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I chatbot al servizio delle imprese: cosa sono, perché possono essere utili e alcune attenzioni da prestare per implementarli al meglio

Alessandro Fumagalli

Tempo di lettura: 10′

Avete fatto un acquisto online. Vi state chiedendo dov’è il pacco che state aspettando e visitate il sito del venditore per scoprirlo.

La vostra attenzione viene catturata quasi subito da un piccolo elemento che vi offre la possibilità di avviare una conversazione. Tipicamente lo si trova in basso a destra.

(E sì: se state leggendo questo post ne trovate uno anche qui 😛 )

blog axura chatbot

Incuriositi dalla cosa ci cliccate.

Si apre una piccola finestra, che – tra una manciata di opzioni – vi propone anche “vuoi sapere dov’è il tuo pacco?”; cliccando ricevete l’indicazione precisa di dove si trova attualmente.

L’esperienza è stata molto veloce e semplice, ma fondamentalmente ha soddisfatto l’esigenza che vi ha spinto a visitare il sito; quindi si può dire che sia stata positiva.

Sempre più spesso, per gestire questo genere di interazioni, aziende di ogni dimensione non si affidano a degli addetti in carne e ossa ma ricorrono all’impiego di chatbot.

chatbot

Che cos’è un chatbot?

Il termine – che si può trovare anche scritto staccato, chat bot, o (meno frequentemente) nella variante chatterbot – definisce

un software progettato per conversare simulare una conversazione con un essere umano, in particolar modo su internet, fingendo che dall’altra parte ci sia una persona mentre c’è un algoritmo

A dialogare con voi, quindi, è stata una macchina; che è stata molto veloce nel rispondere (e lo sarebbe anche se la si “disturbasse”, per ipotesi, alle 2 del mattino) e ha permesso – a chi gestisce il sito – di non scomodare nessun operatore.

Un’esperienza del genere non è così straordinaria o infrequente, anzi: con ogni probabilità vi sarà già capitato, anche se accorgersene non è sempre facile.

I chatbot stanno infatti prendendo piede sempre più, e anche se non siamo – in assenza di conferme – ancora arrivati verosimilmente alla situazione ipotizzata nel 2016 da Gartner (85% delle interazioni a distanza tra aziende e clienti mediate da questi “operatori virtuali”) stiamo parlando di un settore che nel 2024 dovrebbe arrivare a valere 1,3 miliardi di dollari, secondo le stime.

Esistono due tipi di chatbot: quelli “semplici”, in grado di rispondere solo ad alcuni comandi prestabiliti, e quelli più avanzati – o “intelligenti” – che invece hanno la capacità di imparare a interagire sulla base dell’esperienza (ne parleremo nel dettaglio più avanti).

Perché implementarlo?

Ma perché un’azienda dovrebbe arrivare a sviluppare e implementare un chat bot se esiste già, per restare al nostro esempio, la possibilità di inserire il numero d’ordine in un’apposita pagina del sito per scoprire a che punto è la consegna?

Semplifica le interazioni (e il supporto)

Perché il chatbot (se ben progettato…) può rendere l’esperienza molto più facile e veloce, assecondando il desiderio degli utenti di fare meno fatica possibile per ottenere nel tempo più breve la/e risposta/e che stanno cercando.

E’ un po’ come nei negozi “fisici”, quando – anche in presenza di cartelli ben chiari – le persone cercano comunque i commessi per sapere al volo dove si trova questo o quel prodotto, o chiedere altre informazioni: il chatbot è il corrispettivo per il sito internet dei commessi per il punto vendita; magari un commesso ancora alle prime armi, visto che non sempre risponde a tono, ma che impara molto in fretta a migliorarsi.

commesso mediaworld
fonte immagine: http://bit.ly/2m1nHwL

Ma si può fare ancora di più e meglio.

Conosce (e sa usare) i dati dell’utente

Prendiamo nuovamente il caso della persona che vuole sapere lo stato del suo ordine.

Per scoprirlo potrebbe cercare una pagina del sito dedicata e seguire le indicazioni oppure segnalare il codice di tracciamento a un chatbot che si propone di essere d’aiuto, come abbiamo visto.

Ma se il sito avesse offerto alla persona di autenticarsi già al momento dell’acquisto, per esempio con un social login, a quel punto il chatbot sarebbe già stato in grado di riconoscere la persona e recuperare i suoi dati e lo storico dei suoi ordini.

In questo modo il chatbot ha la possibilità di proporre la domanda giusta al momento giusto: se per esempio c’è un ordine aperto da alcune ore, avrà senso che tra le varie opzioni di interazione venga proposta anche “informazioni sullo stato del mio ordine”, che è quella che con ogni probabilità l’utente vorrà cercare più di tutte le altre; se invece il profilo è ancora sconosciuto, ha più senso che il chatbot si offra di far conoscere i prodotti, o i vantaggi del servizio.

Guardate l’animazione proposta da https://heres.ai/

chatbot-heres

In questo caso il chatbot è a conoscenza di alcune informazioni personali che ha recuperato in altre fasi dell’autenticazione dell’utente sul sito, ed è in grado di usarle (perché ha imparato a farlo, ma ne parleremo tra poco) per portare avanti il dialogo in maniera più piacevole, utile e costruttiva. Un po’ quello che fanno gli operatori “in carne e ossa” di un qualunque servizio clienti (o “dovrebbero fare”, ma questo è un altro discorso).

Quante più cose il chatbot sa (e quanto meglio è stato programmato per riuscire a gestirle in maniera adeguata), tanto più può riuscire a essere veramente utile. Alle persone che interagiscono con esso, certo, ma anche alle aziende che se ne servono.

Affina la sua intelligenza (artificiale)

small wonder Super Vicki
fonte immagine: http://bit.ly/2muyrE2

E’ facile (da usare), veloce (nel rispondere) e – usando i giusti accorgimenti – ha gli strumenti per entrare in relazione in maniera adeguata con l’utente. Ma per raggiungere al meglio gli obiettivi per cui è stato sviluppato, un chatbot deve essere prima di tutto in grado di capire la richiesta che gli viene fatta, o di interpretarla correttamente.

Dev’essere insomma in grado di operare un Natural Language Processing (NLP) efficace, ossia di “tradurre” in un linguaggio “formale”, quindi rispondente a degli standard (in questo caso informatici), le diverse forme del linguaggio naturale, ovvero quello che ognuno di noi usa nel suo quotidiano, e che è fatto di semplificazioni, gergo, abbreviazioni, sottintesi, intonazioni, etc.

La vera sfida è riuscire a ricondurre espressioni anche gergali, come “dov’è la mia roba?” o “quando arriva il pacco?”, dentro i binari dello standard con cui il software è in grado di capire il vero senso della richiesta (che in questi casi è “informazioni sullo stato dell’ordine numero X associato all’utente Y”).

Questa sfida viene sempre più spesso affrontata avvalendosi di algoritmi di “machine learning” (in italiano apprendimento automatico), cioè capaci di fare tesoro delle esperienze precedenti per riconoscere e gestire in maniera più corretta e rispondente alle aspettative quelle future.

Partendo da queste basi, poi, il passaggio da un chatbot testuale a un chatbot vocale (o voicebot) come quelli integrati nei diversi assistenti vocali (Siri di Apple, Alexa di Amazon o Assistant di Google) richiede un intervento minimo: basta aggiungere un sistema di riconoscimento vocale in grado di “ricevere” le domande e un sintetizzatore vocale per “leggere” le risposte, ed è fatta.

come un chatbot processa una richiesta

E c’è già chi ha sviluppato bot che non solo hanno una voce, ma anche un volto…

…e perfino la capacità di riprodurre delle espressioni facciali

Sa rispondere (e anche rendersi utile)

Lo sviluppo della tecnologia dei chatbot li sta rendendo in grado di gestire conversazioni sempre più complesse, fino a dei “botta e risposta” sempre più evoluti, utili e piacevoli.

Chi ha in casa (o in ufficio) uno o più dispositivi della linea Google Home, per esempio, può già scegliere di attivare la modalità “Conversazione continua”: in questo modo si lascia il microfono acceso per non più di 8 secondi dopo ogni risposta e si ha la possibilità di porre ulteriori domande – anche concatenate logicamente con la precedente – senza dover ogni volta “richiamare” l’assistente.

Chatbot (e voicebot) ben configurati dal punto di vista tecnico sanno andare ben oltre l’essenziale.

Per esempio sono in grado di gestire delle agende: a fronte della richiesta di un appuntamento, il bot può proporre solo le fasce orarie ancora libere (in modo da evitare sovrapposizioni) e offrire la possibilità a chi sta dall’altra parte di prenotarne una.

Anche se non è in grado di dare una risposta, il chatbot può fare da filtro raccogliendo i dati di contatto della persona e affidarli a un essere umano che li gestisca in seconda battuta.

L’ulteriore evoluzione, che è già a portata di mano, è invece far sì che a un’interazione ne corrisponda un’altra, proposta in maniera quasi “autonoma” e proattiva dal chatbot.

Immaginiamo di aver preso un appuntamento dal dentista: alcuni giorni prima, sulla base di un comando preimpostato, il bot potrebbe non solo avvisarci che: “il tuo appuntamento è alle ore 10 di venerdì 23 settembre” ma anche proporre proattivamente “Vuoi un promemoria la sera prima alle 21?”

In questo modo si potrebbero ridurre gli appuntamenti mancati, sollevando da un lato i clienti da eventuali penali e massimizzando l’attività dello studio dentistico dall’altro.

E’ più funzionale, per tutti, rispetto semplice limitarsi a rispondere con l’informazione richiesta? Con ogni probabilità, sì.

Per cosa lo si può usare?

Le possibili applicazioni dei chatbot sono numerose e anche molto distanti tra loro, e crescono (in quantità, ma anche qualità dell’esperienza offerta) all’aumentare delle sperimentazioni.

Proprio per questo motivo sono sempre di più le più aziende, anche di piccole dimensioni, che li stanno implementando per gestire alcune operazioni che fanno parte di quel grande universo chiamato “customer care”.

Questo, per esempio, permette di ordinare una pizza consegnata a domicilio senza dover sollevare la cornetta del telefono:

Il chatbot di LEGO è focalizzato sul supporto a diversi momenti del pre-vendita: per esempio è in grado di aiutare nella scelta del regalo più adatto in base alla capacità di spesa e alle preferenze di ciascun appassionato di mattoncini:

Quest’altro invece dà accesso a tutto il catalogo di un negozio di occhiali:

Con i chatbot è possibile anche prenotare un taxi:

Ma gli sviluppi non si fermano, al punto che c’è chi sta lavorando per implementare i bot con esperienze di realtà virtuale per cui è possibile farsi guidare nella scelta di un paio di occhiali e poi provare come ci stanno addosso, senza neanche percepire il passaggio dall’ambiente del bot a una situazione di realtà aumentata:

Del resto anche Facebook ha già iniziato a parlare di questa possibilità, e lo ha fatto in tempi non sospetti: già durante il suo evento F8 del 2018.

Da tutti questi esempi risulta chiaro il ruolo che i chatbot possono avere nel migliorare l’esperienza utente (User Experience in inglese, o UX), sempre a patto di essere stati sviluppati in maniera adeguata: quale sarebbe invece il percepito se a una domanda non corrispondesse risposta, o nella maggior parte dei casi questa si dimostrasse sbagliata e lontana dalle intenzioni di chi ha posto la domanda?

Fortunatamente lo sviluppo che stanno conoscendo i chatbot e i servizi che permettono di svilupparne uno, anche in autonomia, promette di rendere sempre più rare le esperienze negative e sempre più comuni quelle positive.

L’interazione con un chatbot può essere una buona interazione, ma si può fare ancora meglio: ad esempio avvisare una persona che sta aspettando un pacco di un eventuale ritardo, anticipando anche di poco la sua ricerca di informazioni, è un’interazione di valore.

Un caso simile è quello di Google Maps che in automatico ci avvisa del tempo previsto per tornare a casa dal lavoro poco prima dell’orario in cui solitamente “stacchiamo”: se quell’informazione in quel momento ci è gradita, e se ci viene proposta con una modalità altrettanto piacevole, essa aggiunge valore alla nostra relazione con il servizio, sia esso offerto da Google o da qualsiasi altra realtà che si avvale di tecnologie simili.

In conclusione

Quali che siano le funzionalità proposte da un chatbot e la forma sotto cui si presenta (testuale, audio o video), uno degli aspetti da tenere necessariamente presenti per valutare la bontà (o meno) di questo come di altri sistemi che interagiscono con gli utenti dev’essere la qualità dell’esperienza fatta dall’utente.

Proprio per questo implementare un chatbot e non controllare periodicamente la qualità dell’esperienza che viene fatta dalle persone interagendo con esso è un grosso errore: si rischia di perdere qualche occasione di business senza nemmeno essere a conoscenza del “collo di bottiglia” che ha portato qualche cliente (o potenziale tale) a rivolgersi ad altri.

Per le aziende più grandi, lasciare che l’interazione con i clienti possa avvenire solo tramite chatbot, senza offrire alternative o ad esempio consentire a un operatore umano di intervenire durante la conversazione, può essere molto rischioso: la percezione di un utente che non riesce a interfacciarsi come vorrebbe con questi strumenti ne risentirebbe, certamente in maniera negativa.

Benché si stiano diffondendo molto rapidamente, infatti, i chatbot sono sistemi in gran parte ancora acerbi e spesso non così “svegli” da riuscire a interpretare al meglio le richieste degli utenti, che possono restare insoddisfatti dalla qualità dell’interazione e dell’assistenza ricevuta.

Quella dei chatbot è però anche una tecnologia che si sta evolvendo molto in fretta e che sta migliorando in maniera significativa: per le aziende che scelgono di impiegarla è quindi importante tenere gli occhi sempre ben aperti, anche con un orizzonte temporale di “mesi” anziché anni tra un intervento di sviluppo e il successivo.

Questo chiaramente ha un impatto sul tipo di investimento da prevedere, con la consapevolezza che potrebbe convenire cambiare fornitore anche nel giro di pochi mesi per poter offrire a chi vuole entrare in contatto un’interazione di qualità, sempre più utile e gradevole.