Qui sul nostro blog abbiamo parlato più di una volta dei servizi che LinkedIn offre alle imprese, prima con le Pagine Aziendali e, poco tempo fa, con le Pagine Vetrina. Ma se è vero che le aziende in primis sono persone, e se è altrettanto vero che ormai i singoli individui sono sempre più “pubblici” grazie alla (o a causa della) rete, allora è il caso di dare un’occhiata anche ai profili personali di LinkedIn.
Ultimamente sentiamo parlare sempre più spesso di personal branding, sarà capitato anche a voi di imbattervi in questo termine. Per spiegare in poche parole questo concetto a chi non lo conosce, mi affido alla definizione di Wikipedia:
la capacità di promuovere se stessi, al fine di essere gradito o comunque appetibile nei confronti di una comunità di consociati
E’ quindi l’abilità nelle relazioni pubbliche: essere nel posto giusto al momento giusto e parlare con la persona giusta per muovere i primi passi in un certo ambiente e prenderne sempre più confidenza, fino a saperci “sguazzare” autonomamente e con una certa dimestichezza.
Cosa c’entra LinkedIn con il personal branding? E’ presto detto: se avete mai provato a cercare su Google il vostro nome, avrete visto che tra i primi risultati che ottenete ci sono tutti gli account che avete sui vari social network, a meno che non abbiate attivato l’opzione “non voglio comparire tra i risultati del motore di ricerca”, opzione che tra l’altro su LinkedIn non è disponibile.
Quindi, volenti o nolenti, il nostro profilo LinkedIn è tra i primi (e più cliccati) risultati che otteniamo se cerchiamo il nostro nome su Google, a un click di distanza dagli occhi di letteralmente chiunque: nostra madre, un professore, il nostro collega o un nostro potenziale datore di lavoro che magari sta navigando dall’altro capo del mondo.
Infatti, secondo uno studio del 2013 di Masters in Human Resources, il 77% degli annunci di lavoro passa da LinkedIn ed addirittura il 48% dei recruiters usano LinkedIn come canale social esclusivo per la pubblicazione di annunci di lavoro.
Nella ricerca di profili interessanti di potenziali candidati, Twitter e Facebook sono meno utilizzate rispetto a LinkedIn (canali utilizzati rispettivamente al 54% e 66% contro un impressionante 93% di LinkedIn). Se gli utenti di LinkedIn sono circa 200 milioni, allora i recruiters hanno potenzialmente 200 milioni di possibili candidati.
Infatti su LinkedIn può capitare di ricevere offerte di lavoro nonostante non sia nostra intenzione cambiare o non ci avevamo mai seriamente pensato (almeno, non fino al momento in cui abbiamo ricevuto quella proposta, se interessante). Certo, è una cosa che non capita a tutti, ma solo a chi riesce a trasmettere una certa immagine di sè e delle sue competenze. Come? Grazie a un profilo LinkedIn costruito come si deve.
Profili senza foto, compilati a metà, con informazioni non aggiornate… Quanti ne troviamo su LinkedIn? Davvero tantissimi. Creare un profilo LinkedIn e poi dimenticarsene, poi, può avere effetti negativi non solo su di noi, ma anche sull’azienda per la quale lavoriamo!
Pensiamo, per esempio, di doverci affidare a un’agenzia di comunicazione: non sapendo quale scegliere, cerchiamo su LinkedIn e cominciamo a valutare le Pagine Aziendali che otteniamo come risultato della nostra ricerca.
Finalmente troviamo quella che sembra fare al caso nostro: ha una Pagina Aziendale molto curata ed aggiornata, sembra davvero ok. Ma incuriositi andiamo a vedere i profili personali delle persone che risultano dipendenti dell’agenzia in questione: la situazione cambia parecchio!
Vediamo che molti dipendenti non hanno un profilo LinkedIn e, quelli che invece ne hanno uno, forse sarebbe meglio che non l’avessero: così crolla tutta la credibilità dell’azienda che passerà a dare l’immagine di un’agenzia di comunicazione il cui staff comunica in modo pessimo.
E’ evidente quindi che al giorno d’oggi sono diversi i motivi per cui è davvero importante (soprattutto in certi ambiti professionali) avere un buon profilo LinkedIn personale; ottenere un buon risultato però non è nè facile e nemmeno immediato.
Se ad una prima analisi utilizzare LinkedIn appare piuttosto facile, impiegare davvero bene questo strumento non è così banale ed imbastire un buon profilo richiede tempo ed impegno: vediamo insieme quindi qualche piccolo trucco per dare in rete una buona immagine di noi, almeno in ambito lavorativo.
La foto ed il titolo: i nostri biglietti da visita
Siete andati a Ibiza ed avete scattato una bellissima foto di gruppo con i vostri amici appena usciti dalla discoteca? Bene, usatela come foto profilo di Facebook se volete, incorniciatela e mettetela sul comodino, ma dimenticatevi di usarla su LinkedIn.
No, non vale nemmeno se tagliate le altre persone e lasciate solo la vostra faccia: LinkedIn è un social network professionale e la vostra foto deve essere a tono. Assolutamente vietati gli occhiali da sole, la sigaretta in bocca o lo sfondo in cui si vede camera vostra: la foto del profilo di LinkedIn dev’essere frontale – preferibilmente dalle spalle in su – e con uno sfondo neutro (che quindi non distolga l’attenzione dal soggetto principale della foto, ovvero voi stessi).
Sì, voi stessi, ma nessun altro! Una delle cose peggiori che si possano fare su LinkedIn è mettere come foto profilo uno scatto del giorno del matrimonio, o del battesimo di un figlio o un nipote. Non importa se in quella foto siete venuti particolarmente bene: è fondamentale che l’immagine abbia un solo soggetto, ovvero il proprietario del profilo su cui verrà pubblicata.
L’ideale poi è che venga scatatta con una buona fotocamera, infatti anche le foto di bassa qualità, pixelate o sfuocate sono assolutamente da evitare, così come abbigliamenti totalmente fuori luogo.
Questo non vuol dire che per fare la foto del profilo di LinkedIn dobbiamo indossare obbligatoriamente un tailleur o una camicia, così come se avete una pettinatura non convenzionale o un braccio tatuato non dovete sentirvi in dovere di nasconderlo.
Essere professionali non significa rinnegare la propria identità: dobbiamo semplicemente trovare una foto che sentiamo veramente nostra, che ci rappresenti al meglio in ambito professionale e che ci faccia sentire a nostro agio.
E’ facile? No, per tanti non lo è. Vale la pena sforzarsi per arrivare ad un buon risultato che sarà lo specchio della nostra immagine sul social network professionale più importante del mondo? Decisamente sì.
Passiamo ora al titolo: il titolo è ciò che va inserito dopo il nome ed il cognome (ho detto nome e cognome, non soprannome, nickname o simili!) ed è la descrizione della posizione lavorativa che ricopriamo attualmente o della nostra specializzazione (ad esempio “direttore generale vendite”, “marketing specialist”, “project manager”, etc.).
Il titolo permette di usare al massimo 100 caratteri che dobbiamo cercare di utilizzare al meglio inserendo una descrizione che invogli chi sta visitando il nostro profilo a saperne di più su di noi.
Attenzione però a non lasciarsi prendere dall’entusiasmo o rischiamo di dare delle informazioni non vere: se siamo un community manager, non possiamo scrivere come titolo “Community manager numero 1 in Italia” se l’informazione non corrisponde a verità!
Il titolo è anche importante agli occhi dei motori di ricerca, per questo dobbiamo valutare la scelta delle keyword da usare nei 100 caratteri che abbiamo a disposizione: anche qui però, dobbiamo stare attenti. Se per avere una maggiore visibilità abbiamo creato un titolo artificiale, meglio sacrificare qualche parola chiave ed ottenere un titolo più “genuino”.
Informazioni di contatto: sei su LinkedIn, non su MySpace
Nel nostro profilo personale LinkedIn ci chiede di fornire un indirizzo mail di contatto: come la foto, anche questo dev’essere professionale.
Se da una parte come foto profilo non possiamo mettere uno scatto del nostro ultimo compleanno in discoteca, dall’altra la nostra mail non può essere un account di Hotmail o simili creato durante l’adolescenza con il soprannome amoroso affibiatoci dal nostro fidanzato di allora o con il nostro nick da gamer.
L’indirizzo mail che compare sul nostro profilo LinkedIn dev’essere professionale quindi con il nostro nome e cognome (o le iniziali) e possibilmente di un dominio personale o di Gmail. In alternativa possiamo mettere anche il nostro indirizzo mail aziendale, perché no?
Nel profilo possiamo anche aggiungere l’account di Twitter: anche qui, come sopra. Possiamo mettere quello aziendale ma se desideriamo mettere quello personale ci dobbiamo pensare due volte: se i vostri Tweet sono un album fotografico delle ultime feste della birra, meglio evitare.
Un errore comune in questa sezione poi è legato all’indicazione dell’azienda dove si lavora: se lavoriamo in un’agenzia che ha una propria pagina aziendale su LinkedIn (Axura, nel mio caso), quando cominciamo a digitare il nome, LinkedIn ci propone di legarci alla Pagina Aziendale che corrisponde a quel nome; in questo modo se visitiamo la pagina di Axura io, Stella Fumagalli, compaio come dipendente.
Di frequente però non si fa caso all’autocomplete: io posso scrivere Axura Srl senza accettare il suggerimento di LinkedIn di collegarmi alla Pagina Aziendale corrispondente. In questo caso però, se clicco sul nome dell’azienda vengo rimandato ad una ricerca all’interno di LinkedIn e non alla Pagina Aziendale dell’agenzia (senza contare che dalla pagina di Axura io non comparirei come dipendente).
Infine è una buona idea anche personalizzare la URL del profilo personale in modo tale che l’indirizzo del nostro profilo non sia una sequenza infinita di numeri, lettere e caratteri speciali ma che, dopo lo slash, ci sia il nostro nome e cognome (o se per un caso di omonimia il vostro nome e cognome dovesse essere già preso, scegliete qualcosa di simile che risulti ordinato e facile da ricordare).
Per esempio, nel mio caso è: https://www.linkedin.com/in/stellafumagalli/
Per modificare la URL è sufficiente andare su “modifica profilo” e cliccare il bottone “modifica” accanto alla URL (a sinistra sotto la foto del profilo).
Riepilogo: sintetico, non soporifero
E’ vero, un riepilogo dev’essere un riassunto, qualcosa di breve, chiaro e conciso. Ma non per questo dev’essere noioso, nè tantomeno telegrafico!
Molto spesso si commette l’errore di pensare che le presentazioni professionali debbano essere impersonali: sbagliato! Un profilo LinkedIn è veramente efficace quando chi lo costruisce lascia trasparire che, dietro a tutta una sfilza di titoli accademici, figure professionali, competenze e date c’è una persona in carne ed ossa.
Certo, non tutte le sezioni di un profilo LinkedIn si prestano ad una presentazione più personale, ma quella del riepilogo sì: insieme alla foto e al titolo, il riepilogo è una delle prime cose visibili da chi va sul nostro profilo e ci aiuta a costruire l’importantissima prima impressione che vogliamo dare.
Cominciamo dall’inizio: cosa si deve raccontare nel riepilogo del profilo LinkedIn? La propria storia lavorativa, presente e passata: ruoli ricoperti, conoscenze ed abilità acquisite, progetti portati avanti, etc.
Come? In una maniera personale (senza avere paura di usare la prima persona), cercando di costruire un dialogo: attraverso una storia simpatica possiamo rendere il nostro riepilogo una sorta di “benvenuto” per chi visita il profilo, dando un’immagine fresca di noi e del nostro percorso professionale.
In questa sezione LinkedIn ci dà la possibilità di aggiungere anche file media, ovvero foto e video: questi elementi possono dare al nostro profilo una marcia in più, ma bisogna stare attenti a non usarli indiscriminadamente pubblicando contenuti non pertinenti o addirittura non adeguati che possono ritorcersi contro di noi.
Il video deve rappresentare del valore aggiunto per il profilo
Una videoinfografica aziendale, un nostro intervento ad una conferenza o a un seminario, un’intervista che ci hanno fatto in occasione di una fiera di settore, questi sono alcuni esempi di materiale video adatto per essere pubblicato su un profilo LinkedIn.
Attenzione, anche qui c’è un “però”: pubblicare video pertinenti è un punto a favore ma la qualità del file deve permetterlo. Il video ha una risoluzione pessima e l’audio si sente poco? Allora meglio evitare.
Esperienze lavorative: non solo quando ma anche come e con chi!
Questa sezione sembra avere ben pochi segreti: dobbiamo elencare le nostre esperienze lavorative, tanto presenti quanto passate.
Quindi, come in un qualsiasi classico curriculum cartaceo, dobbiamo indicare con precisione presso che azienda abbiamo lavorato, per quanto tempo e con che ruolo. Fortunatamente però LinkedIn non è un classico CV cartaceo quindi possiamo permetterci di aggiungere qualche dettaglio rendendo questa sezione meno meccanica e ripetitiva.
Per esempio, immaginiamoci di voler dire che dal 2009 al 2012 abbiamo ricoperto il ruolo di Project Manager presso una determinata azienda: limitarci a dire Project Manager non aiuta chi visita il nostro profilo a saperne molto di più su di noi e sulle nostre competenze.
Possiamo quindi, senza andare troppo per le lunghe, raccontare in cosa consisteva il nostro quotidiano lavorativo, quali erano le nostre responsabilità e le abilità che abbiamo sviluppato (anche qui l’ideale è usare la prima persona e cercare di rendere questa sezione quanto più personale possibile).
Inoltre, se nell’esperienza professionale che stiamo raccontando abbiamo raggiunto un particolare traguardo o abbiamo avuto successo in un particolare progetto (sia da soli sia con il nostro team), perché non parlarne?
Abbiamo tutti gli strumenti a disposizione per fare in modo che un potenziale datore di lavoro o collaboratore veda in noi, nel nostro passato lavorativo e nei progetti che abbiamo portato avanti la persona giusta, una figura professionale di cui potersi fidare.
Non dobbiamo comunque dimenticarci che, al di là della parte più discorsiva (in cui possiamo inserire anche keyword pertinenti al nostro ambito professionale, senza abusarne) dobbiamo curare anche la parte più “fiscale”: è importante essere precisi riguardo alle date e ai nome delle aziende in cui abbiamo lavorato, tenendo la sezione delle esperienze lavorative sempre bene aggiornata.
Un ultimo consiglio: se le vostre prime esperienze lavorative non appartengono all’ambito professionale in cui vi state muovendo adesso, non è un buon motivo per non parlarne! Infatti tutto il vostro bagaglio di esperienza aiuta chi visita il profilo ad avere una visione olistica e completa di voi, senza contare che, poi, il sapersi adattarsi a vari ambiti lavorativi è un punto a favore.
Formazione: non tutto fa brodo
Una persona che vi considera un potenziale candidato per un lavoro o per una collaborazione probabilmente non sarà particolarmente interessata a sapere dove avete fatto le elementari o con che voto siete usciti dagli esami di terza media.
E’ invece importante dare dettagli riguardo i corsi di laurea che abbiamo frequentato e gli eventuali master o specializzazioni che abbiamo ottenuto in seguito, senza dimenticarci di indicare anche se abbiamo preso parte a corsi o seminari che possono essere rilevanti nel nostro ambito professionale (se abbiamo partecipato ad un corso di trucco lo possiamo segnalare se siamo dei make-up artist, non se siamo dei traduttori giuridici).
Possiamo anche dare spazio a tutta una serie di situazioni che sono state significative per noi all’interno di un corso scolastico: un tirocinio specialmente rilevante, una tesi di cui andiamo fieri, un progetto impegnativo che abbiamo portato a termine, etc.
Competenze e conferme: tutti i nodi vengono al pettine
Sul nostro profilo LinkedIn possiamo elencare tutta una serie di competenze su cui ci sentiamo sicuri: un traduttore, per esempio, tra le sue competenze potrebbe avere “traduzione diretta”, “traduzione inversa”, “proofreading”, “traduzione tecnica”, etc.
I nostri collegamenti possono confermare (o “endorsare”, dall’inglese “endorsement” ovvero “appoggio”, “sostegno” ma anche “garanzia”) le nostre competenze: tanto più una competenza viene confermata, quanto più facile sarà che il nostro profilo compaia tra i risultati quando su LinkedIn viene fatta quella ricerca specifica.
State già scrivendo ai vostri collegamenti per farvi endorsare le competenze? Pensateci un secondo: che senso ha chiedere ai nostri collegamenti di confermare alcune nostre “presunte competenze”? Se poi verremmo scelti da un datore di lavoro per quelle abilità specifiche, dovremo dimostrare sul lavoro di possederle! Come la mettiamo quindi se poi non siamo all’altezza?
Per questo motivo LinkedIn ci dà anche la possibilità di non accettare l’endorsment se riteniamo di non avere quella competenza specifica.
Lo stesso discorso vale all’opposto: se un collegamento ci chiede di confermargli una competenza che sappiamo non essere vera, aiutandolo a costruire una falsa immagine di sé gli stiamo davvero dando una mano?
Raccomandazioni: poche ma buone
Anche quello delle raccomandazioni è un terreno delicato: possiamo lasciare una raccomandazione (che verrebbe ad essere una sorta di “recensione positiva”) sul profilo di un collegamento e, allo stesso modo, i nostri collegamenti possono farlo sul nostro profilo.
Anche qui, volendo possiamo chiedere a qualcuno di scriverci una raccomandazione (sul nostro profilo si vedono solo le ultime due, quelle più recenti). Come per gli endorsement, avere raccomandazioni false può aiutarci a breve termine ma non a lungo termine, quando dobbiamo dimostrare la nostra bravura nel quotidiano lavorativo.
Anche le vere raccomandazioni però possono essere un’arma a doppio taglio: se non sono scritte come si deve, infatti, possono non sortire l’effetto desiderato. Se non possiamo dire agli altri come scrivere, possiamo però noi in prima persona stare attenti quando diamo una raccomandazione.
Non serve a nulla scrivere frasi troppo generiche in cui stiamo dicendo tutto o niente: in una buona raccomandazione possiamo menzionare un esempio concreto di problema che la persona in questione ci ha aiutato a risolvere, parlare del buon esito di un progetto che si è portato avanti assieme o comunque fornire esempi reali e pratici del perché la persona che stiamo raccomandando sia valida lavorativamente e degna di fiducia.
Dobbiamo davvero essere sicuri di voler dare una raccomandazione
Cosa succede quindi se ci viene chiesto esplicitamente di raccomandare qualcuno su LinkedIn (ma noi non avevamo intenzione di farlo)?
Prima di tutto pensiamoci bene e ricordiamoci che non solo stiamo dando un giudizio, ma che ci stiamo anche mettendo la faccia pubblicamente. Non serve a nulla “regalare” raccomandazioni, anzi: se ci limitiamo, le poche che scriviamo avranno ancora più valore.
Gruppi: dimmi con chi vai…
I gruppi su LinkedIn servono per entrare (e rimanere) in contatto con gli specialisti in un determinato settore di tutto il mondo.
E’ come se entrassimo in una stanza e in quella stanza trovassimo tutti gli esperti su un determinato argomento: una volta entrati dobbiamo presentarci, capire come interagire nella conversazione e, una volta presa dimestichezza con l’ambiente, cominciare a partecipare.
Generalmente si entra a far parte di un gruppo per stringere contatti commerciali, per rimanere aggiornati su un determinato argomento e restare in contatto con gli specialisti del settore.
LinkedIn ci dà la possibilità di iscriverci fino a 50 gruppi ma, anche qui, vale la regola “pochi ma buoni”: non ha nessun senso iscriversi a 30 gruppi i cui membri sono poco attivi o che vengono usati per fini pubblicitari. E’ meglio iscriversi ad un numero limitato ma selezionare solo quelli che siano davvero utili per noi, che ci sembra abbiano un valore aggiunto.
Dato che partecipare ai gruppi ci permette di renderci visibili agli occhi di persone che lavorano nel nostro stesso ambito, è saggio iscriversi a gruppi che siano pertinenti con nostro ambiente professionale.
Come trovare gruppi interessanti a cui iscriversi? Un primo passo può essere controllare i gruppi a cui sono iscritti i nostri collegamenti e, se ci sembrano scelte valide, iscriverci anche noi (attenzione, mentre alcuni gruppi sono pubblici altri sono privati ed è quindi necessario l’invito dell’amministratore).
Come ci si comporta nei gruppi di LinkedIn? Anche qui vige un certa netiquette. Prima di tutto può essere utile nei primi giorni monitorare “passivamente” l’attività del gruppo in modo tale da capirne le dinamiche. Poi, si può cominciare rispondendo (se siamo in grado di farlo) alle domande che gli utenti sottopongono al gruppo e, se ne abbiamo anche noi, chiedere a nostra volta.
Se, poi, ci sentiamo particolarmente ferrati su un argomento specifico e ci sembra che su LinkedIn non ci siano gruppi validi a riguardo, possiamo sempre crearne uno! Può essere un’attività che porta grandi soddisfazioni ma, prima di un passo del genere, è meglio aver preso parte ad altri gruppi ed aver preso sufficiente dimestichezza con questo strumento.
Collegamenti: numeri vs valore reale
LinkedIn ci aiuta ad espandere il nostro network professionale ma, non per questo, dobbiamo accettare qualsiasi persona che ci chieda di entrare in collegamento con noi.
Prendiamo come esempio la richiesta di collegamento di una persona che non conosciamo, che non ha collegamenti in comune con noi, che vive dall’altra parte del mondo e che appartiene ad un ambito professionale diametralmente opposto al nostro: che valore ha questo collegamento?
Praticamente nessuno, è molto improbabile che la persona in questione possa un domani diventare un nostro collaboratore o una relazione professionale interessante.
Il numero di collegamenti è importante, ma devono essere pertinenti e di qualità
Dobbiamo collegarci con persone che potrebbero potenzialmente diventare relazioni professionali vantaggiose: il fatto di avere collegamenti di primo grado, poi, ci espone di riflesso a molti collegamenti di secondo e terzo grado (ovvero persone collegate a nostri collegamenti di primo e secondo grado ma non a noi direttamente).
Se siamo noi a mandare una richiesta di collegamento, dobbiamo tenere a mente di farlo solo con persone che conosciamo o con cui comunque siamo venuti in contatto per lavoro: infatti se mandiamo richieste di collegamento a persone che non conosciamo (e che quindi rifiutano di collegarsi con noi), dopo un certo numero di richieste di questo tipo (rifiutate dai destinatari) LinkedIn penalizza il nostro profilo impedendoci di inoltrare alcune richieste di collegamento.
Quando mandiamo una richiesta è importante poi che sia sempre accompagnata da una nota di invito personalizzata, soprattutto se non siamo in confidenza con la persona in questione: in questo modo stiamo dimostrando di chiedere un collegamento con un certo criterio e che il nostro obiettivo non è quello di collegarci con persone a caso per “fare numero”.
A proposito di numeri: una volta raggiunta la soglia dei 500 collegamenti, LinkedIn segnala un generico 500+. Tuttavia alcune persone tengono così tanto al numero dei propri collegamenti da inserire nel proprio nome eventuali nuovi traguardi raggiunti (1000+, 5000+, etc.).
In questo caso il messaggio che stiamo dando è chiaro: per noi il numero dei nostri collegamenti è così importante da volere che sia messo in evidenza. Nessuno vieta di dare questo genere di messaggio – se è quello che si vuole – ma quello che non possiamo sapere è come verrà interpretato da chi visita il nostro profilo.
Infine, vale la pena menzionare velocemente la funzione Open Link, disponibile però solo per gli account Premium (gli account LinkedIn a pagamento): OpenLink pemette di entrare in contatto – attraverso un messaggio – anche con persone che non appartengono alla nostra rete di collegamenti: è utile perché possiamo raggiungere persone senza dover prima mandare una richiesta di invito ed è gratis, a differenza dei messaggi InMail (anche questi disponibili solo per account Premium e che hanno un costo per messaggio).
Attività della pagina: farsi sentire non significa fare rumore
Se da certe figure ci si aspetta un aggiornamento quotidiano del profilo LinkedIn, per un “normale” account non è necessario essere così “attivi”. Certo, questo non vuol dire che possiamo dimenticarci di avere un profilo da aggiornare!
Quindi, cosa pubblicare sul nostro profilo LinkedIn? Materiale che sia pertinente con il nostro ambito professionale: notizie aziendali, articoli di riviste specializzate (e non) relativi ad eventi importanti o scoperte significative che riguardano il nostro settore, etc.
E’ buona norma anche condividere il materiale originariamente pubblicato dai nostri collegamenti (se ci sembra interessante) ed interagire anche sul profilo delle persone che sono collegate con noi: anche qui, è fondamentale non esagerare!
Sezioni aggiuntive: cos’altro si può dire
Oltre alle sezioni di “default” che troviamo in un profilo LinkedIn, abbiamo anche la possibilità di aggiungerne altre opzionali: una di queste è Progetti. Qui, per esempio, possiamo dare spazio a idee su cui stiamo lavorando (da soli o con un team) e che ci fa piacere presentare: un’app, un blog, una piattaforma, etc.
Tra le sezioni aggiuntive che LinkedIn ci permette di aggiungere al nostro profilo ve ne sono alcune che possono dare molto valore al nostro profilo ed aiutarci a creare un’immagine di noi più “umana” fornendo alcune informazioni non prettamente lavorative e professionali.
Grazie a sezioni come “riconoscimenti e premi”, “certificazioni” o “volontariato e cause” possiamo presentarci meglio e dare a chi visita il nostro profilo un’idea migliore di chi siamo, di quali sono i nostri interessi e di cosa ci sta a cuore.
Per esempio io nel mio profilo ho aggiunto la sezione “progetti” per mettere in evidenza due progetti di traduzione che ho portato avanti e di cui mi sento particolarmente orgogliosa.
Per concludere…
Arrivati a questo punto, se avete seguito i consigli che abbiamo dato in questo articolo, potete dire di avere un buon profilo LinkedIn. C’è ancora qualcosa che possiamo migliorare o qualche suggerimento che può tornare utile? Certo! Ecco un breve elenco:
- creare profili multilingua: in questo modo il bacino di utenza del nostro profilo può uscire dai confini nazionali senza che ci sia bisogno di creare un nuovo profilo per ogni lingua che sappiamo (attenzione però che i link multimediali non si possono cambiare: se carichiamo un video in italiano, rimarrà in italiano anche nel profilo che creiamo in un’altra lingua);
- impostare sul nostro calendario un promemoria periodico (magari una volta al mese) per controllare il proprio profilo LinkedIn e, se necessario, aggiornarlo;
- provare i profili Premium: questi profili a pagamento offrono tutta una serie di servizi e strumenti in più per sfruttare al massimo l’esperienza LinkedIn. Ce ne sono di quattro tipi: Business, Job Seeker, Sales Professional, Recruite;
- ricordarsi che se visitiamo il profilo di una persona su LinkedIn, rimane traccia del nostro passaggio e la persona in questione può vederlo dalla sezione “Chi ha visitato il mio profilo?” (attenzione quindi a non stalkerare il profilo di qualche ex fidanzato/a). A questo proposito possiamo cambiare le impostazioni del nostro profilo e decidere di comparire come “anonimi” (cliccando su “seleziona le informazioni che gli altri vedono quando visiti il loro profilo” nelle impostazioni personali). In questo modo però risulteranno a noi anonimi anche coloro che visitano il nostro di profilo.
E’ evidente che quando parliamo di LinkedIn parliamo di uno strumento molto potente che, se usato bene, può portare a ottimi e soddisfacenti risultati. Se usato male, invece, nel migliore dei casi non avrà alcuna influenza sulla nostra vita lavorativa ma, nello scenario peggiore, può arrivare a risultare dannoso per la nostra immagine professionale.
C’è anche da dire che LinkedIn non è l’unico social network professionale sulla scena: sta crescendo molto anche about.me e, in alcune zone, è predominante l’uso di Xing, una piattaforma tedesca. Indipendentemente dallo strumento che si scelga di usare la regola rimane sempre la stessa: usatelo bene!
Arrivati a questo punto è facile farsi prendere dal panico: le sezioni da sistemare sono tante, bisogna creare una presentazione discorsiva per il riepilogo, tradurre tutti i testi in inglese… Calma! Fate un respiro profondo: se pensiamo alla costruzione del profilo di LinkedIn come una “impresa monolitica”, è difficile avere il coraggio di muovere il primo passo. E’ come una maratona, vediamola così: se si pensa ai 42 km tutti insieme sembra un’impresa impossibile ma, presa km per km, sembra già più fattibile.
Secondo me una buona idea per affrontare al meglio la creazione di un buon profilo di LinkedIn è, prima di cominciare ad editare direttamente il profilo, impostare un documento in cui buttare già una prima stesura di tutte le sezioni (nelle diverse lingue in cui si vuole pubblicare il profilo) che poi potete mano a mano controllare e modificare senza dover ogni volta salvare e far andare online un testo provvisorio.
Inoltre potete anche visitare i profili LinkedIn di persone che conoscete e che sapete che lo utilizzano già e che sono attive sulla piattaforma: colleghi, amici, il vostro capo, per esempio. Guardarsi attorno per valutare come si muovono gli altri dà senz’altro una mano a capire la direzione da prendere ed avere qualche spunto (ricordatevi che, a meno che non modifichiate le impostazioni, quando visitate un profilo l’utente vede che siete passati).
Una volta che vi siete fatti un’idea di come muovervi e quando siete convinti di quello che avete scritto, allora è giunto il momento di “andare in scena” pubblicando tutto sul vostro profilo di LinkedIn! Se partite da un profilo abbandonato a sè stesso la mole di lavoro non sarà poca, ma il risultato finale sarà molto soddisfacente.
Per tornare al parallelismo con la maratona, poi, ricordatevi che se non siete allenati, è impossibile fare 42 km di fila la prima volta che ci si prova! Anche con un buon lavoro preparatorio, poi, magari quando riuscite a raggiungere l’arrivo il vostro tempo non sarà ottimo. Ma è tutta questione di costanza ed allenamento, giusto? Come un maratoneta si allena costantemente per mantenere i suoi risultati, anche noi non dobbiamo abbandonare il nostro profilo LinkedIn una volta che lo abbiamo imbastito per bene.
Vedrete che, una volta presa l’abitudine, vi verrà naturale come la corsetta dopo il lavoro 😉