Nella storia sono tante le donne le cui scoperte e conquiste hanno fatto la differenza per l’umanità: purtroppo, in diversi casi queste scoperte sono state attribuite a colleghi di sesso maschile.
Un esempio tra tanti è quello della scienziata tedesca Lise Meitner che scoprì come dividere gli atomi insieme al suo compagno di laboratorio Otto Hahn; Meitner era però ebrea e fu costretta a lasciare la Germania per fuggire dal nazismo. Hahn si prese tutto il merito del suo lavoro ricevendo in seguito il premio Nobel per la chimica.
Di storie simili a questa purtroppo ce ne sono altre ma non sempre è andata così: fortunatamente in tanti altri casi le donne sono riuscite ad affermarsi grazie alle proprie conquiste anche se, spesso e volentieri, hanno dovuto lottare (più degli uomini) per farsi vedere e ascoltare.
Tra i personaggi femminili che hanno avuto un ruolo di rilievo nel marketing e nella comunicazione (settore di cui non si parla molto spesso quando ci si occupa di conquiste delle donne) non si può non citare Mary Frances Gerety, colei che ha inventato l’iconica frase “A diamond is Forever” (“Un diamante è per sempre”), storico slogan di De Beers.
Piccola curiosità: proprio alla Gerety è ispirato il personaggio di Peggy Olson della serie TV Mad Men: nella serie la Olson inizia a lavorare nell’agenzia pubblicitaria Sterling Cooper come segretaria di Don Draper (personaggio protagonista) ma – una volta dimostrato il suo talento – vi lavora come copywriter, non senza difficoltà legate al fatto di essere donna.
La storia di Mary Frances Gerety ha alcuni punti in comune con quella di Peggy Olson, ma ci sono anche differenze sostanziali.
Nel 1947 (epoca in cui sono pochissime le donne ad avere un impiego, il lavoro retribuito è infatti ancora appannaggio degli uomini) la Gerety lavora già da 4 anni presso l’agenzia pubblicitaria N.W. Ayer & Son a Philadelphia; è la copy incaricata di scrivere per i brand di prodotti femminili e il suo principale cliente è il gruppo De Beers, colosso che si occupa dell’estrazione, lavorazione e commercializzazione dei diamanti.
DeBeers non è un cliente qualunque e verrebbe da pensare che affidarlo alla Gerety dimostri l’alta considerazione che l’agenzia dove lavora ha nei suoi confronti: le cose, però, non stanno proprio così.
All’epoca gli uomini avevano serie difficoltà a scrivere per vendere a un pubblico femminile: bisogna ricordarsi che i matrimoni erano spesso “accordi di convenienza” e che, anche nel migliore dei casi, la comunicazione tra marito e moglie (o tra compagno e compagna) era scarsa, e i desideri, le necessità e le inquietudini delle donne non solo erano ignorate, ma proprio non trovavano spazio per essere espresse.
Per questo si pensava che fossero proprio le donne (quando presenti) a dover scrivere per le donne: siccome gli anelli di fidanzamento (prodotto che, come vedremo tra poco, la DeBeers voleva promuovere) erano considerati un prodotto femminile, fu la Gerety – in quanto femmina – a occuparsi del cliente e della campagna.
Come conseguenza delle guerre mondiali e della Grande Depressione l’acquisto di diamanti era ai minimi storici; DeBeers si affidò quindi alla N.W Ayer per rinnovare l’interesse della popolazione generale (e non solo delle persone ricche) per i diamanti e, più concretamente, per gli anelli di fidanzamento con diamante.
Tra il materiale che la Gerety doveva preparare per la presentazione – prima ai colleghi e poi al cliente – c’era anche un breve slogan: la sera prima della presentazione, senza pensarci troppo, la copywriter butto giù la frase “A diamond is Forever“.
Quando presentò la proposta ai suoi colleghi (tutti maschi) la frase non suscitò molto successo: lo stile era insolito rispetto ai canoni del momento e la prima reazione dei colleghi fu quella di questionarne la correttezza grammaticale.
Nonostante lo scetticismo iniziale, però, lo slogan fu approvato: al cliente piacque e cominciò ad usarlo in ogni pubblicità per i suoi anelli di fidanzamento, da allora… Fino ad oggi.
La rivoluzione di “A diamond Is Forever” risiede nella sua enfasi sia sull’eternità che sul sentimento; il messaggio che trasmette lo slogan è quello di una una promessa definitiva: se compri questo oggetto, il tuo amore non finirà mai. Senza un diamante, non esiste l’eterno.
Il messaggio funzionò eccome: nel 1951, 4 anni dopo la “nascita” dello slogan, 8 spose americane su 10 ricevevano un diamante come anello di fidanzamento.
Oggi lo slogan “A diamond Is Forever” è studiato nei corsi di business e marketing alla New York University, all’Università del Massachusetts ad Amherst e all’Università della Pennsylvania, tra gli altri, come esempio di tecniche innovative, complessità del messaggio e longevità.
Nel 1999 Advertising Age, magazine settimanale sul mondo della pubblicità nato nel 1930, l’ha proclamato lo slogan del secolo e in onore a Mary Frances Gerety sono stati istituiti i Gerety Awards, premi a iniziative pubblicitarie decisi da una giuria di sole donne.
Ma torniamo alla Gerety: dopo il successo della sua frase, come sono cambiate per lei le cose lavorativamente parlando? Il fatto di essere donna ha ancora condizionato negativamente il suo operato alla N.W Ayer?
Non lo sappiamo con esattezza, ma un episodio ci fa capire come stessero ancora le cose: nel 1963 l’agenzia festeggia il 25° anniversario del suo lavoro con De Beers; per l’occasione a tutti i dirigenti maschi fu regalato un orologio d’oro, a Mary Frances Gerety – a cui va il merito della longeva collaborazione con il cliente – non fu regalato niente.
Per la serie meglio tardi che mai, in occasione del 50° anniversario della collaborazione tra N.W. Ayer e De Beers la Gerety viene (finalmente) premiata durante una celebrazione a Londra.
Prima di concludere il nostro excursus, un fatto interessante: la Gerety rimarrà sempre colei che ha attribuito agli anelli di fidanzamento di diamante l’idea romantica dell’amore eterno; eppure lei non si sposò mai.
Viveva infatti in un’epoca in cui le donne erano sostanzialmente costrette a scegliere se portare avanti la carriera o metter su famiglia: la scelta fu per lei, a quanto pare, abbastanza facile.
Ripercorrendo questa storia con l’ottica di chi fa comunicazione nel 2022 (e che cerca di farla nel modo più inclusivo possibile), è difficile non pensare che – nonostante la Gerety fosse una donna “avanti” per il tempo in cui viveva – non ha comunque messo in discussione l’idea patriarcale che sta alla base dell’anello di fidanzamento da regalare solo alla donna.
Nel passato, infatti, l’anello di fidanzamento era sostanzialmente qualcosa che si utilizzava per suggellare il contratto di fidanzamento (il futuro sposo chiedeva il permesso al padre della donna di sposare sua figlia e se il padre acconsentiva si arrivava a un accordo).
La donna poteva poi rifiutarsi di sposare l’uomo in questione e, in quel caso, restituiva l’anello; se, invece, era l’uomo a decidere di non sposare più la donna, questa poteva tenersi l’anello come una sorta di “caparra”.
Questo succedeva soprattutto se le donne in questione avevano avuto rapporti sessuali prematrimoniali con l’ex fidanzato: non potendo più garantire la loro verginità nell’iniziare una futura nuova relazione, queste donne “perdevano valore di mercato” agli occhi di una società che richiedeva spose illibate che venissero deflorate solo dal marito la prima notte di matrimonio; un problema che gli uomini non hanno mai avuto.
[Sulla “verginità delle donne” che biologicamente e fisicamente non esiste (è solo un costrutto sociale) avevamo scritto un post sul blog del nostro progetto Mestruazioni senza Tabù; a tal proposito avevamo anche fatto cambiare a Treccani una delle accezioni della voce “integrità” (che faceva riferimento alla verginità femminile e all’imene) nel suo dizionario online].
In alcune culture tradizionalmente entrambi i futuri sposi da sempre indossano un anello di fidanzamento, non solo le donne; oggi come oggi per la maggior parte di noi non sarebbe strano vedere una pubblicità di anelli di fidanzamento da regalare agli uomini, cosa che – invece – al tempo di Mary Frances Gerety sarebbe stata impensabile, probabilmente anche per una pioniera come lei.
Tornando alla situazione per le donne che lavorano (o meglio, per le donne che hanno un lavoro retribuito) oggi per fortuna lo scenario è diverso, anche se la strada per la parità è ancora lunga: divario salariale, scarsa presenza femminile nei ruoli dirigenziali, precarietà lavorativa, discriminazione rispetto agli uomini, lavoro non retribuito e cura di bambini e persone anziane ancora appannaggio quasi esclusivamente femminile…
Le situazioni da migliorare (quando non da cambiare radicalmente) sono ancora tante ed è anche il raggiungimento di questi obiettivi (tra tanti altri necessari per le donne) che si dovrebbe celebrare l’8 marzo.