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SEO e Mobile-First Index: come conquistare le SERP di Google da luglio 2018?

Alessandro Fumagalli

Tempo di lettura: 15′

Chi frequenta il nostro blog con costanza (e per questo si merita un bel grazie 😉 ) potrebbe aver già letto la frase che stiamo per (ri)scrivere: con il suo motore di ricerca, Google vuole dare alle persone le informazioni più utili possibili nel minor tempo possibile.

“Big G” ne ha fatto una vera e propria missione, al punto che ha introdotto i cosiddetti “featured snippet” come primo risultato per alcune ricerche e, mettendoli così in alto, ha dato a questi box una rilevanza maggiore sia rispetto ai risultati di ricerca sponsorizzati, per i quali incassa dei soldi, che rispetto a quelli organici.

Un altro dato ormai assodato è che l’accesso a internet in tutto il mondo si fa soprattutto attraverso gli smartphone più che da desktop.

Se le ricerche (che rappresentano una parte consistente di tutto il traffico) passano soprattutto dagli smartphone, Google non può fare a meno di considerare le specificità dell’uso del motore di ricerca da mobile se vuole essere sempre più efficiente nella sua “missione” di dare velocemente le risposte migliori a qualsiasi domanda.

E’ proprio per questo che ha deciso di introdurre una novità: indicizzare ogni pagina web utilizzando il nuovo “mobile-first index”, che diventerà il suo unico sistema di riferimento a partire da luglio 2018.

Cosa significa mobile-first index?

Per capirlo è importante prendere in considerazione ogni parola:

Mobile: fa evidente riferimento ai dispositivi “mobile”, quindi smartphone (soprattutto) e tablet.
First, o meglio “mobile-first”, non a caso unito con un trattino: vuol dire che Google si baserà prima di tutto sulle pagine web così come vengono viste da mobile
Index, indice: si parla di indicizzazione, ossia di come Google legge le informazioni di ogni sito che c’è là fuori, le archivia e le organizza per essere pronto a darci la risposta più utile per ogni ricerca.

Passare al mobile-first index, quindi, per Google significa tenere conto del contenuto di ogni pagina web così come la si vede da mobile “prima di qualsiasi altra cosa”, ossia di come la si vede da desktop (che è il metodo che è stato utilizzato finora).

Cosa cambia per le pagine web?

L’indicizzazione è uno dei fattori utilizzati da Google per la creazione del ranking, ossia della classifica “naturale” delle pagine web così come compaiono per ogni singola SERP.

Abbiamo detto “uno dei fattori”, infatti non è l’unico: il ranking dipende da tutta una serie di cose che hanno reso l’algoritmo di Google così capace di rispondere alle intenzioni di ricerca dei suoi utenti, come i contenuti (e tra questi le immagini e il loro peso, come abbiamo già visto) e i collegamenti verso la pagina web.

Oltre a questi ci sono altri aspetti ancora più tecnici, ma in ogni caso l’indicizzazione ha un impatto sul ranking perché se un contenuto non viene indicizzato non potrà essere scelto per essere mostrato nelle pagine di risultato.

Nell’ottica dell’arrivo del mobile-first index, quindi, è importante sapere cosa cambierà dopo l’arrivo di questa importante novità.

Quanto tempo c’è per prepararsi?

Il mobile-first index sarà l’unico sistema utilizzato da Google per l’indicizzazione di tutti i siti internet a partire dal prossimo mese di luglio.

In realtà, se scorriamo la cronologia del progetto scopriamo che Google ha introdotto già nel 2015 un aggiornamento del proprio algoritmo in chiave mobile-friendly, attraverso il quale ha spinto nelle posizioni più alte del ranking delle ricerche da mobile le pagine web che possono essere fruite al meglio su smartphone e tablet.

L’arrivo di un mobile-first indexing è stato invece annunciato già nel novembre del 2016, mentre è di questi giorni la notizia che in vista del “passaggio” del luglio prossimo Google ha cominciato una fase di test (il roll-out) su un numero via via sempre più alto di siti.

Nello stesso post Google ha comunicato che il passaggio all’indicizzazione mobile-first non avrà un impatto sul ranking dei siti né in questa fase di test né più avanti.

Quel che può essere vero se consideriamo l’impatto “diretto” non lo è però se valutiamo la compilazione del ranking nel suo complesso: un sito pensato in ottica desktop è diverso, per una serie di aspetti, da quelli progettati prestando attenzione anzitutto a come si vedono da mobile, e questo sì che può avere un impatto – anche notevole – sul posizionamento, grazie anche alla “complicità” dell’indicizzazione.

Per stilare il suo ranking, infatti, Google considera anche il tempo medio che viene speso sulla pagina come indicatore della sua utilità per chi la raggiunge. Se però chi ci arriva si trova davanti una pagina pensata per essere letta da desktop, e desiste perché la trova scomoda, anche il tempo speso su di essa ne risente in maniera negativa.

Per rispondere alla domanda, quindi, chi non ha ancora preparato una versione mobile del proprio sito e non ha colto per tempo i segnali che Google ha lanciato nel corso degli anni in questo senso, rischia di vedere presto vanificata una buona parte degli sforzi fatti finora.

Com’è la situazione?

Nonostante gli avvisi che Google ha dato nel tempo e i ripetuti suggerimenti di prestare un’attenzione sempre crescente all’importanza di avere un sito accessibile anche da mobile, al momento la situazione dei siti web che ci sono là fuori è ancora molto eterogenea.

fonte immagine: http://bit.ly/2En2oZI

1. Ci sono realtà che hanno un sito internet solo in versione desktop, magari perché lo hanno messo in linea qualche anno fa (quando gli smartphone non si erano ancora affermati e quindi era sufficiente avere un sito fatto per essere navigato da PC o notebook).

Per queste, Google ha annunciato che non ci saranno conseguenze in termini di indicizzazione in quanto la versione mobile è identica alla versione desktop.

Si tratta comunque di situazioni non ottimali, se non sotto il profilo dell’indicizzazione direttamente almeno da quello dell’esperienza utente (o UX, user experience).

Questi siti, infatti, risultano spesso macchinosi da navigare da smartphone: ci costringono a ingrandire e rimpicciolire di continuo la visualizzazione, a spostarci lateralmente per leggere tutto il testo, e rischiano di far perdere a chi li guarda parti di contenuto che invece potrebbero essere importanti.

Le chance che i contenuti di questi siti siano ben posizionati nelle SERP sono molto basse, soprattutto in presenza di altri siti con contenuti simili ma realizzati per essere ben fruiti da dispositivi mobili.

2. Altre realtà hanno realizzato nel tempo una doppia versione dello stesso sito: una per chi accede da desktop e una per chi naviga da mobile. Sono i cosiddetti siti m-dot (perché nel loro indirizzo mobile c’è tipicamente una m. nel terzo livello del dominio, al posto del www).

Nelle sue linee guida Google ha annunciato che per indicizzare questi siti si baserà sulla loro versione mobile (quindi la m-dot).

Spesso i siti m-dot presentano una versione “semplificata” del sito desktop e non completa dal punto di vista dei contenuti. La conseguenza del passaggio al mobile-first index, in questo caso, è una perdita di visibilità per quei contenuti non adeguatamente presenti nella versione mobile.

la versione desktop del nostro ultimoprezzo.com a confronto con il sito m-dot

3. Un’altra casistica è quella del cosiddetto “Dynamic serving” o “pubblicazione dinamica”, in cui il server del sito invia un codice HTML e CSS diverso per lo stesso URL a seconda del dispositivo che chiede di scaricare la pagina.

In pratica si hanno, anche in questo caso, due versioni diverse per ciascuna pagina web del sito: se i cambiamenti sono meramente estetici non si pongono particolari problemi, ma se tramite il dynamic serving non vengono proposti dei contenuti nella versione mobile, siamo nella medesima situazione del punto precedente.

Per le situazioni 2. e 3. Google ha creato una guida di “buone pratiche” da seguire per non risentire in maniera troppo negativa del passaggio al “mobile-first index”.

Tra queste c’è pubblicare gli stessi contenuti nelle due diverse versioni del sito e verificarle entrambe in Search Console, così da avere la possibilità di accedere ai dati e ai messaggi che Google invia per entrambi.

Oltre a queste ci sono anche altre indicazioni più squisitamente tecniche che Google ha esplicitato in un’apposita voce del suo sito per gli sviluppatori, e che richiedono delle competenze particolari per poter essere ottimizzati.

i siti responsive riorganizzano la disposizione degli elementi a seconda delle dimensioni del monitor su cui vengono visualizzati

4. Chi nel tempo ha scelto di puntare su un design Responsive per il proprio sito si trova nella condizione migliore.

Con l’introduzione del mobile-first index non subirà impatti negativi, anzi il fatto che il sito sia stato pensato sin dall’inizio per poter essere correttamente fruito sia da mobile che su desktop gli consente di avere una presenza adeguata alle nuove “linee guida” e più facile da gestire anche nel caso di interventi futuri.

Poniamo il caso in cui, dopo aver analizzato i dati delle visite al sito e il comportamento di chi lo naviga, per presentare una particolare promozione sia necessario aggiungere una voce al menù.

Se per i siti m-dot e le situazioni con Dynamic serving può essere necessario intervenire due volte (una per la versione mobile e una per quella desktop) e per quelle realtà che hanno solo un sito desktop l’intervento è unico ma l’esperienza d’uso continua ad andare incontro ai limiti che abbiamo descritto sopra, con il design responsive basta un solo intervento.

Siti AMP vs misti AMP / non AMP

Un’altra casistica riguarda i siti che hanno delle pagine AMP, ossia accelerate per il mobile.

Per le situazioni in cui esiste una doppia versione di ogni pagina web, e ci sono due URL diversi per ciascuna di esse (una AMP e una non-AMP), Google utilizzerà la versione AMP per l’indicizzazione.

Chi ha scelto di seguire i consigli di Google nell’offerta ai suoi visitatori proponendo anche questo genere di pagine “veloci” avrà notevoli benefici dal passaggio al mobile-first index, soprattutto se i suoi concorrenti non saranno stati così attenti: da luglio 2018, infatti, anche il tempo di caricamento di una pagina web verrà preso in considerazione come fattore per la compilazione del ranking nei risultati di ricerca.

Contenuti mobile-first

I siti progettati per offrire una buona esperienza d’uso da mobile e quelli nati utilizzando le logiche valide per la visualizzazione da desktop in genere si distinguono facilmente: si può riscontrare anche con un semplice colpo d’occhio, sono molto differenti.

Quante volte ci è capitato, usando lo smartphone, di arrivare su siti che si visualizzano su più colonne, ci costringono ad allargare e rimpicciolire di continuo per leggere, a spostarci lateralmente per finire la frase? Quante volte l’invito all’azione, così ben visibile sullo schermo di un computer, nello spazio di un display da 5 o 6 pollici (quando è tanto) finisce praticamente per sparire?

Pensare un sito mobile richiede logiche differenti rispetto a quelle che si potevano adottare con i siti desktop: se in questi ultimi era facile far stare tante informazioni in una sola pagina, nei primi è più corretto scegliere elementi semplici, costruire dei percorsi di visita lineari, dare spazio tra le parole e i paragrafi, ridurre al minimo le immagini (perché pesano e se non ottimizzate hanno un impatto negativo sui tempi di caricamento, ma possono incidere anche sulla capacità di una pagina di convertire una visita in un’azione).

Il discorso vale anche per i testi, che nel passaggio da un sito desktop a una versione mobile (o, meglio ancora, a una struttura responsive) andrebbero rivisti non solo da un punto di vista “grafico”: per rendere più piacevole fruire dei contenuti da uno schermo piccolo, infatti, è utile pensare a frasi semplici, paragrafi brevi, periodi autoconclusivi, un numero limitato di rimandi interni e tante altre attenzioni che devono entrare a far parte del linguaggio dell’azienda nel suo sito.

L’accesso ai siti desktop tipicamente si fa da una postazione con rete fissa, che può essere anche molto veloce nel caso in cui ci sia la fibra (un aspetto su cui in Italia stiamo crescendo, anche se siamo ancora indietro); l’accesso da smartphone può avvenire anche in condizioni diverse, per esempio con la connessione dati in zone dove la rete non arriva in maniera uniforme: per questo è importante realizzare siti “leggeri”, che abbiano un tempo di caricamento contenuto anche quando il collegamento a internet non è eccezionale.

fonte immagine: http://bit.ly/2q7RQcG

Le statistiche dicono infatti che il 40% delle persone abbandonano un sito se questo impiega più di 3 secondi per caricare e che se si arriva oltre i 10 secondi l’abbandono della pagina web è praticamente scontato.

La velocità di caricamento da mobile diventa dunque un aspetto cruciale, e Google mette a disposizione uno strumento che ci permette di simulare il tempo di caricamento di una pagina web con una connessione 3G: fare dei test è un buon modo per capire quanto è efficace il nostro sito, o all’opposto, quanti potenziali visitatori stiamo perdendo perché esso non è all’altezza.

Se pensiamo alla situazione dell’Italia, per esempio, un rapporto di OpenSignal ha rilevato che la diffusione della rete 4G è intorno al 60% mentre in certi Paesi (asiatici soprattutto) si arriva ben oltre il 90% del territorio.

La copertura non è ancora uniforme dappertutto, come certifica AGCOM con una mappa interattiva, e anche se per alcuni operatori il sorpasso del traffico generato con 4G (piuttosto che 3G) è ormai realtà siamo ancora lontani da un risultato ottimale; il tutto in attesa di vedere come si evolverà la situazione con l’arrivo, ormai imminente, del 5G, le cui frequenze andranno presto all’asta.

fonte immagine: http://bit.ly/2IvSSpS

Per chi sta pensando di cogliere la palla dell’introduzione del nuovo indice mobile-first al balzo per dare una rinfrescata al proprio sito internet, insomma, è bene che a questi aspetti siano date le debite attenzioni.

E ora arrivano le PWA

In questo quadro, guardando a un futuro che in realtà è già presente, si sta facendo strada una soluzione innovativa come è quella rappresentata dalle Progressive Web App (o PWA).

Abbiamo già parlato di questo sviluppo più nel dettaglio per il blog di Digital Dictionary, dove abbiamo visto che si tratta di strumenti “a metà strada” tra le app e i siti internet.

Grazie alle loro caratteristiche le PWA sono ottimi strumenti anche nell’ottica del passaggio al mobile-first index perché possono essere responsive e venire eseguite da qualsiasi browser; inoltre i motori di ricerca riescono ad accedere facilmente ai loro contenuti, diversamente da quanto avviene per le app “tradizionali” (che per essere indicizzate richiedono un impegno extra da parte dello sviluppatore).

Le Progressive Web App si possono vedere come “cornici” dentro le quali inserire di volta in volta del contenuto, con tutti i vantaggi delle app – come la possibilità di offrire delle notifiche push – ma senza i limiti che queste hanno (di costo di sviluppo, di spazio sullo store e nei telefonini e di approvazione dei contenuti).

fonte immagine: http://bit.ly/2Hdd3cu

Il panorama è in continua evoluzione, anche se per le ragioni che abbiamo spiegato il passaggio al mobile-first index segna un punto di svolta nel suo piccolo “storico” per l’indicizzazione dei contenuti e quindi anche per come viene vissuto il web attraverso l’uso del motore di ricerca di Google.

Chiedersi se la nostra azienda, con il suo sito, è pronta a cogliere le opportunità che si presenteranno per via di questo cambiamento diventa indispensabile per lo sviluppo di ogni business, dal più piccolo al più grande.