in mano fisicamente il dispositivo può conoscere.

Doppia autenticazione e altri rimedi

Di norma, infatti, tutti giriamo praticamente sempre con il nostro smartphone in tasca, anzi in mano. Bene, ora mettiamo di aver bisogno di collegarci da un computer che non è il nostro, ad esempio dal portatile di un amico: ci logghiamo su Google per dare un occhio alla posta ed ecco che riceviamo un SMS sul telefonino con un codice che ci permette di autorizzare quel computer (e proprio e solo quello) ad accedere alla nostra mail. Cambiamo browser, o computer? Altro giro, altro codice che in pochi passaggi (e senza perdere troppo tempo) ci permette di accedere di nuovo, pur avendo mantenuto il nostro account in una bolla di ragionevole sicurezza. Come se all’ingresso avesse una blindata con doppia serratura.

Qualcuno potrebbe obiettare che dover dare a Google – o chi per esso – il proprio numero di cellulare non fa stare più tranquilli, anzi raddoppia i dati personali che abbiamo ceduto a terzi, con tutti i rischi che, abbiamo visto, questo comporta. Ma non è sempre necessario: esistono App come Google Authenticator che generano di volta in volta codici di accesso diversi, e che vengono usati da diverse realtà proprio per ovviare a questa obiezione.

La sfida tra guardie e ladri continua online, dove questi ultimi non sono così maldestri...
La sfida tra guardie e ladri continua online, dove questi ultimi non sono così maldestri… (fonte: http://goo.gl/J1RT5R)

E’ l’ennesima puntata dell’eterna lotta tra guardie e ladri: le une che tentano di chiudere ogni via di accesso e di fuga, gli altri che cercano un escamotage per aggirare l’ostacolo. Si dice, ad esempio, che i servizi russi siano tornati alla cara vecchia macchina da scrivere per proteggere la segretezza delle comunicazioni più sensibili. Verità o leggenda metropolitana?

Di certo c’è che la sicurezza è un concetto cui stare molto attenti, cercando di trovare il compromesso migliore tra l’esigenza di custodire la propria privacy e l’indiscutibile comodità dei più moderni strumenti per la condivisione dei dati.

Alcuni accorgimenti possono essere provvidenziali: per esempio stare attenti a cosa si fa quando si autorizza l’accesso ai nostri dati da parte di applicazioni di terze parti, evitando di lasciarsi convincere troppo a cuor leggero; oppure gestire con oculatezza la condivisione dei nostri documenti, decidendo chi può solo leggere, chi mettere dei commenti e chi invece può intervenire fino al cuore del testo (scelte che peraltro possono essere modificate in qualsiasi momento dal proprietario del documento).

Verso la “Società a costo marginale zero”

Ma in fin dei conti la strada sembra tracciata, e anche il fatto che il costo per accedere ai servizi Cloud stia diventando sempre più basso sarà uno dei propellenti più efficaci per la loro diffusione su vasta scala.

Il momento in cui arriveremo alla “Società a costo marginale zero” di un celebre saggio di Jeremy Rifkin, dove si teorizza un’economia basata sul “Common collaborativo”, sembra avvicinarsi ogni giorno di più. Il libro è acquistabile a questo indirizzo (utilizzandolo, ci verrà riconosciuta da Amazon una piccola percentuale del prezzo di copertina; in alternativa, potete usare questo link)

Chi crea un documento su Google Drive può decidere con chi condividerlo, e quanta libertà dargli
Chi crea un documento su Google Drive può decidere con chi condividerlo, e quanta libertà di azione dargli

Eppure siamo solo agli inizi: collaborare in tempo reale su un documento è ancora inefficiente sotto molti punti di vista, e spesso il limite siamo proprio noi. Quante volte capita di duplicare informazioni che dovrebbero stare in un posto solo, e così perdere la necessaria sincronia? Altrettanto spesso succede di prendere appunti ovunque e scrivere cose che meriterebbero di essere riprese, approfondite e aggiornate di continuo; invece alcune di queste scivolano nel dimenticatoio, magari perché non impostiamo un promemoria (anche se gli strumenti per farlo, seppur rudimentali, già ci sono).

Do computers dream of electric sheeps?

In ogni caso, il presente sta cominciando a raccontare qualcosa di più su quello che sarà. Se l’autofill di Excel si basa su progressioni matematiche, “scontate”, per cui scrivendo 1 e 2 (o lunedì e martedì) in due celle vicine ed estendendo la selezione il foglio si completa da solo, e correttamente, è ben più sorprendente vedere cosa sa fare la compilazione intelligente di Google con i nomi dei vini, delle case automobilistiche, e – tanto per ridere un po’ – persino della birra 😉

Ma c’è già chi ipotizza che ci stiamo avvicinando a gran velocità al momento in cui potremo spiegare al computer quello che desideriamo, e grazie al natural language programming tanto basterà per dargli le indicazioni sufficienti affinché questo crei da zero un programma ad hoc basato proprio sulle nostre esigenze. Il tutto senza il bisogno di padroneggiare i linguaggi informatici che oggi sono alla base di ogni software, di ogni app. Sempre ammesso che, un giorno, i computer con la loro intelligenza artificiale non si stanchino di prendere ordini dagli uomini, come immaginava Philip K. Dick in alcuni dei suoi romanzi…

Conoscete solo due vini e vi serve fare una lista? I fogli di Google Drive vi salveranno
Conoscete solo due vini e vi serve fare una lista? I fogli di Google Drive vi salveranno

Potrebbe essere un po’ come chiedere a un nostro alter ego, molto più sgamato di noi in materia, di fare qualcosa che altrimenti sarebbe condannato a rimanere per sempre sotto forma di semplice idea. Impossibile?

Non molto tempo fa abbiamo parlato di ricerca vocale e assistenti virtuali personali. Sembrava fantascienza. Eppure già oggi capita di chiamare in causa Google (o Siri, o Cortana, etc.) semplicemente chiamando lo smartphone o il tablet con un “Ok Google”. Ad esempio per trovare al volo (e senza dover pulire le mani dalla salsa di pomodoro 🙂 ) la ricetta per la parmigiana di melanzane. E la cosa più stupefacente è che funziona!

Un giorno potremo dire a un computer: “Vorrei un database in cui segnare i libri che ho e quelli che presto, e a chi li ho prestati, magari con le loro opinioni una volta che li hanno letti”. Tanto basterà perché il dispositivo si metta a creare un’applicazione apposita accessibile in ogni dove; e perché ci aiuti a trovare qualche libro cartaceo di quelli che ci eravamo dimenticati di aver prestato di nuovo nella nostra libreria 😉