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Lush lascia i social media per ragioni etiche: una scelta coraggiosa ma in quanti possono farla?

Stella Fumagalli

Tempo di lettura: 3′

Sono contento di lasciare Facebook e perdere 10 milioni di sterline”: è questo il titolo di un articolo di The Guardian che racconta la decisione di Lush di chiudere i propri account di TikTok, Snapchat, Facebook e Instagram.

Ma facciamo un passo indietro: per chi non la conoscesse, Lush è un’azienda di cosmesi con sede a Poole (UK); è stata fondata nel 1995 dal tricologo (dermatologo specializzato in capelli e peli) Mark Constantine e da sua moglie.

Al momento in cui scriviamo Lush ha 951 negozi in 49 Paesi di tutto il mondo: l’azienda sostiene di usare per i suoi prodotti solo formulazioni vegetariane e vegane.

Veniamo al punto: l’azienda ha chiuso i suoi canali social (che nel complesso contavano quasi 11 milioni di follower) venerdì 26 novembre, proprio il giorno del Black Friday: l’abbandono delle piattaforme social costerà a Lush – si stima – circa 10 milioni di sterline (quasi 12 milioni di euro) ma Constantine ha detto di “non aver avuto scelta” dopo il recente scandalo riguardo l’impatto negativo dei social media sulla salute mentale delle ragazze adolescenti.

Era il maggio del 2021 quando Frances Haugen, ingegnera e data scientist, ha portato allo scoperto decine di migliaia di documenti interni di Facebook (compagnia per la quale ha lavorato come project manager) mettendoli a disposizione della Securities and Exchange Commission statunitense, del Wall Street Journal e di altre testate giornalistiche.

Frances Haugen che testimonia durante un’audizione al Senato accusando Facebook di sapere che le sue piattaforme sono dannose. Foto di Matt McClain, fonte New York Times (https://www.nytimes.com/2021/10/05/technology/haugen-facebook.html)

Tra questi documenti c’erano anche quelli che dimostravano come il gruppo Meta fosse consapevole che i suoi prodotti (soprattutto Instagram) potessero avere conseguenze negative sulla salute mentale degli adolescenti, in special modo delle ragazze, e che nonostante questa consapevolezza Facebook non sia intervenuta a sufficienza.

Facebook tenne infatti segreta una ricerca interna che suggeriva che Instagram peggiorasse i problemi di percezione dell’immagine corporea per le ragazze adolescenti; almeno dal 2019 il personale della società ha studiato l’impatto di Instagram sugli stati d’animo dei suoi utenti più giovani e le ricerche hanno ripetutamente portato alla luce che l’uso di Instagram risultava dannoso per una grande percentuale di adolescenti, soprattutto di sesso femminile.

“Peggioriamo i problemi di percezione dell’immagine corporea per 1 ragazza adolescente su 3”, dice la diapositiva di una presentazione interna del 2019 riportata dal Wall Street Journal. “Il 32% delle ragazze adolescenti ha detto che quando si sentivano male per il loro corpo, Instagram le faceva sentire peggio”, ha riferito una successiva presentazione nel marzo 2020.

Questi dati – come ben spiegato in questo articolo – possono essere in parte contestati: la ricerca trapelata da Facebook consiste in sondaggi d’opinione e interviste in cui l’azienda chiedeva agli adolescenti le loro impressioni sull’effetto di Instagram sulla loro immagine corporea, la salute mentale e altre questioni.

Fare affidamento solo sulle opinioni degli adolescenti come unico indicatore potrebbe essere un problema: gli adolescenti sono condizionati sia dai media sia dalla disapprovazione degli adulti e possono essere più portati a credere che i social media siano dannosi per loro.

La ricerca su Facebook non è stata sottoposta a peer-review o progettata per essere rappresentativa a livello nazionale, e alcune delle statistiche che hanno ricevuto più attenzione erano basate su numeri molto piccoli.

Sempre nell’articolo in questione viene evidenziato come ci siano altre ricerche, svolte su una base più ampia, che paradossalmente evidenziano il beneficio dei social media nella vita degli adolescenti costretti in questi mesi o purtroppo ormai anni ad un’esperienza diminuita in virtù di lockdown e altre misure restrittive: i social sono in questo senso una risorsa che aiuta a mantenere dei legami.

In ogni caso, cosa ha a che fare Lush con tutto questo?

È un’azienda di cosmetica che dialoga, per scelta, di più con un pubblico giovane composto in buona parte proprio da ragazze adolescenti; come ha dichiarato il co-fondatore, Mark Constantin: “Stiamo parlando di suicidio qui, non del fatto che qualcuno debba tingersi i capelli di biondo; come possiamo dire di essere un’azienda che si prende cura degli altri se siamo consapevoli di questi problemi e non facciamo niente?”.

C’è anche da dire che questa non è la prima volta che Lush cerca di abbandonare i social: ci aveva già provato nel 2019 smettendo di pubblicare su Facebook e Instagram (senza però cancellare i profili) dicendo di essere “stanca di combattere contro gli algoritmi” imposti dalle piattaforme.

L’uscita non era durata molto: con la pandemia la rete è diventata il canale di comunicazione principale con gli utenti e, di fronte alla chiusura dei suoi negozi fisici, anche l’azienda ha dovuto tornare a pubblicare sui social.

Tornando ai giorni nostri, l’azione di Lush è senz’altro lodevole (anche se magari – visti i precedenti del 2019 – potrebbe esserci altro oltre l’etica dietro questa decisione) ed è sicuramente un forte segnale di rottura che deve però essere letto in una conversazione dinamica.

Quello che è chiaro è che c’è un problema di fondo (gli effetti dei social media su un particolare tipo di pubblico) e che il problema va affrontato: iniziative come quelle di Lush possono aiutare a sensibilizzare riguardo al problema.

C’è anche un ulteriore punto da tenere in considerazione: Lush ha potuto prendere questa decisione etica proprio perché è Lush.

Come abbiamo detto prima è un’azienda con centinaia di negozi in tutto il mondo e che, solo nel 2020, ha fatturato 438 milioni di sterline (quasi 452 milioni di euro); è un brand amatissimo in tutto il mondo e sa che potrà continuare a contare sulla fedeltà della clientela anche senza essere presente sulle principali piattaforme social.

[Un breve ma importante inciso: la piattaforma a cui le ricerche interne di Meta fanno riferimento in merito al peggioramento della salute mentale delle adolescenti è Instagram. Lush ha voluto comunque chiudere anche Facebook, TikTok e Snapachat sebbene non ci siano studi / documenti che accusino anche queste piattaforme di essere dannose per chi le usa; Lush rimarrà comunque attiva su Twitter per l’assistenza clienti e su Pinterest.]

Quanti sono i brand (senza contare i giganti del settore) che possono permettersi di fare una mossa simile? Quante aziende possono prescindere dal social media marketing e sopravvivere sul mercato?

È chiaro che i brand più piccoli non sono in grado di fare la stessa scelta sebbene ne condividano le motivazioni: per tante realtà piccole e medie i social media sono il principale canale di contatto con i potenziali clienti e non essere presenti sulle piattaforme principali equivale a non esistere.

Quindi l’obiettivo non è che i social media spariscano o che la gente smetta di usarli (entrambi scenari altamente improbabili per non dire impossibili) ma che le piattaforme prestino maggiore attenzione al loro impatto anche se questo può portare a una perdita di soldi.

Che ne pensate dell’azione di Lush? Siete d’accordo con la scelta dell’azienda di lasciare i social media o avreste fatto diversamente?

Fatecelo sapere nei commenti!