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Sito web aziendale, come essere in regola con gli obblighi di Legge nel 2018? Dalla Partita IVA alla PEC passando per i cookies, ecco cosa serve!

Alessandro Fumagalli

Tempo di lettura: 16′

Quando si parla di internet, alcuni commentatori tendono a rappresentarlo come un mondo “altro” rispetto a quello reale e a paragonarlo al Far West, ossia a un luogo (ancora) privo di leggi e regole dove spesso chi fa la voce più grossa o tiene dei comportamenti spregiudicati (e sul filo delle regole, quando non oltre) riesce a farla franca.

In questa considerazione c’è certamente una parte di verità: tra profili falsi e furti di identità, “mi piace” acquistati in maniera fraudolenta, bot che condividono automaticamente dei messaggi facendoli diventare virali, calunniatori che restano impuniti e altri casi che ci vengono raccontati dalle cronache, il campionario è ricco.

Se su alcuni aspetti il legislatore è sicuramente in ritardo, per altre situazioni invece c’è già un quadro definito che è bene rispettare. Farlo è importante non solo per evitare sanzioni (che possono anche essere salate…), ma anche per offrire, agli occhi di chi conosce gli obblighi di legge, la percezione di avere a che fare con una realtà attenta a questi aspetti.

Le aziende che hanno una presenza internet propria – al pari delle persone che aprono un sito per esercitare un’attività commerciale di qualche tipo – sono tenute al rispetto di una serie di Leggi, regole e articoli del Codice Civile che ancora troppo spesso vengono ignorati.

Andiamo a vedere, caso per caso, quali sono nel 2018 gli obblighi che il proprietario di un sito internet è tenuto a rispettare per avere un sito “a norma di Legge”.

Le leggi di riferimento per i siti internet aziendali

Ci sono due ambiti diversi da tenere presenti.

Il primo è quello tributario, che prevede l’obbligo per tutti i soggetti IVA di indicare la Partita IVA sui siti internet relativi all’attività esercitata, anche quando questi vengono utilizzati solo per scopi pubblicitari.

A fornire questa indicazione sono:

L’obbligo è limitato alla homepage, anche se è possibile far comparire questa informazione in tutte le pagine del sito inserendola nel piede di pagina (o footer, in inglese): in questo modo, per chi visita il sito sapere la Partita IVA risulta più semplice.

Il secondo versante è quello del diritto civile, per il quale dobbiamo fare riferimento a questi due articoli:

Anche se non sempre si tratta di prescrizioni specifiche per il web, queste sono le indicazioni che sono state ritenute valide anche per i siti internet quindi rappresentano il nostro quadro di riferimento.

Chi è tenuto a mettere queste informazioni sul proprio sito?

Tutti i proprietari di un sito internet che sia “strumentale all’esercizio di un’attività commerciale”, quindi anche nel caso in cui venga usato solo per fare pubblicità, devono indicare almeno la Partita IVA nella homepage.

L’obbligo di pubblicare la Partita IVA sul proprio sito non vale per i blogger, anche se qui il confine comincia a farsi più labile: chi integra banner pubblicitari (per esempio con Google AdSense) o link di affiliazione (di Amazon o altri negozi online) ha la possibilità di ottenere un certo ritorno economico; a fronte di questo, visto che i guadagni contribuiscono alla formazione di un reddito, a rigor di legge sarebbe corretto che i blogger che pubblicano qualche forma di pubblicità avessero una Partita IVA, che quindi dovrebbe essere indicata nella homepage del sito.

Partendo da queste basi, poi, le situazioni che si possono verificare sono fondamentalmente tre.

Siti di società di persone

Le società di persone sono quelle prive di personalità giuridica, in cui prevale l’elemento soggettivo (dei soci) rispetto a quello del capitale.

Vengono così definite le:

  • Società semplici (Ss),
  • Società in nome Collettivo (SnC)
  • Società in accomandita semplice (Sas)

Le società di questo tipo possono limitarsi a indicare solo la Partita IVA nella homepage del proprio sito aziendale: basta questo perché siano in regola con gli obblighi di legge previsti.

Siti di società di capitali

Le società di capitali sono quelle in cui l’elemento del capitale prevale dal punto di vista concettuale e normativo rispetto all’elemento soggettivo rappresentato dai soci.

Tra le società di capitali abbiamo:

  • Società per Azioni (SpA)
  • Società a responsabilità limitata (Srl)
  • Società a responsabilità limitata semplificata (Srls)
  • Società in accomandita per azioni (Sapa)

I siti delle società di capitali devono contenere diversi elementi:

  • Ragione sociale
  • Sede legale
  • Codice fiscale oppure Partita IVA
  • Indicazione della sede dell’Ufficio del Registro a cui la società è iscritta
  • Numero di iscrizione al Registro delle imprese oppure al Repertorio Economico Amministrativo (REA)
  • Valore del capitale sociale oppure di bilancio che è stato versato, così come risulta dall’ultimo bilancio

Oltre a ciò, nel caso in cui la società sia intestata a un socio unico (fatto, quest’ultimo, che può valere solo per Srl e SpA) oppure sia in liquidazione, questa condizione deve essere segnalata.

Non c’è un’indicazione specifica rispetto a dove debbano essere sistemati questi elementi: l’importante è che si trovino nel sito in una posizione facilmente raggiungibile dall’utente.

Dal momento che si tratta di informazioni che possono essere utili a chi visita il sito, per esempio per verificarne l’affidabilità, una soluzione molto praticata è quella di indicarli in homepage (così come si deve fare, sempre, per la Partita IVA).

La scelta ideale, invece, è quella di integrare tutti questi elementi nel footer, che spesso resta uguale nelle diverse pagine, in modo che siano presenti ovunque e che il visitatore possa trovarli anche se “atterra” in una sezione diversa dalla home, come è facile che capiti quando si arriva dal motore di ricerca.

eCommerce

Un discorso ancora diverso è quello che vale per gli eCommerce: in questo caso, infatti, la compilazione delle note legali segue una disciplina tutta sua, che deve tenere conto anche della normativa sul commercio elettronico e della tutela dei consumatori.

Prima di qualunque cosa, però, per aprire un eCommerce serve essersi messi in regola su tutta la parte burocratica, che comincia con l’apertura di una Partita IVA e la costituzione di una società.

Fatto questo è necessario anche:

  • iscriversi alla Camera di Commercio, (il che è possibile anche usando ComUnica);
  • presentare la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) nel Comune dove si intende avviare l’attività *;
  • comunicare all’Agenzia delle Entrate l’indirizzo del sito, i dati del proprio ISP (Internet Service Provider), l’indirizzo di posta elettronica, il telefono e il fax.

* aggiornamento del 2 novembre 2018: per gli artigiani questa esigenza può venire meno nel caso in cui, giuridicamente, la vendita si possa dichiarare conclusa negli stessi locali adibiti alla produzione propria del bene, anche se la vendita stessa viene realizzata in modalità telematica. E’ però indispensabile evidenziare che la vendita si conclude all’interno dei locali dell’impresa in modo che l’acquirente possa esserne consapevole.

Una volta completata questa fase, nel mettere online il sito è particolarmente importante prestare attenzione anche a tutte le informazioni che devono, obbligatoriamente, essere esposte.

Per sapere quali sono, il testo di riferimento è il D.lgs. 70/2003, in particolare col suo Art. 7, dove troviamo l’indicazione per cui:

“Il prestatore (ossia la persona, fisica o giuridica, che presta il servizio di commercio elettronico, ndr) […] deve rendere facilmente accessibili […] le seguenti informazioni”:

  • il nome, la denominazione o la ragione sociale;
  • il domicilio o la sede legale;
  • gli estremi che permettono di contattare il prestatore in maniera rapida ed efficace (quindi telefono ed e-mail);
  • il numero di iscrizione al REA o al registro delle imprese
  • il numero di Partita IVA o un altro numero di identificazione che viene considerato equivalente nello Stato membro (solo nel caso, comunque molto probabile, in cui il prestatore svolga un’attività soggetta a imposta).

Nel caso in cui l’attività sia soggetta a concessione, licenza o autorizzazione (come ad esempio succede per le farmacie), è necessario indicare anche gli estremi dell’autorità di vigilanza competente.

Se poi l’eCommerce appartiene a un professionista che svolge un’attività regolamentata, è necessario indicare anche:

  • l’ordine professionale (o l’istituzione analoga) presso cui il prestatore è iscritto e il suo numero di iscrizione;
  • il titolo professionale del prestatore e lo Stato membro dell’Unione Europea in cui è stato rilasciato;
  • il riferimento alle norme professionali e agli eventuali codici di condotta vigenti nello Stato membro di stabilimento e le modalità di consultazione dei medesimi.

In un eCommerce bisogna poi tenere conto di tanti altri aspetti che devono essere necessariamente segnalati con chiarezza e precisione.

Il Codice del consumo, contenuto nel D.Lgs. 206/2005 con le sue successive integrazioni, prevede infatti che per ogni prodotto / servizio vengano indicati:

  • una descrizione esaustiva. Al di là di quanto prescritto dalla Legge, offrirne una fa bene perché, sempre più, i consumatori vogliono fare scelte informate. Questo campo diventa quindi un’occasione di evidenziare le caratteristiche e i vantaggi che distinguono il prodotto / servizio da tutti gli altri: un’occasione da non lasciarsi sfuggire…
  • il prezzo, comprensivo di imposte. Poi si può fare come Amazon, che in ogni singola scheda prodotto indica anche lo sconto, per dare subito la percezione di quanto permette di risparmiare
  • la possibilità di correggere eventuali errori fatti in fase di ordine

Al termine dell’acquisto, poi, il venditore è tenuto a inviare una conferma con:

  • caratteristiche del bene
  • prezzo
  • modalità di pagamento
  • condizioni del contratto
  • diritto di recesso

Dal momento che si tratta di una vendita a distanza che prevede anche una consegna del bene, è necessario riservare una parte anche alle spedizioni, che devono essere richiamate sia tra le informazioni generali che all’interno della pagina dell’ordine.

Cosa bisogna indicare per questo aspetto?

  • modalità di spedizione
  • costi
  • tempi di consegna

La stessa cura deve essere riservata ai metodi di pagamento, che nella homepage del sito possono essere semplicemente richiamati (per esempio con delle icone) ma nelle condizioni di vendita devono essere dettagliati ciascuno nel suo specifico.

Un ulteriore aspetto da non trascurare è quello che riguarda l’indicazione del diritto di recesso: questo di norma può essere esercitato entro 14 giorni senza la necessità di indicare delle motivazioni o di sostenere dei costi extra per il reso, ma se non viene chiaramente indicato nel sito il diritto di recesso per il consumatore viene dilatato fino al limite dei 12 mesi.

A partire dal 2016, poi, i titolari di eCommerce sono tenuti a un altro impegno, ossia quello di informare gli utenti del fatto che hanno la possibilità di utilizzare lo strumento per la risoluzione online delle controversie (noto anche come ODR) gestito dalla Commissione Europea.

PEC: sì o no?

Una delle domande più frequenti rispetto alle informazioni che è obbligatorio indicare in un sito internet riguarda la PEC, la casella di posta elettronica certificata.

Avere un indirizzo PEC è obbligatorio per le società, i professionisti e le ditte individuali dal 2013, e c’è chi lo considera alla stregua di una “sede o domicilio virtuale” dell’azienda.

Se così fosse, in virtù delle indicazioni contenute nell’articolo 2250 del Codice Civile (al comma 1), si potrebbe anche ritenere che la PEC sia un’informazione che è necessario indicare anche sul proprio sito internet.

Al momento, però, sembra che questo tipo di interpretazione non si sia affermata, e che dunque non ci sia l’obbligo di indicare sul sito internet dell’azienda l’indirizzo PEC di riferimento.

Dal momento che sarebbe comunque sufficiente indicarlo “in una sezione facilmente raggiungibile del sito” e non nella homepage o nel footer, prevedere comunque l’aggiornamento può essere il modo migliore per mettersi al riparo da qualunque rischio.

Privacy e Cookie Policy

Dal 2 giugno 2015 è in vigore anche in Italia l’obbligo di informare esplicitamente gli utenti nel caso in cui un sito utilizzi i cookie, ossia (riassumendo al massimo) i file dove i siti web memorizzano delle informazioni a lungo termine sulla navigazione da parte di un utente.

In base alle indicazioni fornite all’epoca dal Garante della Privacy, ogni sito che utilizza i cookie deve avere un banner con cui si informa il visitatore della presenza di strumenti di memorizzazione dei suoi dati di navigazione (a meno che si tratti di cookie esclusivamente tecnici, per cui è sufficiente la pubblicazione di un’informativa in una pagina del sito).

Nonostante l’obbligo sia in vigore ormai da tre anni, non tutti i siti internet si sono adeguati a questa normativa.

Per chi vuole rimediare gli strumenti non mancano: se si utilizza il CMS di WordPress, per esempio (ed è un’opportunità piuttosto comune visto che lo fanno quasi il 60% dei siti web), esistono una serie di plugin che offrono questa possibilità.

Un’altra valida alternativa è rappresentata da Iubenda, un servizio per la generazione di cookie e privacy policy che viene costantemente implementato sulla base delle Leggi in vigore e viene sviluppato tenendo conto delle indicazioni di uno staff dedicato di avvocati esperti nella materia, per mettersi al riparo da ogni rischio.

Prima ancora che fosse obbligatoria l’indicazione dell’uso dei cookies, lo era (per molti casi) la pubblicazione di una pagina con la Privacy Policy, che informa gli utenti di un sito su:

  • quali sono i dati personali raccolti
  • come questi vengono raccolti
  • quali sono le finalità di questa raccolta
  • chi è il titolare del trattamento dei dati

Le sanzioni

Veniamo a un tema antipatico ma doveroso, anche perché serve a tutelare la correttezza di chi agisce nel rispetto delle norme e quindi anche dei visitatori del sito: le sanzioni.

Chi è tenuto a indicare la Partita IVA sul proprio sito (quindi tutti i proprietari che rientrano nelle casistiche indicate fino a qui) ma non lo fa, può ricevere una multa che va da 258 a 2.065 euro.

Per i siti che, pur essendo tenuti a farlo, non danno evidenza all’informativa sulla privacy, invece, la sanzione è ancora più salata: va da un minimo di 6.000 a un massimo di 36.000 euro.

E’ ancora più onerosa la mancata indicazione del consenso all’utilizzo dei cookies, per la quale è prevista una multa compresa tra i 10.000 e i 120.000 euro!

…E da maggio 2018 arriva la GDPR…

Tutto questo fino a oggi, ma molto presto – dal 25 maggio 2018 – diventeranno efficaci gli effetti del General Data Protection Regulation, il nuovo regolamento europeo sulla protezione dei dati personali (più noto con il suo acronimo, GDPR).

Una volta entrata in vigore, la GDPR sarà la normativa più completa al mondo in materia di privacy perché darà a ciascun utente di un sito internet la possibilità di richiedere l’accesso ai dati che sono stati tracciati, la possibilità di modificarli, cancellarli e limitare il loro trattamento.

Dall’altra parte, i responsabili dei siti internet avranno l’obbligo di proteggere tutte le informazioni riconducibili a uno stesso individuo.

All’argomento abbiamo dedicato anche una delle nostre FAQ, che non ha la pretesa di essere esaustiva visto che le casistiche possibili sono numerose e richiedono anche la consulenza di esperti legali per poter essere gestite al meglio.

Siamo pronti all’arrivo di questa grande novità?

Dobbiamo ricordare inoltre che fare in modo che il nostro sito internet rispetti al 100% tutti gli obblighi di legge è fondamentale ma non ci garantisce in automatico che si trasformi in uno strumento che effettivamente aiuta il nostro business.

Come sapere quindi se il nostro sito web aziendale ha le carte in regola per aiutare il nostro business? Scopriamo con 19 domande!