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Social Media ed editoria, l’esperienza (di successo) di Edizioni B

Alberto Giacobone

Tempo di lettura: 5′

La presenza social di BD è un esempio naturale di “brand identity” che non tutti possono eguagliare
La presenza social di BD è un esempio naturale di “brand identity” che non tutti possono eguagliare

“Divertire divertendoci”: è il motto di Edizioni B, la società editrice alle spalle del noto marchio BastardiDentro e di altre iniziative di successo. Per inquadrare la realtà di cui stiamo parlando ci sono utili alcuni numeri:

  • il sito BastardiDentro raggiunge più di 700mila persone attraverso la sua newsletter
  • su Facebook sono più di 1.500.000 i like alla pagina collegata al sito (al momento in cui scriviamo)
  • su Google+, in soli due mesi e mezzo, i “+1” sono passati da zero a 40.000 (mentre, ad oggi – luglio 2014 – sono arrivati a quasi 229.000)
  • l’agenda di BastardiDentro è saldamente tra le preferite degli studenti (e non) di tutta Italia

Anwar Maggi e Marco Molinari sono i fondatori e i veri motori di questa esperienza editoriale di successo ormai più che decennale, e qualche giorno fa ho avuto l’occasione di risentire Anwar, scambiando quattro chiacchere su alcuni argomenti “caldi”: la crescita di Google+ in Italia, alcune abitudini del mercato, le scelte possibili per un editore.

Il pretesto è nato dalla rapida crescita del numero di +1 della pagina di Google+ di BD, a cui ho assistito con attenzione e curiosità: il livello di interazione con i post (+1 e commenti) mi è sembrato particolarmente elevato ed è stato lo stesso Anwar a confermare che «Anche se su Facebook abbiamo negli ultimi tre anni ottenuto il favore di più di 400.000 persone, pari a 10 volte quello che abbiamo oggi su Google+, il livello di interazione è praticamente il medesimo: a fronte di un post, se su Facebook otteniamo 100 like, su Google+ otteniamo altrettanti +1». Niente male per un social che alcuni in Italia ancora considerano “deserto”.

«Su Google+ abbiamo individuato due tipologie di utenti: da una parte i geek o comunque i pionieri, cioè quelli molto competenti che sono per loro natura propensi ad adottare nuove piattaforme e nuovi servizi, e dall’altra quelli che magari non sono neanche passati da Facebook e si avvicinano per la prima volta ad una realtà social come può essere quella di Google+»: il dato riportato da Anwar conferma che il trend che vede una buona fascia di internauti “accasata” su Facebook, con però un notevole afflusso anche nel nostro Paese verso Google+ (in mezzo, schiacciato tra i due, rimane Twitter, che ha il suo ruolo importante ma al di là di alcuni entusiasmi fatica ad essere il mezzo di interazione prescelto da ampie fasce di popolazione, motivo per il quale Edizioni B sta valutando se proseguirne l’impiego o meno).

«Dal punto di vista di un editore come Edizioni B, Google+ presenta diversi motivi di preferenza: ad esempio, un ottimo sistema di segnalazione e controsegnalazione del materiale controverso, che evita che alcuni utenti – magari più sensibili di altri – impediscano la pubblicazione di contenuti del tutto legittimi. Ancora, una gestione più attenta sulla titolarità dei contenuti aiuta a contrastare il fenomeno delle pagine non ufficiali, che diventano un problema quando invece di essere la lusinga del singolo, si traducono in veri e propri tentativi di approfittare commercialmente del successo del nostro marchio.»

In un momento in cui gli addetti ai lavori (dai social media manager agli altri professionisti e non del settore) sono alla ricerca (si può dire in alcuni casi spasmodica) di indicatori “affidabili” per misurare la resa delle iniziative social e di personal branding (vogliamo parlare di Klout?), Anwar riporta la sua esperienza con illuminante naturalezza: «prestiamo molta attenzione ai feedback degli utenti, soprattutto quelli negativi: ogni commento, ogni mail, ogni pensiero che le persone che ci seguono condividono – o non condividono – con noi è un segnale che ci aiuta a valutare le nostre scelte editoriali ed indirizzarci per il futuro: era così quando non c’erano ancora i social e molti rispondevano alle nostre newsletter, è ancora di più così oggi che le persone usano i social per esprimersi».

Osservando più da vicino le scelte di Edizioni B nella comunicazione social, ci sono due elementi che emergono più di altri: la comunicazione in prima persona e le nette scelte di campo.

La presenza social di BD è un esempio naturale di “brand identity” che molti altri cercano di ricostruire a tavolino, non sempre con un esito altrettanto buono: quando un editore che fa dell’ironia e del divertimento il suo cavallo di battaglia sceglie di stigmatizzare l’abuso delle macchinette da gioco o ancora la presunta circonvenzione di incapaci – come nel recente caso di Sara Tommasi – si sta ponendo su di un piano decisamente diverso rispetto a chi approfitta dell’argomento per pubblicare gallerie di immagini pruriginose.

Inoltre, la decisione di comunicare in prima persona rafforza questa scelta, creando un legame ancora più forte e convincente con le persone che li seguono, per cui BD ha sempre negli anni dimostrato un rispetto notevole.

«Il rispetto è alla base della nostra attività, editoriale e non. Rispettiamo i nostri utenti: ad esempio, abbiamo scelto di non mandare DEM (messaggi pubblicitari diretti, ndr) pubblicitarie agli iscritti alla nostra newsletter. Ancora, niente pop-up o pop-under e non partecipiamo ad iniziative di co-registrazione – e sul mercato se ne vedono di selvagge, dove ignari utenti con la compilazione di una scheda online si ritrovano ad aver rilasciato l’uso dei propri dati personali a decine di operatori diversi. Rispettiamo gli inserzionisti pubblicitari (o meglio, quelli che scegliamo di avere visto che per scelta ci siamo rifiutati di pubblicizzare molti settori e tipologie di prodotto): non effettuiamo refresh di pagina automatici per aumentare artificialmente il numero delle visualizzazioni delle pagine del nostro sito nè abbiamo sfruttato i noti bug di Facebook con cui altri hanno ottenuto decine (e in alcuni casi centinaia) di migliaia di fan (anche inconsapevoli) per le proprie pagine di rappresentanza. Rispettiamo chi compra i nostri prodotti, scegliendo partner e linee di prodotto capaci di soddisfare per scelta e qualità, al di là del valore aggiunto del nostro marchio, che rimane la nostra “firma”.

Rispettiamo anche noi stessi, un aspetto non trascurabile per chi ogni giorno deve produrre contenuti creativi originali: tenere viva in tutti questi anni la passione che ci ha fatto iniziare come editore online, condividere questa scintilla con la nostra redazione e le persone con cui collaboriamo è qualcosa che reputiamo imprescindibile. Senza non avremmo potuto fare così a lungo questo mestiere e le stesse persone che ci seguono se ne sarebbero accorte distaccandosi mentre oggi come oggi il legame è sempre più saldo».

In tempi di follower falsi, indicatori social scambiati per il vero risultato da ottenere, dati personali venduti un tanto al chilo, editori di rilievo nazionale che cercano di far cassa con “i trucchi del mestiere” e nuovi editori che puntano da subito al medesimo risultato, l’esperienza di Edizioni B ci sembra un importante richiamo al valore di un progetto editoriale a lungo termine, focalizzato e dalle solida fondamenta.

Con Anwar la conversazione è andata avanti a lungo: abbiamo parlato di mobile (se il sito genera già tantissimo traffico in mobilità, un giorno arriverà la giusta applicazione anche per BD), di meme (un fenomeno ormai di massa che presenta però dei delicatissimi risvolti sul fronte del diritto d’autore) e di tanti altri argomenti su cui torneremo.

Ci hanno interrotto solo i preparativi per il suo imminente viaggio “improbabile”: un’avventura di 11.700 km su di un mezzo “magico” (nel senso che è una magia il fatto che stia insieme e si muova) in quel del Tajikistan, Uzbekistan, Kyrgyzsta, Cina, Laos e Thailandia insieme a tre compagni di viaggio, per lasciare poi in regalo il mezzo (sistemato) insieme ad altro a favore delle comunità locali.

Buon viaggio!