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Codici QR vs ricerca visuale: chi vince la sfida della realtà aumentata nel 2012?

Alberto Giacobone

Tempo di lettura: 15′

I codici QR compiono 18 anni: tecnologia matura o tecnologia obsoleta?

Il 1994 è l’anno di Netscape Navigator, quello che si può definire il primo browser web, capostipite di una lunga progenie di browser più o meno amati (o odiati). Sempre nello stesso anno, in una sussidiaria Toyota, per velocizzare la produzione, vengono introdotti dei codici bidimensionali, simili ai già largamente impiegati codici a barre: è cosi che nascono i codici QR (Quick Response, cioè Risposta Rapida). 

Facciamo scorrere il tempo in avanti rapidamente fino al 2012, più precisamente il 22 giugno 2012: ho personalmente avuto il piacere di far parte della giuria di un evento dedicato alle Start Up in quel di Monza, “It’s a Start”. In pratica, una ventina di start up più o meno avviate si sono presentate, con 5 minuti ciascuna a disposizione, a imprenditori e professionisti, per essere giudicate sotto diversi profili. In due di queste presentazioni i progetti e le attività avevano come riferimento i codici QR per l’interazione con il pubblico. Ma davvero, nel 2012, a distanza di quasi 20 anni dalla loro invenzione, non c’è un sistema migliore dei codici QR per creare un legame tra reale e virtuale?

A dire il vero, la realtà può essere molto più stratificata di come naturalmente ci appare!

I codici QR sono stati “trapiantati” dal settore industriale al mercato dei consumatori, sulla base di una premessa: la maggior parte dei consumatori oggi ha a disposizione uno smartphone dotato di fotocamera quindi, quando una persona vede un codice QR stampato su di una pagina di un giornale o su di un volantino attaccato ad un muro, può:

1. Prendere in mano il proprio smartphone

2. Avviare una delle migliaia di applicazioni che leggono codici QR (che sarà stata preinstallata sul dispositivo o scaricata in precedenza)

3. Inquadrare il codice QR

4. Scansionarlo

5. Procedere con l’azione prevista, tipicamente seguire un collegamento attraverso il browser.

Come si può intuire già dal numero di passaggi, compiere queste operazioni non è immediato e sono molti i limiti con cui ci confrontiamo, vediamone alcuni:

1. Il codice QR deve essere visibile: per quanto possa apparire scontato, così non è. Vedremo a breve come si può anche fare a meno di un elemento “aggiuntivo” rispetto alla realtà che ci circonda per accedere ad ulteriori contenuti specifici.

2. Il codice QR influenza l’impatto estetico dell’elemento a cui è collegato: se ad esempio lo stampiamo su di un biglietto da visita, dovremo dargli uno spazio piuttosto rilevante, che imporrà delle scelte di impostazione grafica a chi realizza l’impianto grafico. In alcuni casi questo limite apparente si è trasformato in uno stimolo creativo, ma non sempre il risultato è dei migliori.

3. Il codice QR può contenere un carico di dati massimo pari a circa 4 Kb: questo è sufficiente per i tipici dati presenti su di un biglietto da visita o ancora, un collegamento verso una risorsa esterna. Per come sono strutturate le applicazioni di lettura dei codici QR più diffuse, è prevista la presenza di una sola tipologia di informazioni e un solo collegamento. Se quindi si desiderano collegare più risorse ad un codice, è necessario intervenire tramite una pagina di salto, allungando i tempi di accesso al contenuto.

4. Il codice QR può essere “rimpiazzato”: per un meccanismo psicologico di affidamento, un codice eredita la legittimità del luogo in cui è stampato. Se quindi troviamo un’etichetta con un codice QR in corrispondenza di un cartello che descrive un’opera d’arte, è naturale per i più considerare la fonte di quell’etichetta la stessa del cartello. Questo affidamento può essere facilmente sfruttato da eventuali malintenzionati per indurre degli ignari utenti a seguire dei collegamenti “maligni’, sovrapponendo il loro codice QR a quello legittimo.

Per aiutarci a comprendere i limiti di questa tecnologia, è utile toccare con mano quello che già oggi è possibile con altri sistemi, immaginandone poi le prossime evoluzioni.

Ad esempio, lo scorso 30 maggio è andato in onda l’ultimo episodio della prima stagione di “Touch”, una serie TV con Kiefer Sutherland prodotto dal network televisivo Fox.

Nel corso dell’episodio, il protagonista impiega un’applicazione proposta da AT&T, dal nome Air Graffiti: in pratica, inquadrando determinati oggetti in una stanza, attraverso il display dello smartphone riesce a vedere dei contenuti altrimenti invisibili ad occhio nudo.

Air Graffiti non è ancora a disposizione del grande pubblico, ma AT&T sta sviluppando questo software dedicandoci particolare attenzione.

Per far conoscere meglio questa tecnologia, propone anche un video molto interessante:

Se però vogliamo già “toccare con mano” questa situazione ci viene in soccorso Layar, società specializzata in realtà aumentata che ha da poco lanciato Stiktu, un’applicazione gratuita per smartphone iOS e Android che permette di “remixare il mondo a piacimento”. Un rapido video dimostrativo ci aiuta a scoprirla, prima di metterla alla prova:

**Stiktu è un esperimento sociale da parte di Layar, che con l’ultima versione della sua applicazione omonima, disponibile nei principali market dei più diffusi sistemi operativi mobile, rende ancora più facile l’aggiunta di informazioni virtuali a “qualsiasi cosa” possa essere fotografata.

Infatti, con la nuova piattaforma di creazione di collegamenti virtuali “Layar Creator”, è possibile associare con estrema facilità i contenuti virtuali, come dimostrato in questo video:

L’applicazione principale suggerita da Layar sono le riviste cartacee, che possono letteralmente prendere vita grazie all’aggiunta di uno “strato” di contenuti associati (anche più di uno per pagina), immediatamente fruibili.

Il riconoscimento delle immagini è particolarmente robusto e gli algoritmi impiegati stanno migliorando rapidamente: i sistemi più evoluti riescono a riconoscere oggetti, monumenti, luoghi anche nelle condizioni più avverse e dalle angolazioni più impensabili.

Creare quindi degli “strati” di realtà, percepibili per il tramite di dispositivi mobili quali i nostri smartphone o in un futuro prossimo occhiali come quelli proposti da Google con il suo Project Glass o ancora più recentemente da Microsoft (il termine che si sta delineando per definirli è “smartglasses”), è una concreta possibilità e l’interazione con i contenuti virtuali presenti in questi “strati” sarà estremamente facile e naturale.

Il paragone con i codici QR è impietoso: già il solo poter creare “più strati” di realtà a partire dalla stessa immagine è un fattore che ben ci fa comprendere la differenza sostanziale tra queste tecnologie. Da una parte, nessun “deturpamento” della realtà, nessun simbolo aggiuntivo o altro elemento “artificiale” da apporre fisicamente su di un oggetto. Dall’altra, in teoria, una pletora di etichette incollate.

Gli scenari che si aprono nell’impiego di queste tecnologie anche nel rapporto con i consumatori sono decisamente affascinanti: immaginiamoci di guardare un abito in una vetrina e vederlo indossato dal nostro avatar in movimento. Potremo subito renderci conto di come stiamo indossandolo e decidere se fa per noi o meno. Ancora, passeggiando in una via, ognuno potrebbe vedere promozioni diverse in base ai suoi interessi, senza che questi messaggi pubblicitari vadano a “contaminare” la realtà vissuta dagli altri.

Tutto questo sarebbe chiaramente impensabile facendo semplice affidamento al sistema di collegamento tra reale e virtuale basato sui codici QR.

A ben vedere, nel 2012 l’impiego di questa tecnologia (che da anni impazza in Giappone), è ancora in crescita in Italia ed è quindi comprensibile che i meno attenti alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie scelgano ancora di integrarla nei propri progetti di startup innovative: è altrettanto chiaro che in prospettiva si toccherà con mano un rapidissimo declino al diffondersi di tecnologie, servizi e applicazioni come quelli appena visti ed è quindi importante tenerne conto per non trovarsi “ancorati” ad una tecnologia “di passaggio”, che può ancora trovare  un corretto impiego in situazioni di nicchia (fino all’avvento di massa delle tecnologie NFC – Near Field Communication), ma che sicuramente perde il primato di trait d’union ideale tra reale e virtuale.

 

** Aggiornamento di luglio 2014: in due anni il panorama è cambiato in maniera davvero importante: ne riparleremo presto!